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Chesta paggena nun è stata leggiuta.

Neanche nel calderone di Macbeth

ALBERTO SPAINI*

<<[...]Di solito i suoi lavori si chiamano tutti "scene", "visioni". Per questo anche sono sempre tanto semplici e nello stesso tempo complicatissimi e difficili a raccontarsi: ogni particolare ha una importanza incalcolabile; nessuno si deve trascurare se si vuole dare il senso del lavoro. perché in conclusione ciò che crea Viviani è una atmosfera, un clima. Atmosfera tragica e paurosa. Non si capisce perché la gente vada a vederlo coll'idea di dover ridere. Egli non ha successo, vero successo che nei teatri popolari, dove il pubblico in grado di sopportare la truculenta delle sue trame ( negli ultimi lavori i Pescatori, gli Zingari, i soggetti sono quelli dei così detti drammi d'arena) e nello stesso tempo arriva a comprendere immediatamente la poesia dell'opera compiuta. I soliti pubblici borghesi dei nostri teatri di prosa non sono in grado di valutarlo.[...] Gli Zingari sono senza dubbio l'opera teatrale più audace e più moderna che sia mai stata composta in Italia. È un peccato che il dialetto napoletano la renda un po' difficile; ma forse senza quel ritmo, quella particolare musicalità del vernacolo, Viviani perderebbe uno dei suoi principali mezzi di comunicazione: l'intonazione della voce e certi muti giochi di controscena fatti sulla voce degli interlocutori. Ma per tornare agli Zingari, un lavoro fosco, tragico, ossessionante, diremo che il contrasto (e la confusione) tra illusione e realtà con cui da dieci anni si va baloccando il teatro internazionale, Viviani l'ha qui fuso nella sua primitiva unità: nell'animo umano da cui per la prima volta questo contrasto è uscito. E nelle poche ore di delirio che precedono la morte, maturano e scompaiono tutte le passioni, tutti i dolori che durante la vita sono rimasti sepolti in fondo all'animo di un povero ragazzo, di un trovatello accolto per pietà in una tribù di zingari. Quanto era vivo ed attivo nell'anima sua e di quelli che lo circondavano, ma nascosto sotto le banali ipocrisie della vita quotidiana, esce ed agisce palesemente alla luce del sole, quando la morte ha ormai vinto, e i soliti rapporti della vita non hanno più valore. [...] Una travolgente tragedia umana. [Ma] non è questo schema logico che importa, ma la forza allucinante delle scene che si seguono con un realismo minuzioso ed esagerato fino a dare l'impressione dell'incubo; con tanta bravura che persino le scene delle streghe ci prendono nella loro suggestione, e il punto culminante del dramma è la danza di una zingara vestita di rosso attorno alla sua vittima, che essa vuole affatturare. Roba che neanche nel calderone di Macbeth>>.


  • Alberto Spaini, Viviani, in Il Resto del Carlino, 5 marzo 1926.