Drappi di ogni colore: roso cupo, viola, verde, bianco, nero, celeste pallido, rosa…
In un angolo, una piccola “Madonna„ dinanzi alla quale arde una lampada.
I dipinti – tranne qualcuno che è attaccato alle pareti – sono disposti, quà e là, disordinatamente: un “autunno„ – una “marina al sole„ – una “piccola chiesa di campagna„ – “barche pescherecce, di notte„ una “antica Santa Lucia„ –, e “Vicenzella„ motivo predominante, su tutte le tele: Assunta Spina, è lei; zì Munacella, è lei; Crestina 'a capuana, è lei; Anema bella; Colombina; Chiarina Beneduce, lei, sempre lei, la piccola e grande ispiratrice di Peppino de Muro.
“Zerillo„ irrequieto e canoro, si agita nella gabbietta, che è sospesa alla finestra, dietro la quale spunta il piccolo albero carico di limoni.
Due, tre cavalletti. Ad un cavalletto lavora Michele Gigante. Egli riproduce sulla tela “Aitaniello Palumbo„ il garzone del fornaio, nella “posa„ di “Pulcinella in atteggiamento di stanchezza„, col dorso poggiato al muro, la maschera alzata sulla fronte, ed il mezzo sigaro spento, fra le grosse dita inanellate.
E per tanto il vecchio Gigante lavora nello studio di de Muro, in quanto il giovane e glorioso pittore ama dare ospitalità ai suoi compagni più poveri che non sono riusciti, in tanti anni di lotta, a crearsi il loro cantuccio per lavorare. E quì, a Napoli, ve ne sono parecchi.
Più in alto è il cavalletto di de Muro, con sopra una tela bianca. Cattivo segno: de Muro non dipinge!