Preludio
A tela abbassata, si ode, suonato da una flebile orchestrina, il valzer lento dell’operetta «Il conte di Lussemburgo>i di Franz Lehar. Poi, dopo qualche minuto, appare il quadro: un angolo del borgo Marinari, nel rione di Santa Lucia, inondato dalla luce calda di quel tramonto estivo napoletano. I suonatori, ciechi, raccolti nell’esecuzione del brano, che eseguono con molta accuratezza ed affiatamento interpretativo, sono in fila, l’uno accanto all’altro, a ridosso del parapetto, che s’affaccia sul mare del Castel dell’Ovo.
Essi sono: Ferdinando, il contrabbassista; Don Antonio, il mandolinista; Don Lorenzo, il clarinista; Don Vincenzino, il violinista e Gennarino, il chitarrista. Ferdinando, in piedi accanto al suo strumento, che suona con grande trasporto, è un uomo sui cinquant’anni. La sua compunta figura, distinta, signorile, lascia trapelare ancor più la sua grande miseria dignitosa; veste una specie di «tight» li.so e consunto e sul capo porta un’autentica «lobbia» nera. Don Antonio è un omone pletorico, vestito miseramente e con disordine; Don Lorenzo è un vecchietto segaligno e porta un paio d’occhiali neri, mentre Don Vincenzino è un rigido spilungone in paglietta e con cravatta nera «La Vallière» e Gennarino è un povero giovane emaciato, infantile, dalla figura sbilenca. Tranne Ferdinando e Don Vincenzino, i suonatori son seduti su piccoli sediolini pieghevoli. Don Alfonso, il panciuto e volgare accompagnatore del concertino, cieco anche lui di un occhio, va questuando l’obolo ai radi passanti, facendo tintinnare a guisa di richiamo i pochi soldini nel suo piattello di latta.
Don Alfonso (con voce inesorabilmente di cantilena) — Signori, la musica… La musica dei ciechi… (Passa un giovanotto, tipo d’impiegato; Don Alfonso lo investe, perché dia l’obolo) La musica…
Il giovanotto — Nun tengo ’e spiccio[1]…
Don Alfonso (insistendo) — La musica dei ciechi… (Mostra i suonatori).
Il giovanotto (infastidito) — Ma chille[2] so’ cecate[3] e nun m’avevano visto…
Don Alfonso — E chille pecchesto[4] hanno miso a mme…
Il giovanotto — Ah, vuie pecchesto state ccà?