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DIALETTO


che le rime, e le prose di Dante Alighieri formano già un testo quasi purissimo di essa, e la mutazione dal 1300. in quà è picciolissima, e solo consistente in qualche parola antiquata ma non già nelle forme grammaticali, che costiruiscono l’essenza delle lingue, le quali dal decimoterzo secolo in poi non si son punto mutate.

Dante Alighieri, grandissimo ingegno, sommo filofofo, uomo di stupendo, ed incredibile sapere sopratutto attendendo l’infelictà del suo secolo, fu a parer nostro il primo legislatore maestro della nostra volgar favella. Egli nel suo libro della volgare eloquenza stabilì i saldi principj, su’ quali la comune lingua dovesse regolarsi. Conobbe con avvedutezza filosofica non doversi prendere per lingua generale veruno de’ dialetti allora correnti, che erano difettosissimi tutti. Volle, che si creasse la lingua de’ dotti, e che fusse legata a regole grammaticali sicure e fisse, e purgata da’ vizj di qualunque idiotismo. Si formò in fatti una lingua quasi nuova, e da niuno abitualmente parlata; ed è poi nel corso di quattro secoli avvenuto, che questa lingua studiata, e culta si è cominciata abitualmente a parlare da tutti gl’Italiani della più polita classe, ed è divenuta loro quasi naturale, e se non succhiata col latte della balia, almeno appresa dagli stessi genitori fin da’ primi vagiti.

Vero è, che tra tutte le provincie d’Italia quella, che più sollecitamente s’appropriò la

lingua generale, e la fece sua, fu la Toscana, e qualche parte dello stato della Chiesa, come quelle, che aveano un dialetto men di tutti di-

sco-