Paggena:Teatro - Aniello Costagliola.djvu/4

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sua prosa facile lucida e densa — così spesso sperperata nelle anonime snervanti rassegnate e necessarie fatiche del giornalismo — era palpitante di ebrezza quando egli ammirava. E da quella prosa traspariva la sua gioia. Traspariva ch'egli amava di ammirare.
«Nil admirari», fu un motto proveniente dalla negativa filosofia epicurea, ed è rimasto come un motto deprimente, come un triste consiglio d'inerzia spirituale. L'ammirazione è una festa dello spirito. E amare di ammirare è una nobile ed esclusiva facoltà dei temperamenti semplici dolci ottimistici, predisposti alla letizia.
Ma c'era un terzo Costagliola: un Costagliola nel cui profondo un vigile pessimismo, tetro spasmodico e pietoso, accoglieva le ripercussioni di tutti i dolori umani, gli echi sinistri dei fatali peccati e dei delitti che abietano l'umanità, le ombre delle eterne miserie materiali e morali che dei delitti e dei peccati sono l'infinito scenario. Da quest'altro Costagliola — che nella visible vita cotidiana era insospettabile — sorgeva l'autore di teatro.
E appunto le affermazioni più schiette più concrete e più mature dell'autore di teatro compongono questo postumo volume, che io, onorandomi di compiere un dovere verso il fedele amico scomparso, presento a un pubblico che non è — lo so — una folla, perché alla somma, prevedibile o imprevedibile, dei gusti e dei capricci e dei diritti delle folle nulla del Costagliola più veramente