Pulcinella medico a forza di bastonate (1905)

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PULCINELLA

MEDICO A FORZA DI BASTONATE

FARSETTA

IN UN ATTO IN PROSA


ATTORI

ANSELMO padre di
LUCINDA amante di
LEANDRO
VALERIO, e
LUCA servi di Anselmo
VIOLA moglie di
PULCINELLA spaccalegna.


NAPOLI

Iorio Francesco Libraio

Port'Alba N.º17

1905

[p. 1 càgna]

PULCINELLA

MEDICO A FORZA DI BASTONATE

FARSETTA

IN UN ATTO IN PROSA


ATTORI


ANSELMO padre di
LUCINDA amante di
LEANDRO
VALERIO, e
LUCA servi di Anselmo
VIOLA moglie di
PULCINELLA spaccalegna.


NAPOLI

Iorio Francesco Libraio

Port'Alba N.º17

1905

[p. 2 càgna]

ATTO UNICO

SCENA I.

Campagna

Pulcinella e Viola

Vio. No, voglio parlare; più non mi fido di tirare questa vita infelice.

Pul. Tu qua vita nfelìce mme vajo contanno. Addò truove n’auto marito comme songh’io. Se tratta ca no faccio passà nisciuno mese, ca non te porto lo magnà a la casa.

Vio. E una volta al mese vorresti che io mangiassi.

Pul. Se ce ntenne, si no te fa ndicestione.

Vio. Ogni giorno, briccone ogni giorno tu devi farlo

Pul. E ogne ghiorno po e taluorno.

Vio In fine, io voglio che tu faccia a modo mio.

Pul. A muodo tujo! E che addavvero mine vuò magnà nu patrimonio

Vio Marito, giudizio.

Pul. Moglié retirete la lengua co lo mannato in casa, e no facimmo comm’ha li spaccalegne, che t’avesse da spaccà la capo

Vio. Guardate là che bell’uomo di garbo! Maledetta quella vecchia che mi ti pose avanti.

Pul Mannaggio chillo Fornaro che nce mettene la primma parola

Vio. Marito briccone. Mi ha levato fin’anche le lenzuola dal letto.

Pul Ma vide comme si ciuccia. Io l’aggio fatto pe te fà sosere priesto a matina.

Vio. A vendersi finanche gli orecchini di perle che gli portai per dote.

Pul. Chill’erano antiche, arremedia co li moderno che se venneno sotto a la porta de la sciuscella.

Vio. Non mi hai fatto restare che questa sola camicia che ho addosso. [p. 3 càgna]Pul. Be non è meglio, sparagna o sapone.

Vio. Ma non risparmi tu danaro che vai a barattare ogni giorno nelle taverne, e nelle cantine… Ah che io sono una vipera… Non ci vedo più. Voglio strozzarti briccone

Pul. Mogliè avascia le mane, ca io te sono.

Vio. Mi rido delle tue minaccie.. Voglio cavarti gli occhi briccone, ti voglio… (si avventa per batterlo).

Pul. Oh malora! Tu addavero faje, e te acchiappa, già ch’è chesto, (la bastona)

Vio Ahi, ahi.. Perdonami.

Pul. Mparateve marite comme s’addomene le mugliere. Orsù io vaco a spaccà chelle quatto legna che stanno dint’a lo vosco; e mo torno. Retirete dint’a la casa, miettete a felà, famme trovâ tutto arresediato, ca si no quanno vengo te faccio lo riesto. (Via)

Vio. Sa,. Vattenne pure.. Ma chi sa… chi sa che non mi possa vendicare delle bastonate che mi hai date.

SCENA II.

Valerio, Luca e detta


Luc. Da galantuomo amico, che abbiamo preso un brutto impegno.

Val. Ma caro Luca. bisogna cercare da per tutto un medico bravo per servire il nostro padrone; e chi sa che non lo troveremo

Vio. Oh bastonate, bastonate, mi state troppo nella bocca dello stomaco, per non potervi dimenticare.

Luc. Chi è quella donna che sta colà pensierosa.

Val. Non la conosco.

Vio. Tanto farò, tanto dirò, che mi saprò vendicare.

Luc. Facciamoci avanti. Bella giovane vi son servitore.

Vio. Padron mio.

Val. Che avete, che siete così malinconica?

Vio. E cosa voglio avere. Son senza danari.

