Teatro - Libero Bovio/Vicenzella
”VICENZELLA„
DRAMMA IN TRE ATTI
«Attraverso i tre atti di Vicenzella ci è apparso iersera un artista pieno di dolcezza, di inquietudine e di malinconia. Il secondo atto, sopra tutto ci ha dato la gioia di scoprire in uno scrittore di teatro una sensibilità delicata, accorata, un po’ morbida, un po’ tormentata, ma sincera. Anche in Vicenzella come in molte altre opere sceniche napoletane, i particolari sono più leggiadri e più freschi della commedia. Gli è che in fondo è la commedia, è il dramma di Napoli che questi artisti scrivono e riscrivono. L’azione conta per essi meno del quadro che vogliono dipingere con amore commosso. L’unita che essi cercano è più di spiriti che di cose. Il loro protagonista è l’ambiente, i loro personaggi sono un po’ i simboli della loro città, e sono visti attraverso una specie di meditazione, che li evoca fuori da una realtà un po’ velata di sogno, un po’ tenera di rimpianti, un po’ lagrimosa di nostalgia. Napoli è amata e descritta sempre con dolore. Vi sembrano esuli, questi poeti, esuli portati lontano dal destino e pur sempre rivolti con l’anima verso la città luminosa. E voi sentite che i particolari, le piccole carezzevoli impressioni notate in scorci vivaci, hanno la brevità, la fugacità, spesso il disordine, spesso l’abbondanza dei ricordi che a un tratto, suscitati da una apparenza, da un profumo, da un suono, sorgono in folla, e dilagano. Molte volte la commedia scompare dietro questo fluttuare di immagini; molte volte i suoi valori umani svaniscono, ma quel che resta ha pur sempre un gusto di gioia triste e soave.
Vicenzella appartiene a questo tipo di teatro, nel quale a tratti palpita la vita e a tratti invece solo un ritmo interiore, una musica segreta dove in parte la verità di snatura, ma non perde di grazia. È la storia di una fanciulla, di una piccola modella che adora un pittore, ne è amata sino allo spasimo, ma lo tradisce, lo lascia perdere perchè il denaro è lucente e l’abbacina; ma poi torna, torna sempre, ora umile, ora superba del suo potere, ora tutta in pianto, ora tutta lume, di riso giovanile. La sua storia è fatta di fughe e di ritorni; e la storia del suo pittore è fatta del pensiero di lei, un pensiero cocente, un pensiero disperato, che dà l’insonnia, che distrugge l’ingegno, e uccide lentamente.
I tre atti sono tre ritorni di Vicenzella: l’ultimo è più drammatico. Viene alla casa del pittore non più col suo visuccio tra infantile e protervo; viene butterata, deformata dal vaiuolo. Piccole vicende: tre ritornelli della stessa canzone; un po’ uguali, un po’ monotoni nella loro apparenza esteriore, ma intimamente diversi, e diversi poeticamente, anche se teatralmente identici. Teatralmente, sì, non c’è che dire, questa commedia non si muove: si rifà continuamente: il primo atto si rinnova più vasto nel secondo; il secondo si rinnova più nero nel terzo. E i soli stati d’animo che il Bovio ha riprodotti sono quelli della rondine che torna a primavera alla gronda: torna una volta impetuosa, torna una seconda volta piena di trilli, torna la terza con l’ala stroncata. Sì, questo dramma manca di struttura, manca di sviluppi, di moti progressivi, manca di cause, manca di conseguenze. Non c’è che dell’amore che canta. Ma come canta bene.
E poi c’è un mondo di artisti riprodotti con una passione intenerita, un gruppo di pittori malati di passione per l’arte loro, una schiera di artisti che i De Goncourt avrebbero amati. Val la pena di vederli come ci appariscono nel secondo atto, uno dei più fioriti, festosi, chiari, commoventi atti del nostro teatro, nel quale l’autore ha trovato dei rapporti spirituali tra gli uomini e l’ambiente veramente deliziosi. E nel centro dell’alto una donna cieca. la madre del protagonista, la più bella figura della commedia, serena, alta di ogni più umana umiltà, sorridente dal buio. Quando parla sembra sfiori il cuore di un suo figlio, tanto rispettosa è del dolore della sua creatura. Ma quando Vicenzella viene per l’ultima volta, viene brutta, viene distrutta, quella madre si identifica nel figlio; la sua vita che in lei s’è soppressa rivive perchè ormai con quella del figlio s’è confusa. E la vecchia a Vicenzella che vuol partire per sempre, perchè il suo amante, il suo amore, non la vegga qual è, grida le parole stesse che egli le griderebbe, perchè queste parole che egli non ha dette, le ha sentite tutte rifluire dal silenzio al suo core materno. Non occorre che io sottolinei la bellezza poetica e simbolica di questa subitanea ispirazione d’artista; ma debbo dire che dal punto di vista del teatro essa è un gravissimo errore. In un’opera d’arte nella quale le figure conservassero qualche irrealità di immagini, questo sarebbe un vero colpo d’ala; ma in una commedia dove appariscono solo persone, questa voce materna che grida come propria la passione torbida del figlio, dà una impressione di artificio e turba certe nostre riverenti sensibilità filiali. Fu questa l’impressione del pubblico che non decretò all’ultimo atto onori uguali a quelli decretati ai due precedenti. Così mentre dopo il primo atto s’erano avute tre chiamate; e quattro caldissime dopo il secondo, ce ne furono due dopo il terzo.
