le sue tante battiture, una inestinguibile allegria, e quasi memore d’esser discesa dagli Osci, lo ha destinato e consecrato tutto alla lepidezza, e talvolta alla scurrile oscenità: e tanto si sono incarnate le idee colle voci, che pare ormai, che parlar Napoletano, e buffoneggiare sia una stessa cosa. Alle menti filosofiche è manifesto, che sì fatta connessione d’idee non è figlia della natura, ma della sola abitudine; e quando anche non fosse così, e fossevi nel suono del dialetto Napoletano qualche occulto difetto, che ne togliesse la dignità e la gravità, quel saggio detto di Orazio ridentem dicere verum quid vetat basterebbe a convincere, che anche in un dialetto scherzoso si possan pronunziare le più serie, e le più importanti verità.
Noi non disperiamo adunque ancora; e se l’amor della Patria non ci accieca, e ci trasporta, andiam dicendo tra noi, chi sa che un giorno il nostro dialetto non abbia ad inalzarsi alla più inaspettata fortuna; difendersi in esso le cause; pronunciarvisi i decreti; promulgarvisi le leggi; scriversi gli annali; e farsi in fine tutto quello, che al patriotico zelo de’ Veneziani sul loro niente più armonioso dialetto è riuscito di fare. Intanto non abbiam creduta inutile opera il cominciar fin da ora
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