Luc. Eh, questa è una malattia generale.

Vio. Ma voi altri signori chi siete?

Val. Siamo due persone che andiamo in cerca di un medico.

Luc. Ma dev’essere un medico bravo e dotto.

Vio. Le vostre ciere per altro non sono da ammalati.

Luc. Si è vero, ma non siamo già noi gli ammalati, ma è bensì la figlia del nostro padrone.

Val. La poverina è stata colta da un male improvviso che le ha tolto la favella.

Vio. (Che bel pensiere mi suggerisce la mente per vendicarmi di mio marito). Signori miei, se volete un buon [p. 4 càgna]medico, noi lo abbiamo qui, che per qualunque male disperato non ha pari nel mondo.

Val. Oh bravo! Eh, di grazia dove si può trovare?

Vio. Vicino a quella casaccia. Anzi vedetelo appunto in mezzo a quegli alberi, che si diverte a tagliar le legna.

Luc. Oh diavolo! un medico taglia la legna!

Vio. E pure… Questo è il suo debole. È un cervello stravagante, che si diletta a far così. Anzi vi avverto, che non verrete mai a capo di fargli confessare ch’egli è medico, se non a forza di potentissime bastonate. Così facciamo noi tutti del villaggio, quanto abbiamo bisogno delle sue visite.

Val. Non vi è che dire, tutti gli uomini eccellenti hanno delle stravaganze.

Vio. Non si può negare che sia capriccioso: ma lo vedrete poi a far maraviglie

Luc. Come si chiama?

Vio. Il dottor Pulcinella.

Val. Ma e poi vero che sia cosi valente come dite?

Vio. Fa miracoli vi dico Sei mesi sono una donna abbandonata da tutti i medici, si piangeva per morta e tutto era in ordine per seppellirla, quando a forza di bastonate fu fatto venir costui: la vide, e subito le versò in bocca una gocciola di un certo suo liquore, che sul fatto la fece alzar da letto, e si portò al fiume per lavar dei panni, come se non fosse stata mai ammalata.

Luc. Questo non è uomo, è un demonio.

Vio. E questo pure è niente. Saranno tre settimane che un ragazzo di tre anni cadde dall’alto di un campanile, e si ruppe la testa, le braccia, e le gambe. Si chiamò questo medico, già secondo il solito a colpi di bastonate, ed egli stropicciandogli da capo a piede, fece che corse il ragazzo da lì a pochi secondi a giuocare la trottola.

Val. Bisogna che costui abbia la medicina universale.

Luc. Per mia fe, che abbiamo trovato quello che andiamo cercando.

Vio. Ma eccolo che viene. Io me ne vado, perchè non voglio che egli sospetti, che io sia quella che ve lo abbia scoperto.

Val. Vi siamo molti tenuti.

Vio. Addio (Briccone ti ho servito come meriti) via.

Val. Luca?
Luc. Valerio?
 

Val. Hai polso forte?

Luc. Non lo cedo ad un facchino. Ed il tuo?

Val. E bastantemente robusto.

Luc. Lo serviremo a dovere.

Val. Egli si avanza. Ritiriamoci, (si ritirano). [p. 5 càgna]

SCENA III.

Pulcinella e detti in disparte

Pul. Dicette buono Cicerone quanno venneve cicere abbascio a lo Pennino, che nu nc’è auto remmedio pe na mogliera ncuitatore, che quello del baculorum.

Val. (ha detto bene baculorum)

Luc. (Sarà qualche ricetta che deve fare)

Pul. Ma abbesogna che trovo lo rimmedio pe fa pace e sucunnum tutte li filosefe de lo Mandracchio nun nc’auto, che chillo del masticamentum

Luc. (Parla latino)

Val (Che arca di scienza!)Luc. (Avanziamoci).

Pul. Perchè siccome io. essa.

Val. Riveritissimo mio signore, (fa riverenza).

Pul. Padrone mio. (Da dò è asciuta sta mummera d’acqua zorfegna).

Luc. Mi umilio con tutto il rispetto

Pul. Mio signore (E st’auta folleca da dò è scappate).

Luc. E lei il signor Pulcinella?

Pul. Pulecenella sissignore, ma senza chella D. puntata.

Luc. Non vi paia strano signore, se ci vedete qui in traccia di voi

Pul. Gli uomini bravi si son sempre ricercati.

Luc. Noi già sappiamo le vostre bravure.

