mai, guaje per guai, staje per stai, vaje e per vai etc.
E non solo allorchè si tratta di raddolcire un incontro di due vocali, ma anche in moltissime voci Italiane, nelle quali s’incontra l’e sola, questa da’ Napoletani si espande coll’aggiunzione dell’altra vocale i, che la preceda, e ne allunghi, e rinforzi il suono. Così dicesi priesto per presto, tormiento per tormento, cappiello per cappello, agniento per unguento, viento per vento, pierde per perdi, castiello per castello etc.
Abbiamo abbastanza detto della forza, con cui pronunziansi le consonanti raddoppiandole, e dell’espansione, con cui profferisconsi le vocali.
Avvertiremo però, che siccome nel pronunziar l’o aperto (da’ Greci detto O grande) i Napoletani ne rinforzano l’espansione più che i Toscani, così per contrario nel pronunziar l’o chiuso (da’ Greci detto O piccolo) ne ristringono il suono a segno, che alle men delicate orecchie pare un u. Non giunge però mai a divenirlo. Se vi si facesse giungere, il dialetto nostro si convertirebbe in Siciliano, o in Calabrese; giacchè appunto in questa generale conversione degli o in u si può mettere l’essenziale caratteristica, e il distintivo di questi due Dialetti. Perciò quel Gazzettiere, che ha creduto, che in Napoletano si dovessero scriver coll’u le voci accussì, pueta, prufeta, purtaje, alluggiaje, canuscenza, mugliere, ed altre, si è ingannato assai, ed ha solo mostrato il pendìo, e l’istinto, che avea da Napoleta-