VIDi queste forme, come di tutte quelle difficili a intendersi dai non Abruzzesi, diamo la spiegazione a piè di pagina. Le lettere jeh Adoperiamo j per indicare un i rafforzato, per es. i' diche (io dico), se j' diche (se io dico); vuléme i' a Rrome (vogliamo andare a Roma), partéme pe' j' a Rrome (partiamo per andare a Roma), ecc. Invece, per rafforzare un j, usiamo due jj, per es. je diche (gli dico), se jje diche (se gli dico). Si notino i seguenti esempi: la fijóle (la figliola), la fijje (la figlia); lu majóle (il magliolo), lu majje (il maglio); lu pajare (il pagliaio), la pajje (la paglia); i' tajave (io tagliavo), i' tajje (io taglio), ecc. Ci serviamo dell' h per indicare un g ridotto a una semplice aspirazione, per es. lu halle (il gallo); la hónne (la gonna); pahéme (paghiamo); la huèrre (la guerra), lu hušte (il gusto), ecc.¹ La premettiamo a i per indicarne il suono palatale, per es. hisse plurale di ésse, puhite plur. di puéte, hi (hai), ecc. Invece scrivo fe non hf, se precede una consonante apostrofata, p. es. hî date (hai dato), m'î date (mi hai dato), ecc. L'abbiamo adoperata anche come segno esclamativo nelle interiezioni ah, oh, e simili. s innanzi ated s, innanzi a te d, mentre presso i Toscani ha suono linguale e dentale insieme, presso noi ha un sibilo prettamente dentale. Questo sibilo particolare è indicato con un š, per es. štanże, šdoppie, štuone, šdentate, ecc.2 2 aspra e z dolce Generalmente, in bocca al nostro popolo, la zeta in quelle parole, che abbiamo comuni coi Toscani, ha suono corrispondente: così è aspra in zampe (zampa), zappe (zappa), zéppe (zeppa), zie (zio), zucchere (zucchero), zuppe (zuppa), mazze (mazzo), pèzze (pezzo), mézze (mézzo, troppo ¹ Cfr. G. FINAMORE, opera citata, pag. 13, § 14. 2 Cfr. G. FINAMORE, op. cit., pag. 14, § 54.
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