premmo dire se i molti scrittori ci abbiano più giovato, o nociuto.
A tre fonti principali possiam ridurre quello immenso stuolo di errori.
Primo alle parole, che sono comuni così al nostro dialetto, come al Toscano, o al generale Italiano, ed alle quali si è per ignoranza data una inflessione mostruosa, e barbara, credendo dar nel genio della pronunzia nostra.
Secondo alle parole Italiane, che non essendo nostre si sono volute napolitazzare, con aggiungere ad esse una capricciosa pronunzia seguendo il genio del dialetto. Queste due sono le più comuni, non men che le più odiose classi d’errori; giacchè consistono di parole, che ben può dirsi, che non siano in rerum natura. Non son Italiane, dapoichè hanno mutazione d’inflessione: non son nostre, niuno usandole tra noi; dunque son mostri, sfingi, e chimere.
La terza classe è delle parole nostre adoprate per ignoranza in senso, o cognizione, che non hanno.
Incominciando a spiegare la prima clase con qualche esempio. I Napoletani hanno la voce Poeta pronunziata coll’istesso suono, che usa il resto degl’Italiani. Or non mancano autori, che credendo scrivere con eleganza, e con maggior purità il Napoletano, hanno detto Pojeta, Questa non è voce nostra; voce barbara, mostruosa; è un complesso d’ignoranza, di presunzione, di stupidità. È un parricisio, giacchè vi si vede quell’istesso indegno figlio della Patria, che fa mostra volerne onorare il dialetto, impiegandovj i suoi sudori, tentare di detuparlo, e renderlo laido, e nauseoso.