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DIALETTO

Sannazzaro, la quale può in verità riguardarsi come una primizia di quel crudelissimo verso Martelliano, che l’età nostra ha veduto nascere per aumento delle Teatrali afflizioni, e delle orecchie degli uditori. Il manoscritto unico, che ci ha conservate queste Farse del Caracciolo, sarà da noi pubblicato ne' volumi, che ci prepariamo a far seguire al presente, se si potrà espugnare la ritrosia del possessore, che finora si mostra gelosissimo di comunicarlo. Intanto rapporteremo qui solo pochi versi d’una scena per dar idea non meno del linguaggio che della maniera di rimare in essa usata.

Matalena. Sera me disse Rosa mia vicina,
Ca tu da hieri matina te sposaste:
Perchè non me mannaste a convitare,
Ca te veneva a fare compagnia?

La Zita. Ab sore cara mia, non è, non è:
Cride ca senza te maje lo facesse,
Che nnanze me venesse la quartana;
Tutta questa semmans è bè lo vero,
Ca nce tengo penziero de lo fare;
Ma non vorria pigliare pe marito
Se nò mastro Vito de Battista.

Incitato, come è credibile dall’esempio di Antonio Caracciolo, lo stesso gran Sannazzaro (la maggior gloria della nostra patria) non degnò impiegar la sua penna nel dialetto natio. In esso scrisse una spezia di farsa intitolata lo Gliomero, voce Napoletana, che corrisponde alla Toscana Gomitolo, del quale Giovan Battista Crispo nella vita di Sannazzaro parla così. „Nè pur oggi è fatto antico in Napoli

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