La commedia venne recitata mirabilmente. Era unanime, viva l’ammirazione per la grazia, la gaiezza, la passione di Mariella Gioia, per la nobilissima recitazione della Del Giudice, per l’ardore col quale interpretò la sua parte il Pretolani, per la serena comicità dell’Amodio, per il Corbinci che rievocò il Dalbono in una figura di vecchio pittore, per tutto l’insieme ricco e affiatato dell’esecuzione. Stasera Vicenzella si replica».
RENATO SIMONI
(dal «Corriere della Sera» del 23 Novembre 1916)
LE PERSONE
PEPPINO DE MURO | I pittori |
MICHELE GIGANTE | |
NICOLA MANCINI | |
SAVERIO ANTINORI | |
GIANFRANCO | |
LUCIANO CARELLA | |
SCHETTINI |
ANNA DE MURO |
VICENZELLA |
MONSIEUR GEROME LENTIER |
CIMAROSA |
LUCIA, la piccina che accompagna la cieca |
ASSUNTA | le « Sartine » |
AMELIA | |
IDARELLA | |
ANGIOLINA | |
CONCETTINA | |
NANNINELLA | |
BIANCHINA |
PUPESSA, una piccina |
SCIALONE, l’oste |
COCÒ, lo scemo rossiccio |
CICCILLO, il garzone |
TOTONNO, il « cacciavino » |
DONNA 'NDRIANA, l’usuraia |
AITANIELLO PALUMBO, il garzone del fornaio |
SERRAFINO SPASIANO, il fornaio |
IL POVERELLO DI CAMPAGNA |
DONNA CARMELA SCHIAVONE |
DON GIOVANNINO AMMENDOLA |
DON ERMINIO SCHIAVONE |
MIMÌ | 9 anni | I piccini della coppia Schiavone |
BEBÈ | 8 » | |
NUNÙ | 7 » | |
SISINA | 6 » | |
NANELLA | 5 » | |
PACIONE | 4 » |
MATALENA, la balia che reca il poppante fra le braccia |
I «POSTEGGIATORI» |
L'OSTRICARO BORBONICO |
In Napoli, a’ tempi nostri.
Ventisette anni, bruno, intelligente, vibrante: parla a scatti; ogni suo gesto è una pennellata.
sua madre. Ha settant’anni. Alta, magra, cieca, è una creatura singolarissima. Il suo analfabetismo farebbe impallidire molti dotti e molte dottrine. È una veggente. Parla con brio, e sorride: non vuole che la sua cecità incomba sull’arte del figliuolo. È una ironista. Sin nella voce somiglia straordinariamente a suo figlio.
un vecchio enorme, candidissimo, dall'aria bizzarra. La sua risata è piena, grassa, clamorosa, ma, come smette di ridere, gli occhi gli si velano nuovamente di malinconia. È un maestro.
un vecchietto irrascibile, piccolo, tutti nervi: due occhietti iniettati di sangue, la barbetta incolta, e una piccola zazzera che gli svolazza sotto l’ampio cappello di feltro. È poverissimo. Balbutisce assai spesso, specie quando parla con concitazione. Ha la voce piccola e stridente.
un tipo di barbaro, — parla più con il gesto che con la parola. È tutto ossa: ha quarant’anni; — i suoi capelli nerissimi sembrano aculei. Nel suo cervello si affollano idee ed immagini disordinate.
è un giovane d'ingegno. Artista sensibilissimo, ama fraternamente De Muro, e ne divide le ansie e gli sconforti. È un pò ”Marcello„ il celebrato eroe della ”Bohême„ con qualcosa in più: l'amore per la politica.