Pul. E chi dice lo contrario. Comme spacco le legna io, non le spaccava manca Didone quanno jeva coglienne cecorie sarvagiole.

Luc. Di grazia, signore non vi nascondete a noi.

Val. Noi vi sappiamo.

Pul. Nc’aggie piacere E chi songo?

Val. Un medico famoso

Pul. Famoso si, ca tengo na famma che mme la veco co l’uocchie; ma miedeco avite sbagliate.

Luc. Sissignore che siete medico.

Pul. Qua miedeco io non só manco ferracavallo.

Val. Sissignore, che lo siete.

Pul. Non signore, ca non lo sonco

Luc. Valerio?Val. Luca?

Luc. Ecco dove zoppica.Val. Ecco dove traballa.

Pul. Chi zoppeca? Chi traballa? Si no ve ve jate ve faccio sentì na mosta de cauce che sò tutti li vuoste.

Luc. Ah signore, non ci riducete agli ultimi estremi di darvi il rimedio.

Val. Non ci obbligate a farvi l’unzione [p. 6 càgna]Pul. Mo va melgio,io sò, miedeco, e lloro me vonno fa l’unzione

Luc. Siete medico?Pul. Gnernò.

Val. Siete medico?Pul. Gnernò.

Val. Luc. Lo siete, lo siete, (bastonandolo).

Pul. Ajuto.. Ajuto.. Sò chelio che cancaro volite.

Val. Ah, ah… (piangendo). Ci patisco veramente

Luc. Ah, ah.. (come sopra) Mi sento squarciare le viscere

Pul. Mo va meglio, primme mme vatteno, e po chiagneno appriesso. Faciteme no piacere, vuje comme cancaro sapite che io sò miedeco?

Val. La strepitosa guarigione che avete fatta di quella donna abbandonata dai medici, e per più dì si era creduta morta, non volete che vi palesi per un uomo insigne?

Pul. E io l’aggio sanata?Val. Voi.

Luc. Voi sì, voi (bastonandolo).

Pul. Io sì, che puozz’essere acciso.

Val. Che dolore! Che dolore (piangendo).

Pul. Oh mmalora! Io abbusco, e isso sento lo dolore.

Luc. E quel fanciullo di dodici anni caduto da un campanile ch’era tutto rovinato e voi con il vostro balsamo l’avete guarito, ed è andato a giocare la trottola?

Pul. Tu staje mbriaco. Io non ne saccio niente de chesto.

Luc. Lo sapete? Lo sapete? bastonandolo

Pul. Lo saccio sì, mmalora fatte cadè no vraccio

Luc. Mi sento morire, mi sento morire… Oh, oh. piange.

Pul. Isso more, e io sto facenno le pose. Ora vede uscia! Io era no grand’ommo, e no nne sapeva niente.. Ora sia tutto chello che bolite vuje, ch’avimme da fa?

Val. Venite con noi: vi condurremo a vedere una giovanetta che non può parlare

Pul. Ditemi un poco, è femmina questa giovanetta?

Luc. Sicuramente.Pul. E non parla?Luc. Affatto.

Pul. E non la miette d int’a no casotto, a duje solde a testa pe chi la vò vedè

Val. Andiamo signore, che se guarite questa giovanetta avete quanti denari desiderate.

Pul. E quanno nce sò denare, sò miedeco co tanto de privilegio Ma faciteme no piacere, comm’aggia veni, si non tengo lo vestito da miedeco?

Luc. Venite con noi, che ve ne provvederemo all’istante

Pul. E quanno é chesto sò co buje Faciteme n’auto piacere Li miedece addò mme portate vuje, hanno abbuscato maje? Val. Luc. Mai.

Pul. E io sarraggio lo primmo che me ne vaco co l’ossa rotta a la casa. (via)

Val. Oh che umore stravagante!

Luc. Oh che cervello bisbetico! (viano.)

[p. 7 càgna]

SCENA IV.

Camera in casa di Anselmo.

Anselmo solo


Ah! che mi veggo disperato! Povera figlia mia. Chi ce l'avesse detto! in quell'età perdere la lingua. La lingua poi, la lingua che è il mobile più necessario di una donna.. Ma io non ho più che farci, non sò più quali rimedj apprestarle… Ah, ah, io dubito che il dispiacere di averle negato il signor Leandro per isposo le abbia prodotta questa infermità… Ma io l'ho fatto per suo vantaggio, l'ho fatto per darle il signor Ottavio, il quale sebbene un poco avanzato in età, poteva mantenerla in uno stato da non farle desiderare la casa di suo padre.

