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DIALETTO

di presunzione fondata sulla qualità ingenita di Lazzaro del Mercato, che si è vantato egli stesso d’avere.

Il P, quando sussiegono due vocali, si muta da’ Napoletani in ch, come chiù, per più, chiove per piove, chiano per piano, chiagnere per piangere etc. Ciò è tanto comune e caratteristico del nostro dialetto, che spesso avviene, che taluno de’ nostri ignorando il Toscano, e volendo pur farsi pregio di parlarlo (che molti hanno quella smania, quasicchè in Toscana non ci fosse volgo) incappano per eleganza a dir la piave, il piodo, la piavica, parendo loro, che a proferir chiave, chiodo, chiavica avrian commesso un nefando Napoletanissimo.

Avvertiremo per ultimo, rispetto alle mutazioni di lettere, secondo il genio del dialetto, che suol rincrescere agli orecchi Napoletani non meno la soverchia asprezza delle consonanti, che la soverchia dolcezza loro. Così siccome vedonsi spesso mutate le due tt in z per raddolcirle, come deze per dette, jeze per jette, così del pari le dolcissìme due ll o ls si trasmutano in z; voze per volle, sceuze per scelse, couze per colse etc. Egualmente la l si converte nella più aspra r, come concrudere per concludere, gurfo per golfo, consurta per consulta, serve per selve, sordato per soldato. La z spessissimo si sostituisce all’s per lo stesso principio, come perzona per persona, nzomma per insomma, pozzo per posso.

Da tutto il detto fin quì, che sembraci bastante a dare in abbozzo una idea del genio della pronunzia del dialetto, si potrà concludere con sicurezza, che il suono della nostra favella

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