cangiato in tutto il duro tenor della sorte? Ricuperati i suoi Sovrani benefici, e clementissimi; conclusa, e sostenuta la pace cogli Ottomanni; resa legge di stato eterna, e scritta in marmo l’abolizione del Santuffizio; espulsa l’ipocrisia; ristorato il commercio; fondate università, collegj, accademie; rifatte le pubbliche vie; riaperti gloriosamente i celebri porti, tutto annunziare la prosperità, la calma, l’opulenza, l’allegria. Sì. Abbiasi il consuolo di dirlo: in molte parti è già non solo riacquistata, ma sorpassata l’antica nostra felicità, in altre o non cediamo più, o siamo non lontani dal ricuperarla.
Solo pare, che in tanto progresso resti indietro, e resti irreparabilmente negletto, ed incapace più di ristoro, e di fortuna il nostro volgar dialetto Napoletano. Quello stesso dialetto Pugliese che primogenito tra gl’Italiani, nato ad esser quello della maggior Corte d’Italia, destinato ad esser l’organo de’ pensieri de’ più vivaci ingegni, sarebbe certamente ora la lingua generale d’Italia, se quella Felice Campania e quell’Apulia, che lo produssero, e l’allevarono si fossero sostenute quali prime, e non qual infime, e le più derelitte delle provincie Italiane.
La gente, che lo parla, avendo conservata per venti secoli, anche in mezzo al-
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