SCENA V.

Valerio, Luca e detto.


Val. Allegramente signor padrone.

Luc. Abbiamo trovato alla fine chi guarirà vostra figlia.

Ans Chi è questi?

Val. Un medico eccellentissimo, e siamo sicuri che le restituirà la favella.

Ans Lo volesse il Cielo. Ma dov’è?

Luc E nella sala. Volete che lo faccio entrare?

Ans. Sì, subito.

Luc. Vado a servirvi… Ma… Oh, eccolo appunto

SCENA VI

Pulcinella da medico e detti.


Pul Alla paterna paternale paternità del patrio padre s’inchina i! dottor medico, maniscalco e spaccalegna.

Ans. Come, medico e spaccalegna?

Pul. (Te cancaro! aggio pigliato sto primmo zarro!) Sissignore: così si chiama Aristotile, nelle sue pustole, e maniscalco si chiamano tutt’i cavalli della cavalleria.

Ans. Signor medico, parlate più chiaro, perchè non vi capisco.

Pul. (Fusse mbiso, si saccio chello che ne votto).

Luc. Signor Padrone, questo medico è molto faceto, e sarà molto giovevole all’infermità di vostra figlia.

Val. Narrategli intanto il male della ragazza. [p. 8 càgna]Ans. Sappiate signor Dottore, che mia figlia è stata colta all’improvviso da un brutto male.

Pul. Mi dispiace che solo vostra figlia sta male, io vorrei che anche a voi venisse una morte subitanea per farvi veder l’effetto della mia medicinal medicina.

Ans. Grazie al di lei buon cuore.

Pul. Io mo nce vò, pe servì l’amice sò fatto apposta.

Ans. Capisco adesso, che siete un uomo molto allegro, per cui più spero che possa mia figlia ottenere la sua salute. Permettete dunque che vada a prenderla, per condurla alla vostra presenza.

Pul. Lei vada e badi bene da non romperti la noce de lo cuollo pe la via.

Ans. (Oh che medico allegro!) Ma... Ah! E dessa. Eccola signor medico.

SCENA VII.

Lucinda, e detta.

Ans. Io non ho che quest’unica figlia, e resterei inconsolabile, se ella morisse.

Pul. (Bonora! La malata sta meglio de me!) Non dubitate, che le darò una ricetta che l’arricetterà, facilmente.

Ans. Sediamo (siedono).

Pul. Eh, ragazza, guardate un poco in faccia al vostro medicuccio., Eh ragazza, ragazza, voi sarete ammalata, se seguiterete a star male

Luc. Ah, ah.. (ride)

Ans. Bravo signor Dottore! L’avete fatta ridere

Pul. Ha risarchiato! Buono! Quando l’ammalata ride, è segno che non piange. Ditemi ragazza qual’è il vostro male?

Luc. A.. e... i... u ..
(esprimendo con ciò il cuore piagato, e l’austerità del padre).

Pul. In questa malattia vi è un mezzo alfabetico. Ditemi un poco, ha parlato greco vostra figlia?

Ans. Perdonate signor Dottore, se le manca la lingua.

Pul. E perchè ?

Ans. Perchè voleva sposare un miserabile, ed io mi ci sono opposto.

Pul. Avete fatto male con questa supposta. Bisogna darcelo in tutt’i conti.

Ans. Ma adesso che è senza lingua non la vorrà più sicuramente.

Pul. Anze tutto a lo contrario. Na mugliera senza lengua [p. 9 càgna]viato chillo marito che la tene. Ditemi ragazza vi dà pena il vostro male?

Luc. Oh, oh...Ans. Assai assai.

Pul. Tanto meglio! Sentite dolori atmosferici?

Luc Eh, ah...Ans Anzi gagliardissimi.

Pul. Optime, optime. Provate nessuno assalto di male feruto? Luc. Oh, oh. Ans. Ne prova sicuro.

Pul. Meglio non può essere. Il polso a me (tocca il polso con lazzi.) Adesso, adesso ho capito il male di vostra figlia qual’è.

Ans. E qual’è dunque signor medico?

Pul. Vostra figlia... Vostra figlia. Vostra figlia..

