Paggena:Teatro - Achille Torelli.djvu/80

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ha abboccato all’amo e me lo son tirato su con la lenza? Rispondi tu, pezzo di galeota! Perchè sei venuto da me e non da lei? diavolo tentatore!

— E’ stato il destino! — esclamò il povero figliuolo scagliando il cappello sulla tavola.

— E giacché è stato il destino... Se Dio ha destinato così, così sia.., e fa il tuo dovere ora che son vedova!

A questa conclusione Teresina cacciò un gemito che giunse fino alla sentinella della caserma vicina; e prese a strapparsi i capelli non da burla, come avrebbe fatto quella fintona della Francesca, ma con tale disperazione cieca che si sarebbe rovinata la magnifica capigliatura se il giovane non fosse balzato a tenerle ferme le mani. — A questa sollecitudine la Francesca sentì un’altra stretta al core e schiamazzò più che mai sbeffeggiando l’atto della rivale: la si strappasse pure qualche ciuffo! poco male! sarebbe tornato a crescere! Invece la cosa che andata via una volta non torna più è il fiore prelibato di una donna e di una donna come lei, Francesca! Le ragazze si sa, oggi si strappano i capelli per uno e domani ne regalano una treccia ad un altro... A sostegno del suo diritto lei, Francesca, adduceva un fatto, a fronte del quale tutto spariva; e invece Teresina, da parte sua, non aveva titoli veri da farsi sposare, ma pretensioni, chiacchiere senza costrutto e, come si dice a Napoli, chiacchiere e tabacchere di legno, non se ne impegnano al Banco!

— Che fatti, che fatti, più di quelli che ci sono stati fra me e lui? — gridò quella gnoccona cresciuta tra le beghine della parrocchia e le suore di sant’Eligio.

— Che fatti? — rispose la rivale aprendo un grosso ciondolo che portava attaccato ad una catena girata più volte attorno al collo: — Ti basti questa ciocca dei suoi capelli, che, ieri sera, s’è lasciala tagliare, da me, giusto al momento che sparava la cannonata dello nove. — E, poi, tese l’indice al cocuzzolo di lui, dove appariva visibilmente la forbiciata.

A questa vista Teresina si percosse e ripercosse le tempia con le pugna cacciando addirittura un ululato; e Gennarino, andandole dietro, si svociava a giustificarsi, s’affacchinava a tenerle le mani, e lanciava, di lato, ogni tanto occhiate d’odio a quella maledetta Francesca che come un cavallo in battaglia, con le narici dilatate, sbuffava, sfuriava di qua e di là, urlava le sue ragioni, stringendo in aria le punte sfilacciate dello scialle: — Hai visto? Ti sei persuasa?.... Datti! Datti! che il capo è tuo e ne puoi fare quello che vuoi!-., ma Gennarino e mio!... L’anima a Dio e la roba chi spetta!

— Esci! vattene, infame! levamiti da torno! — urlò l’altra respingendo con uno spintone il traditore, che andò a battere sul soffice petto della vedova. Questa, come l’ebbe addosso, lo ghermì; e: — Cammina! marcia con me! — gli impose dando come di piglio al bottino prima della vittoria. Ma