è un bel giovane, — e, forse, non è altro. Dipinge, scrive, canta, suona, declama, è un dilettante.
è un giovanetto di talento; innamorato della sua arte. È facile agli entusiasmi. È ancora un ingenuo, e però è sensibilissimo alla grazia femminile.
(i pittori lo chiamano così per la singolare somiglianza col grande e soave musicista), è un vecchietto losco e tapino. Come tutti i ”mezzani„ dell’arte, è un affamatore degli artisti. Insensibile ad ogni ingiuria, segue il programma della sua vita: far quattrini ad ogni costo. Il suo occhio è mariuolo, ma la sua voce è melliflua. Ha le mani rapaci.
è un pò la sintesi della femminilità napoletana. Buona, cattiva, fedele, infedele, mite, violenta, innamorata, capricciosa, tormentatrice, ella è un miscuglio di vizii e di virtù. Ma ha una vera anima d’artista, e però non adora che gli artisti.
Più che la modella, è la collaboratrice di Peppino De Muro.
La sua testina è un capolavoro
una ”rossa„ dall'aria dispettosa e provocante.
è un tipetto di ”signorina„, — toscaneggia e sgrammatica.
la ”capopopolo„ lazzara e rivoluzionaria.
una piccola sensuale.
festosa e volgare.
è un tipetto romantico.
un giovanetto rossiccio, scemo e muto. Ha diciotto anni, è scalzo: non ha nemmeno la camicia: La sua ”mise„? Tight nero, calzoni bianchi, enorme garofano all’occhiello, paglietta giallognola, senza cupolino, calata fino alle orecchie, e un ramo ricco di foglie, che egli agita fra le mani. Adora le ragazze. È in fondo un sentimentale.
L'AMBIENTE:
Alla ”Pigna„ nella vecchia osteria di ”Scialone„.
In fondo il breve muricciuolo scalcinato, che termina, dall’un lato e dall’altro, in due scalette di pietra, che danno nel cortile dell’osteria.
A sinistra, la piccola porta di mattonelle colorate, che mette nella parte superiore della osteria. Sulla porta un panciuto balconcello settecentesco, a cui l’edera si è attaccata.
A due passi dalla porta, la gran tavola intorno alla quale siedono i pittori, che amano più bere e discutere, che mangiare.
Un’altra tavola, nel fondo, che sarà tra poco animata dall’allegra invasione delle sartine, che celebrano in campagna la fine dei loro amori, — ed una più piccola, nascosta, quasi, sotto a’ tralci, da’ quali pendono grappoli maturi. Questa tavola aspetta la sua ”eroina.„
Ciccillo, il garzone, sparecchia e apparecchia la tavola nel fondo. È in maniche di camicia, il berretto sulle ”ventitrè„, e zufola non so quale arietta.
Schettini, seduto sul muricciuolo, ritrae sulla carta, l’effigie di Cocò, il giovanetto muto, scemo e rossiccio.
Tutto, qui, è pittoresco, senza averne la pretenzione.
Una banderuola, un fanale a gaz, un lampioncino, alla veneziana, attaccato ad un piccolo albero, e non so che altro, che contribuisce alla caratteristica singolarità del quadro.
Sfondo: la campagna autunnale, divina nella sua malinconia.
È il tramonto.
DE MURO, GIGANTE, ANTINORI, MANCINI, GIANFRANCO CARDELLA, SCHETTINI, COCÒ, CICCILLO.
La discussione è animatissima, e sta per divenire tempestosa. Gli artisti sono rossi in volto, e gesticolano follemente.
GIGANTE
(fuor di sè, levandosi da sedere, e battendo più volte col pugno sulla tavola, grida con la sua voce piccola e stridente:)
E a Esposito no? A Gaetano Esposito nun l’hanno fatto murì pazzo?
MANCINI E DE MURO
(gridando anch'essi)
Mbè?…
GIANFRANCO
(con la sua gran voce ”cafona„)
MANCINI E DE MURO
(urlando)
Sì, sì, sì,… Embè?…
GIGANTE
(battendosi con la mano sulla fronte, — i piccoli occhi iniettati di sangue:)
E Zavatti, Cristo! Zavatti nun fernette a ’o manicomio?
MANCINI
Sì…
(coprendo con la sua le altre voci:)
E che vuò dì cu chesto?… Conchiudi.
DE MURO
(a Mancini)
Aspè…
(rivolgendosi, poi, a Gigante:)
Di più ti dico,… di più… Gargiulo… t’’o ricuorde? — Un artista.
GIGANTE
Per la Madonna!
