Paggena:Teatro - Achille Torelli.djvu/34

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per miracolo, non rimase, anche lei, sotto le pietre, nel terremoto di Casamicciola. Quella notte, saltando da un balcone, si guastò nell’anca e poco mancò non rimanesse sciancata. Sicché si dondolava per vezzo; ma pure perchè non si reggeva ancora bene sulle gambe. E quella debolezza le serviva da pretesto per appoggiarsi al giovane più di quanto fosse lecito ad una donna che non andava per le mani di nessuno.

— Io non ho ancora trent’anni — ripetè con accento che invocava commiserazione: — E quando Dio vorrà potrò rimaner così sola? Ti capacita? Dico male? Ho ragione? Posso restar sola così tutta la vita? Eli? sono di stucco io?

— Avete ragione....

— Batticola è dozzinale... Tu parli pulito...

E infatti, Gennarino, dal fare il suggeritore e l’usciere e dall ’essere stato tre anni sotto un caporale senese, aveva acquistata una forma di dire nella quale bene o male, fondeva il colorito napoletano col disegno della parlata toscana.

— Tu sei aggraziato quando parli! — soggiunse la donna.

E gli carezzò la bazza. — E Gennarino, non essendo di stucco nemmeno lui, senti al viso un tuffo di sangue, che gli abbarbagliò la vista. E fu fortuna, perchè lei, a denti stretti, a labbra semiaperte, lo fissò con uno sguardo lungo, penetrante, uno sguardo procace che avrebbe fatto peccare anche il vecchio Simeone.

— Posso menare questa vita infelice, sola sola? — continuò lamentosamente: — Io non dico che le carni si risentono, ma si risente il core! E il core vuole quel che gli spetta. Non ho ragione?... Ma d’altra parte, ho un dito di cervello e non voglio accecarmi per qualche sgargiante, che poi mi farebbe sputar sangue e mi ridurrebbe secca e spelata come una gatta che mangia lucertole! Questo ho di buono, la salute!

— E le trecento lire al mese — soggiunse lui.

— E con le trecento lire — riprese lei — ti terrei nella bambagia, proprio come il bambino del presepio... Ti farei man giare col capo nel sacco... Ma se tu poi mi facessi un tradimento» bada, ti caverei gli occhi!

— Non è affare; io son traditore di natura — concluse il giovane, non perchè avesse questa opinioni’ di sè stesso, ma perchè sentiva che lui aveva, per così dire, come iiii serbatoio nel cuore, che custodiva la dolcezza stillatavi dentro dagli aguardi di Terewna. Tanto che, nella reminiscenza di quella dolcezza canticchiava spesso spesso:

Cotunte a comari aoochc b iteli»

Mj pur» «t’uociW tuo) thtù fedele:

Hrnne n’’ppucuru’ru ri’ »urt’»r K<« mcilAiiw’ 1« o»nn«k...

_ ^ £ affare?! — domandò lei giungendo Ir mani e in Addando le dita: Nou me lo dire! non me lo din’, perché