Pul. Be non è meglio, sparagna o sapone.
Vio. Ma non risparmi tu danaro che vai a barattare ogni giorno nelle taverne, e nelle cantine… Ah che io sono una vipera… Non ci vedo più. Voglio strozzarti briccone
Pul. Mogliè avascia le mane, ca io te sono.
Vio. Mi rido delle tue minaccie.. Voglio cavarti gli occhi briccone, ti voglio… (si avventa per batterlo).
Pul. Oh malora! Tu addavero faje, e te acchiappa, già ch’è chesto, (la bastona)
Vio Ahi, ahi.. Perdonami.
Pul. Mparateve marite comme s’addomene le mugliere. Orsù io vaco a spaccà chelle quatto legna che stanno dint’a lo vosco; e mo torno. Retirete dint’a la casa, miettete a felà, famme trovâ tutto arresediato, ca si no quanno vengo te faccio lo riesto. (Via)
Vio. Sa,. Vattenne pure.. Ma chi sa… chi sa che non mi possa vendicare delle bastonate che mi hai date.
SCENA II.
Valerio, Luca e detta
Luc. Da galantuomo amico, che abbiamo preso un brutto impegno.
Val. Ma caro Luca. bisogna cercare da per tutto un medico bravo per servire il nostro padrone; e chi sa che non lo troveremo
Vio. Oh bastonate, bastonate, mi state troppo nella bocca dello stomaco, per non potervi dimenticare.
Luc. Chi è quella donna che sta colà pensierosa.
Val. Non la conosco.
Vio. Tanto farò, tanto dirò, che mi saprò vendicare.
Luc. Facciamoci avanti. Bella giovane vi son servitore.
Vio. Padron mio.
Val. Che avete, che siete così malinconica?
Vio. E cosa voglio avere. Son senza danari.
Luc. Eh, questa è una malattia generale.
Vio. Ma voi altri signori chi siete?
Val. Siamo due persone che andiamo in cerca di un medico.
Luc. Ma dev’essere un medico bravo e dotto.
Vio. Le vostre ciere per altro non sono da ammalati.
Luc. Si è vero, ma non siamo già noi gli ammalati, ma è bensì la figlia del nostro padrone.
Val. La poverina è stata colta da un male improvviso che le ha tolto la favella.
Vio. (Che bel pensiere mi suggerisce la mente per vendicarmi di mio marito). Signori miei, se volete un buon