lio da movere li mmasdelje. (vedendo Gianiiaitasio) Uh! signor D. Giannattasio.
Gia. (Oh! mo aggio fenulo de leggere co sto redicolo 1)
Ale. Che cos' è sto libro? Beneditto Rlancone, o Rinaldo de Montalbano?
Gia. fe il galateo di Melchiorre. (con significato)
Ale. Eh! tu haje bisógno de studiarlo.
Gia. D. Ale non principia, te nne prego.
Ale. E sicuro, bonora! te nne viene dinto a no cafè così lussoso co sta giamberga fatta a lengue de passaro, capace per la sua pulizia di condir tre minestre; e no calzone uscito dai magazzini terrestri del largo del Castello: dinto a sto cafè! ccà se jettano Ili piastre a uso de pistacchi notturni e tu...
Gia. Ma se chiamina crianza chesta de ridere sulle spalle degli altri? io... ^
Con. Zitti, zitti, non incominciamo colle solite quistioni. D. Alessio Baroncino, sentite che critica si fa nel giornale della Gazza, sui capelli alla condannè.
Ale. Oh! sì, sì, sentiamo che sbifera questo giornale. (si uniscono a leggere)
Gia. Sbifera! vocabolario asinesco...Oh tempora!
Avv. (finisce la sua colazione, paga, e si avvia dicendo) Signori, imiei rispetti.
Pad. A ben rivederla.
Cic. (entrando in caffè fissa t occhio a Giannattasio, e siede vicino allo stesso) Permettete?
Gia. Servitevi. (Vi Chisto, non teneva auto luogo.)
Cic. Ehi! na tazza de cafè co no poco de lixirre. (a Giannattasio) Tengo na palla ncoppa a la vocca de lo stommaco...
Gia. Bomprode ve faccia. (Chi sarrà sta faccia arraggiata?)