ortografia sembra indicare. La varietà grandissima tra l’ortografia, con cui sono scritti i frammenti d’Ennio, Lucilio, Pacuvio, e quella, con cui troviamo scritto Orazio, Virgilio Lucano; la varietà tralle ortografie delle più antiche iscrizioni, e delle posteriori; la differenza infine, che si scorge nelle lettere, allorchè o un nome latino nelle opere degli scrittori Greci, o un Greco trapassa ne’ Latini, tutto infine ci indicherà, che molte lettere finali, e principalmente l’s, e l’m si scrisdero, ma si elidevano nel parlare. Molti dittonghi scritti sciolti si pronunziavano legati. Si scrisse aurum, e si pronunziò orum; si scrisse plaustrum, ma si pronunziò plostrum; si scrisse auricula, e si pronunziò oricula; si scrisse cautes, ma si pronunziò cates: e questa pronunzia in fatti si è conservata fino a noi, che diciamo oro, orecchia, cote. Di qualche lettera si variò il suono; si scrisse quoque, si pronunziò coque; si scrisse vesuvius, si pronunziò vesvius, e vesbius; si scrisse Capua, si pronunziò Campa. Fu infine così rimarchevole la differenza tralla scrittura e la pronunzia, che all’Imperator Claudio venne in pensiere d’aggiunger tre nuove lettere all’ortografia per far, che lo scritto meglio corrispondesse al linguaggio, e delle tre quella, che distingueva la v consonante dall’u, vocale fu trovata così ragionevole, che tutte le ortografie moderne l’hanno, adottata, ancorché non abbian imitata quella figura F, che Claudio avea imaginata, ma siensi contentati di aggiunger una gamba alla v consonante, e scriver u. Insomma noî siam per dire, che se fosse possibile far alzar il capo dalla tomba ad un antico uom del
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