Pul. Mio caro collega ego nego tnajorì: quia: ex* perimentum brevis con pecuniam lengus, fa* dentur abere mibi tibi.nibi judidum,etdo* nrfbit ad corpus meus maccabei et ciaccias.
Lui. Cbe dite, non è adattato questo testo al caso presente! (a Roberto) Andate, buon giovane, mettete questa>polvere in un dito d’acqua, trangugiatela e ne vedrete il rapidissimo effetto.
Bob. Lasciate che possa baciarvi la mano.
Lui. Grazie grazie, non serve»
Rob. Che il Cielo possa mandarvi’un diluvio di fe* licità. ’.>
Pul. Ed a voi una grannoliàta de contentezze. Bob. Vi son servò, amabilissimi dottori, (via)
Oro. (facendosi avanti con la. massima agita%ione) Signori, signori, per carità jùta* temi.
Lui. Che v’ è successó?
Oro. Riparate, riparate per carità.
Lui. Piano, piano, non v’ allarmate.
Pul. Potreste scapezzare*
Lui. Che c’e di nuovo?,
Oro. Compiacetevi di seguirmi, o io so rovinato.
Lui. Si si, caro mio, perciò siamo professori consumati.
Pul. (trasè) (Che anderèmo nò juorno o n’auto nel dazio di consumo.)
Oro. Io aggio bisogno della vostra mano maestra per liberare no frate carnale...
Lui. E che soffre?
Oro. S’è rritirato tutto, e pe mmo ha perzo pure la lengua.
Pul. (tra sè) (E mmo che benimmo nuje, perde lo radecòne co ttutto lo cambanaro.)
Oro. Stammatina, stammatina è stato cuoveto da st’ accidente.