poletano, e nel Toscano, veggonsi nel Toscano discostarsi più dalla loro originaria voce. Perciocché essendo natural cosa, e costante, che tutte le alterazioni vadansi gradatamente e quasi impercettibilmente facendo, quanto è minore la corruzione, tanto indubitatamente ha da esser maggiore l’antichità. Or chi non sente co’ suoi stessi orecchi, che le parole Napoletane chisto e chillo si scostano meno delle Latine iste, e ille, che non se ne scostano le Toscane questi e quegli? Dunque indubitatamente ha dovuto prima dirsi chisto, chillo (che secondo l’ortografia di tre o quattro secoli fa trovasi scritto quisto, quillo), e poi cresciuta l’alterazione si è venuto a dir questi, quegli. Chi non vede, che il nostro verbo Napoletano dicere non ha mutazione dal Latino, come lo ha il Toscano dire? Chi negherà, che le nostre voci patre, matre, frate, sore, nepote, consobrino suonano assai più il Latino, che non le Toscane padre, madre, fratello, sorella, nipote, cugino. Noi diciamo socra quella, che i Toscani dicono suocera; quanto è la nostra inflessione più vicina alla latina socrus! Faccio, saccio, aggio s’accodano alle latine facio, sapio, habeo assai più, che non le Toscane voci fo, so, ho. Noi diciamo simmo i Toscani dicono siamo; il Latino è simus. Diciamo tene, vene, convene, accodandoci al Latino tenet, venit, convenit, e non già tiene, viene, conviene. Diciamo fele, mele, come i Latini fel, mel, e non diciamo, come i Toscani, fiele, miele. Diciamo bona, sona, tona conservando in tutto la pronunzia antica Latina, e non alterandola, come i Toscani, in buona, suona, tuona. Diciamo
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NAPOLETANO
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