Paggena:Teatro - Aniello Costagliola.djvu/73

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cannuccia di una pipa di creta. È tormentato dall'asma; il suo petto, scarno e ispido di tra le pieghe della camicia aperta, si gonfia e si abbassa, nella difficoltà del respiro. Avanza di qualche passo; ma, quando ode, nel silenzio circostante, l'anelito dell'albino, si sofferma un'altra volta; e piega il capo, e s'indugia, in ascolto. Poi, procede lentamente, in ansie, il passo un po' strascicante, verso il posto onde il lamento proviene. A poca distanza dallo sgabello, egli avverte la prossimità di un altro. E di nuovo s'indugia, e protende le mani in avanti).


(Serafino ha udito lo scalpiccìo, che si è interrotto d'un tratto; e ha sollevato il capo e cercato di contenere la sua pena. Ora egli sente che qualcuno gli sta da presso; e protende anch'egli le mani verso il suo vicino).

(Le mani dei due ciechi s'incontrano, si toccano, si stringono, si tengono lungamente).


Fortunato. — Si' tu.
Serafino. — Ah! Si' tu.


(Le loro mani si staccano. Fortunato si accosta a Serafino, e gli tocca appena le gote con la punta delle dita).


Fortunato. — Tu chiagne.
Serafino. — No.
Fortunato (d'un tono che non consente replica:) — Tu chiagne.


(L'albino risponde con un sospiro).


Fortunato. — Pecchè?
Serafino (spallucciando:) — Niente.