Ans E così, mia figlia?Pul. E’ muta.

Ans. E questo io lo sapeva.

Pul. Ma di quelle mute che non parlano.

Ans Grazie dell’avviso

Pul Noi altri medici valentissimi, conosciamo il male come gli ubriaconi conoscono il vino buono.

Ans. Io vorrei da voi sapere quale ne sia stata l’origine?

Pul. L'origine L’origine. (Che mmalora sarrà st’origine).

Ans. Parlate. Da che previene il suo male.

Pul. Il male viene. Come un orologio. Se tene rotta la corda po cammenà?Ans. No.

Pul. Dunque la corda s’è rotta a dirittura; sicchè fatela dare due o tre botte de corda, che ella parlerà senza nichil distinetionem Nè papà tu capisce lo latino?

Ans Io no.Pul. Manco male

Ans. Intanto signor Dottore, desidero sapere da voi, che rimedio si potrebbe adattare per guarirla?

Pul. Io direbberia che le daste a mangiare del pane infuso al vino buono, che così parlerà vostra figlia.

Ans. Pane insuppato nel vino! Ma che rimedio è questo signor Dottore?

Pul. E non vide ca sì na bestia Pe fa parlà li pappagalle non se dà a magnà pane nfuso a lo vino?

Luc. Sicuramente, dice bene il signor Dottore.

Val. Certissimo.Ans. Avete ragione.

Pul Dunque fatela mangiare dieci palate de vino infuso in dodici fiaschi di pane, che così guarirà vostra figlia, e parlerà meglio de no paglietto mbroglione

Ans. E dice bene. Oh che grand’uomo! Presto ritirati Lucinda nella tua camera, e si prepari del pane, e del vino in abbondanza.(Luc. entra)

Pul Io credo che accossì mammeta t’avarrà fatto parlà a te pure, ca mme pare no vero pappagallo.

Ans. Volete burlare, Intanto signor Dottore favorisca. (Dandogli del denaro). [p. 10 càgna] Pul. Mi maraviglio.Aus. La supplico.

Pul. Per ubbidirvi. Vado dallo Speziale per ordinare io stesso un migliaretto di pinole, i quali se non la guariscono, la faranno crepare. A rivederci uomo nzerzato e nnoglia. (Mo traso dint’a na taverna, e mme mangio la primma viseta) via.

Ans. Ah, ah.. Che dite Luca del pano e del vino ordinatole?

Luc. Io dico che non poteva regolarsi meglio. L’esperienza che abbiamo de’ pappagalli e un forte motivo per convincervi.

Ans. Con questa nuova scoperta è sicuro che non vi saranno più muti nel mondo.

Luc Bisogna sollecitare, e non perder tempo.

Ans Corri Luca nella dispensa, prendi del pane e quattro bottiglie de’ vini più famosi... Ah se vedo questo prodigio, voglio innalzare una statua a questo medico portentoso(via).

Luc Ma io se avessi moglie, mi raccomanderei al medico per farla tacere, e non già por farla parlare (entra).

Val Anch’io penso così, perchè la lingua delle donne taglia, e trincia senza misericordia.(via)

SCENA VIII.

Strada

Leandro, poi Pulcinella.


Lea. Ho preinteso che il signor Anselmo ha chiamato un medico per guarire la finta infermità di sua figlia. Potesse riuscire di parlare con lui concertare il mezzo onde giungere al mio intento, e deludere la vigilanza del padre. Ma se non erro, costui che ne viene dalla casa del signor Anselmo, dovrà essere il medico.

Pul. (parlando di dentro) Ho intero, ho inteso. Tiene dolore mpietto, mietteto lo vissicante ncopp’a la ponta de lo naso.. Bene mio; non pozzo dà no passo, che tutte vonn’essere sanato da me, e non sanno ca si troppo dura sta facenna, io arricette mieze genere umano.

Lea. Ah signore sono nelle vostre mani, vi domando soccorso

Pul. Acqua zorfegna, acqua zorfegna, ca se vede a la faccia che nn’aje abbesuogno.

Lea. Signore io sto benissimo di salute.

Pul. E puozz’essere acciso, perchè vaje trovanno lo miedeco? [p. 11 càgna] Lea. Perchè ho bisogno del vostro soccorso. Sappiate che io sono innamorato

Pul. E bene, vi farò un repice salutivo per farvi passare l’ammore.

