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NAPOLETANO
ni. E per chillo, cha ’nde dice la mammana, cha lo levao[1], nell’ancuccia[2] tutto s’assomiglia allu pate. E par Dio credamolillo; cha ’nde dice lu     chello cha nde dice la mammana, cha lo levao, nell’ancuccia tutto s’assomiglia allo patre. E per Dio credimelo, ca nde dice lo patino, cha la capa-



    almeno fino a dieci volte il Boccaccio in quella Epistola. Qui dovea scriver vita, non bira. Al verso 36. dovea scriver venire scaja, e non benire. Al verso 48. dovea scriver voglio dicere, e non buoglio dicere. Al verso 72. dovea scriver avissevo veduto, e non apissovi beduto. AI verso 103. dovea scriver scrivere, e non scribere. Al verso 132. dovea scriver scrivecello, e non scribelillo. Al verso 136. dovea scriver vedere, e non bedere. Al verso 146. dovea scriver veamoti, e non beamoti. Al verso 147. dovea scriver Vernacchia, e non Bernacchia. Per contrario ha messo l’u dove dovea metter il b. Così nel verso 128. ha detto ave in vece di dir abbe.

  1. Levao. Levare usato da’ Toscani in senso del raccoglier il bambino: noi diciamo pigliare. Ma a’ tempi di Giovanna I. è possibile, che usassimo la stessa voce de’ Toscani: e però anche più facile, che sia un Toscanismo del Boccacio.
  2. Ancuccia. È voce oggi tanto disusate, che caderebbe dubbio se mai l’abbiamo avuta. Vedesi, che il Boccaccio l’usa in semso di fattezze.