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DIALETTO
tantillo non ce de mandao. E dappoi [1] arquanti juorni lo facimmo battiggiare, e portavolo la mammana incombogliato in dello [2] Ciprese di Mathinti, |
to tantillo non ce nde mandao. E dappoi alquanti juorni lo facimmo battiggiare, e portavolo la mammana incombogliato in delo Ciprese di Machinti in |
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- ↑ Arquanti, alcuna, levao, bien mi tene, ben mi poterano, bien se ti chiace , cobille, sono tutti Toscanismi pretti, che scappano al Boccaccio, e traspajono di sotto a questa veste sforzata di pronunzia Napoletana, che egli si studiò d’imitare. Bisogna confessarlo, avea appresa taluna voce, e frase nostra, ma sapeva pochissimo il dialetto tutto. Il saper ben una lingua non natia, è una impresa assai più dura, che non pare. Tito Livio istesso peccò, al dir di Pollione, di Patavinità. Rousseau, l’eloquentissimo Rousseau pecca di Ginevrità, e il gran Boccaccio peccò di Toscanità, quando volle scriver in Napoletano.
- ↑ Ciprese. Parola oggi ignotissima. Vedesi aver dinotato ciocchè chiamasi da noi cotriello, e da’ Toscani coltricella, nella quale si ravvolgono i bambini di sopra le fasce. Pare credibile esser derivata quella voce da Cipro, isola in quel tempo nobilissima, e doviziosa, tralla quale, e Napoli eravi grandissima corrispon-
giacchiè è usitatissimo ancor oggi il dire te venga la zella; e prende origine sì fatta imprecazione fin da’ Romani. Occupet extremum scabies, disse Orazio.