Lea. No, non domando questo; domando il vostro ajuto per conseguire l’oggetto che amo.

Pul. No nc’e male. Da miedico, sò passato a porta pollaste.

Lea Ora è tempo d’impiegar tutt’i vostri talenti.

Pul. Mme meraviglio d’uscia! In questa guisa e profanata da voi la mia medicinal medicina! E tu Esculapio, lo siente? e no le sbatte sei libre de salza pariglia nfaccia.

Lea Ma Esculapio è morto, e non può sentire.

Pul. E noi altri medici abbiamo la facoltà di parlare con i morti, e di essere stravisati dai vivi. E se nce vuò parlare tu pure, miettete sotto a la cura mia, che a la seconna viseta te ce manno subito

Lea. Vi ringrazio signor Dottore. Sappiate che io sono, amante r.amato da Lucinda, figlia del signor Anselmo, e che ella finge muta, ed ammalata per non isposare un vecchio che le vuol dare il suo padre. Dunque dovete cercare il modo, onde io le possa parlare per rendere entrambi contenti, e l’incomodo vostro sarà compensato da questa borsa che vi presento.

Pul. Amico, quest’unzione con noi altri medici è più efficace di quella del mercurio. Vi ajuterò perché vi vedo nostro nostrale. Pruojeme la borza, si no la può perdere.

Lea. Eccola. Ma ditemi intanto come devo regolarmi, e cosa pensate di fare?

Pul. Amico mio, tu chi te cride che sò io?

Lea. Un egregio Fisico.

Pul. Tu qua tiseco e idropico! Io sò no povero spaccalegna, duje mariuole de serviture co doie mazze mmane, a botte de mazzate m’hanno fatto dicere ca io sò miedeco, e m’hanno puosto ncuollo sto bello dominò.

Lea. Come! E non siete seguace di Galeno?

Pul. Ngalera nce vaco appriesso, quanno s’appura la cosa.

Lea. Intendo dire, almeno di Paracelso.

Pul. Pane e ceuze. Chesta è la marenna mia a la state.

Lea. E come dunque potete aiutarmi.

Pul. Primme de tutto lasseme sentì: lo patre de la nnammurata toje te conosce?

Lea. Non mi conosce che di nome.

Pul. E quanno è chesto va buono. Sa che buò fà: abbuscate no vestito de speziale, e miettetillo ncuollo, portete no barattole, comme fosse medicamento, e saglietenne tirato tirato ncopp’a la casa de la nnamurata, e po lassa fa a me, ca pe tutto lo mese che trase sarraje sposato, e te [p. 12 càgna] trovarrajo fatto purzì lo primmogenito. Io mo torno a ghì ncoppa pe te servì. Ma pe l’ammore de lo Cielo non te fa scappà da vocca ca io non sò miedeco, cà si no lo miedeco se mette mmano a lo chirurgo co la capa rotta e l’ossa sfrantumate

Lea E bene, io farò tutto quello che mi hai proposto, pensa eseguire il tutto con destrezza, e giudizio. A rivederci.(via)

Pul Statte buono. Tricà po, ma na rotta d’ossa no mme la leva manco lo Protomiedeco. (via)

SCENA IX.

Camera come prima.

Anselmo, Luca e Valerio


Ans Luca? Valerio, dove siete? Ah, che io son rovinato.

Luc. Che cosa è successo signor padrone?

Val. Che cosa è avvenuto?

Ans. Mia figlia peggiora. Val. Per bacco!

Luc. E il pane ed il vino?

Ans. Il pane ed il vino l’ha stordita in maniera, che pare voglia soccombere a momenti. Correte, andate in cerca del medico, vediamo se può trovare un altro rimedio per sollevarla.

Luc. Vado subito. Val. Ma eccolo appunto

SCENA X.

Pulcinella prima dentro, poi fuori e detti.


Pul. (di dentro). Benissimo: tiene dolore de mole, fatte tirà tutte doje e mascelle, così non ne patarraje cchiù in vita toje. (fuori)

Ans. Ah signor dottore sono all’ultimo della disperazione

Pul. Staje disperate, jettete a mare.

Ans. Mia figlia peggiora.

Pul. Tanto meglio; segno che la medicina fa effetto.

Ans. Ma subito che perisce.

Pul. Aspettiamo che stia a chiavà de faccia nterra, e poi vi farò vedere chi son io!

