Paggena:Del dialetto napoletano - Ferdinando Galliani (1789).djvu/89

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DIALETTO

quentemente, e in che gran copia ciascuno di questi antichi le adopera. Diamone un esempio estraendo soltanto quelle, che s’incontrano nelle poche rime varie di sonetti, e canzoni di Dante Alighieri, il quale indubitatamente non visse tra noi.

Usa Dante spesso l’articolo lo in vece d’il, dicendo lo mondo, lo tempio, lo suo piacere, lo core etc. Usa vene, convene, avvene, tene, sostene, per viene, conviene, avviene, tiene, sostiene; criare, criature, homo, core, mastro, saccio, sacciate, faccio, face, facete, aggio, aggiate, ave, fele, vertù, vertuosa, feruta, feruto, conceputo, vestuto, benegna, laudare, provedenza, canoscente, venta, penta, depenta, conducere, dicere, corcare, lassare, inforcare etc. Usa rilucieno, dicieno per rilucano, dicono, mise, impeso per meso, impiccato. Usa infine vego per vedo, assembro per rassomiglio, sta per quessa, appojare per appoggiare, stutare per smorzare, campare in senso di vivere, tu ride per tu ridi, boce per voce, chiama a voi per chiama voi, nullo per niuno, cera per ciera, ed altre insfessioni o parole oggi tutte nostre, e che i Toscani sfuggono di usare.

Bastino questi saggi per quiete dell’anima di que’ nostri concittadini, che si rammaricano e piangono sulla lingua, che parlano. Diasi loro la grata nuova, ch’essi parlano assai miglior Italiano, che per ventura non s’imaginavano. Veggano, che potriano in certo modo anche essi dire fuimus Troes, fummo Italiani. Erano i nostri modi di pronunziare non disdegnati allora, anzi

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