Ans. Voi cosa dite!... Ma chi è quest'uomo che entra in mia casa?

Pul. È lo speziale che porta lo specifeco pe figlieta, (Mmalora! vi comm’ha fatto priesto!) via Papà, andatela a prendere, e portatela qui con tutto il lettos, e fa bisogno.

[p. 13 càgna] Ans. Luca, fa che venga mia figlia. Luc. via

Pul. Io non solo guarirò vostra figlia, ma vorrei che anche a voi affarrasse un male di luna, o pure una goccia serena, per levarvelo all’istante; ne’ fateve venì un tocco apopletico?…

Ans. E sempre con burle.

SCENA XI.

Leandro da speziale con vasetto, detti

Luc. Signor dottore, ecco il medicamento che mi avete ordinato.

Pul. Signor Anseimo, voi dovete beverne la metà, se volete che vostra figlia guarisca.

Ans. E che robba ò quella?

Pul. Na purga de ferichiecchia. (Lo voglio fa ire a canale pe no mese)

Ans. Oh bella! Mia figlia deve guarire, ed io devo prendere la medicina!

Pul. Sissignore, il medicamento opera per simpatia, Dice Galera, che nce puozzo ire mmita: Pater pagavit, filiam sanavit

Ans. Quanto poi lo dice Galeno (chino con rispetto la fronte).

SCENA XII.

Luca Lucinda e detti


Luc. Signor padrone, ecco vostra figlia.

Ans. Benissimo

Pul. Ottimamente. Papà, sa che buò fa, fa partì tutta la corta toje, ca voglio fa l’operazione a figlieta.

Ans. Volete farle l’operazione?

Pul. Ubbidite il medico.

Ans. Subito, Luca, Valerio, ritiratevi.

(Luc. e Val. viano)

Pul. E voi, signor speziale de’ colli mozzi, nell’atto che io spiego al papà il male di sua figlia, assettateve vicina a essa, e a cucchiariello a cucchiariello dalle tutta la medicina che tiene manipolata dint’a lo barattolo. Statte attiento, no nne fa perdere manco na dramma.

Luc. Starò attentissimo. (Siede a dritta con Lucinda).

Ans. Signor dottore, voglio vedere come lo speziale dà lo specifico a mia figlia.

[p. 14 càgna] Pul. Papà aje sbagliato; tu non l’ajie da vedè e nè nc’aje da sta vicino: assettete nzieme co mico. (Siedono a sinistra, mettendo Anselmo di spalle a Leandro e Lucinda.)

Ans. Eccomi quà come volete. (Leandro e Lucinda con gesti si spiegano il loro amore)

Pul. Grande e sottile ingegno, e quistione suol farsi signor mio caro, se le femine guariscono più presto degli uomini. Altri affermano, altri negano, ed altri approvano. Io non affermo, non nego e non approvo Conciosiacosaechè (Speziale fa priesto) (Anselmo si vuol voltare. Pulcinella lo trattiene). Guardi a me gnore mio. La femina per quanto si dice.. Spicciate mmalora) Vostra figlia. (Anselmo come sopra). E tiene mento a me gnore mio… Nel momento che. Nell’atto che..

Luci No certamente, non cangerò mai pensiero

Ans Ah!. Mia figlia ha parlato! Oh sapientissimo medico quanto vi devo!

Pul Lo barattolo de lo speziale ha fatto l’effetto.

Luci. Signor padre, ho acquistato la favella, ma per dirvi che voglio Leandro per sposo.

Ans. Ma.. Luci. Non cangerò pensiero

Ans. Ti dico… Luci. Sarà mio Leandro

Ans. Ma poi… Luci O Leandro, o la morte.

Ans. Egli. Luci. Son risoluta.

Ans. Oh quante parole! Pe carità signor medico, il rimedio é stato troppo violento. Trovatela un altro per farla tacere.

Pul. Questo non lo posso fare. Piuttosto farò insordire a voi, acciò non la sentite.

Ans. No.. Ma figlia mia…

Luci. Voglio Leandro, voglio Leandro vi dico, o farò cose da pazza, cose da disperata.

Ans. Ah, che ella frenetica Signor dottore, mi raccomando a voi.

Pul. Lasciate fare a me. Questa cura adesso deve farla più lo speziale, che io. Adesso le farò una ricetta, che la farà star bene, finché non tornerà a stare ammalata, e voi signor speziale, sedete al tavolino, e scrivete. Repice quattro dramme de Sbrignatura.

Ans Cos’è questa Sbrignatura?

Pul. È na certa polvere che nce vò a forza pe fa sta bona a figlieta. Due once di polvere matrimoniale, disciolta in decotto. Misce, et fiat bobba. Andate speziale; portate l’ammalata nel giardino, acciò l’aria aperta faccia utile a la medicina.

Lea. Subito. Venite signora.

Luci. Signor padre con licenza. (per andare)

[p. 15 càgna]

SCENA XII.

Viola e detti.


Vio Quanto ci ha voluto per trovare questa casa. Serva signore

Pul. (Moglierema! mo è benuto lo nudeco a lo pettene,)

Vio. Ah, ah (ride) Ans Perchè ridete?

Vio. Rido per quell’asino che fa da dottore

Pul. (Zitto, pe l’ammore de lo cielo).

Vio. Che zitto, e zito. Birbante, briccone che sei.

Ans. Olà? Che impertinenza questa, con il primo medico che vi sia sulla terra.

Pul. (E mo vide comme m’atterrano)

Vio. Che medico, e medico! Questo è mio marito

Pul. (Oh varrate, e comme vonno scioccà)

Lea. (Che nuovo incontro è questo).

Ans. Signor dottore, la conoscete voi questa donna?

Pul. Sicuro che la conosco, questa è una donna, che questa mattina le ho menate le coppe, pe farle passà li dulure de fianche (Vattene a cancaro, ca si no le coppe a sango l’aggio io ncopp’a le spalle)

Vio. (Che io me ne vada. Aspetta) Signor Anselmo, come vi ho detto, questo è Pulcinella mio marito: ed è spacca legna, non già medico.

Ans Spaccalegna!

Lea. (Miseri noi siamo perduti)

(Via nel giardino con Lucinda)

Pul. Non la sentite, chesta é na pazza ch’é scappata da lo spedale.

Ans (Adesso capisco). Eh, va al diavolo pazza maledetta.

SCENA ULTIMA

Luca dal giardino e detti, Indi Leandro e Lucinda


Luc. Signor padrone, signor padrone?

Ans Che cos’è?

Luc Vostra figlia… Lo speziale… Sapete voi chi é questo finto speziale? Ans. Chi è?

Luc. Leandro ed il dottore è stato il turcimanno.

Ans. Ah briccone! tu non sei medico?

Vio. Non ve l’ho detto io, che era un impostore?

Ans. Ah, indegno, scellerato che sei. Così mi hai tradito [p. 16 càgna]Presto chiamate subito i soldati, che lo voglio far appiccare.

Pul. Aspettate. Ne signò, nce potessemo transigere co na mazziata?

Ans No appiccato

Viol Oh povero mio marito (piange)

Pul Puozz’essere accisa: primme m’aje jattate dint’a lo fuosso, e po mi chiagne

Lea Ah signor Anselmo, eccoci a’ vostri piedi

Luci. Caro padre perdonatemi, questo è la prima volta non lo farò più.

Pul E quann’è la primma vota, passale pe coppa.

Lea. Compatite sig. Anselmo un trasporto di amore. La vostra resistenza mi ha indotto ad agire in questa maniera. La mia nascita non è oscura, e spero che non vorrete vedere scontenti due cuori che da lungo tempo si amano.

Ans (Ah, che ho da fare). Ebbene, alzatevi, che vi perdono. Ma quel briccone voglio che sia appiccato.

Pul Ah signore mio pe carità…

Lea. Sig Anselmo per mia colpa è reo. Vi supplico a perdonarlo.

Ans. E bene, ti perdono, ma in casa mia non ci mettete più piede

Pul Oh! sia ringraziato lo cielo.

Vio Ah, mi viene a piangere (piange)

Pul E tu pecchè chiagne?

Vio. Perchè non ti appiccano

Pul. No, bell’amore che me porta muglierema?

Ans. Via, datevi la mano, e siete felici.

Lea Oh sospirato momento!

Luci. Sei pur mio Leandro!

Pul Saluute, e figlie mascolo. Signò mme pare che mo.

Lea. Intendo, devo un premio al tuo impegno, e non posso negartelo mentre col tuo mezzo è venuto nei nostri cuor, con il ristoro, la calma.


FINE