DE MURO
(afferrandolo pel braccio:)
Zitto!… Gargiulo, bello, alto, robusto…
MANCINI
… Tantillo ’e barba… Pareva nu ”Turiddu„.
DE MURO
E ll’uocchie celeste comm’’a nu Nazzareno…
CARDELLA
Sunava ’a chitarra comm’’a nu Dio!
GIGANTE
(con un urlo)
Zitto tu!
(a de Muro e Mancini, incrociando le braccia:)
Mbè?
DE MURO
Ll’attaccieno mane e piede — accussì — e ’o purtaieno a’ pazzaria pure a isso…
MANCINI
Pe’ bia ca se fissaie…
GIGANTE
Sì, sì, ’o ssaccio: che all’esposizione ’e Torino nun l’avevano premiata "Turris infranta"
(a de Muro)
Ma, allora, tu m’aiute a dì…
DE MURO E MANCINI
(gridando)
GIANFRANCO
Come no? Allora venite a chello ca dich’io…?…
SCHETTINI
(a Cocò, che ancora ride a sgambetta:)
E fermo… E tu nun te’ â movere…
CICCILLO
(a Schettini)
Pressò, chillo ’a cervella ’a tene sana… ’A frotocafia nce mancava!…
GIANFRANCO
(a Ciccillo, imponendogli silenzio:)
Stsss!
DE MURO
(a Gianfranco:)
Che cosa? Che dice tu?
GIGANTE
(a Ciccillo)
M’’o ppuorte stu zuffritto?
CICCILLO
{{outdent|E si vuie nun cumannate…
GIGANTE
E portalo, ca è n’ora!…
Ciccillo esce, zufolando, pel fondo)
GIANFRANCO
(che ha le idee fisse:)
Venite a chello ca dich’io: che a Napoli un artista o more pazzo, o more pezzente…
MANCINI
(scattando:)
Napoli! Napoli! Napoli! E dalle cu Napule! Napoli sumiglia a tutte ll’ati paise d’ ’o munno, con qualche cosa in più: l’aria, la luce, il colore…
GIGANTE
(nervosissimo, agitando le mani:)
Va bene, avimmo capito, — nun ne parlammo cchiù… Tu, quanno magne e bive…
MANCINI
No, Cristo!, ca nun sto nè pazzo, nè ’mbriaco…
CARDELLA
Ma dico: nce ’o vulessemo ’ntussecà stu poco ’e magnà?
MANCINI
Che nce azzecca stu ’ntussecà? Se parla, accussì, pe’ dì ’na parola. E dico e affermo che la sorte degli artisti — fortunati o no — è sempre la stessa. Nisciuno se ne preme ’e lloro. Vivono, lavorano, crepano fra la generale indifferenza…
DE MURO
E nun se n’hanno ’amariggià, pecchè nisciuno l’ha pregate ’e fa’ chello ca ffanno
(a Gianfranco)
Se tu, invece ’e fà ’o pittore, avisse fatto ’o giovine ’e nutaro, a chest’ora ’e mo, camparrisse, felice e cuntento, nella miseria, cu’ na caterva ’e figlie ’ncuollo, e na mugliera prena ogni nove mise…
GIANFRANCO E GIGANTE
Avanti… continua…
DE MURO
(cambia improvvisamente di umore, e siede)
No… mo nun ne tengo cchiù genio, pecchè sto penzanno a n’ata cosa…
(ridiventa pensoso, e non apre più bocca)
GIANFRANCO
’O bbì!…
(come a dirgli: sei a corto di argomenti, e tronchi il discorso)
DE MURO
(si stringe nelle spalle)
GIGANTE
(a Schettini)
Viene mange.
SCHETTINI
Nu mumento, maestro: ho finito.
MANCINI
(a Gianfranco:)
’O bbide che? Ma volete vedere quanto siete ingiusti voi con questo paese, che non è, poi, nè migliore, nè peggiore degli altri? E sienteme a me… Henry Bech era italiano? Era napoletano?… No. Era francese. Beh, quando Bech è muorto, dint’’a sacca non gli hanno trovate che due lire — doie lire — e settantacinque centesimi.
(a Gigante che fa per interromperlo)
(e continua)
{[Autore:Giacinto Gallina|Giacinto Gallina]] era napoletano? No. Bene: Gallina muore, e non lascia tanto da pagare una gondola funeraria di quarta classe…
CICCILLO
(viene dal fondo)
Ecco ccà ’o zuffritto…
GIGANTE
(che è tutto intento ad ascoltare:)
Vattenne, nun ne voglio
(e allontana Ciccillo con il braccio)
CICCILLO
(fa per insistere)
GIGANTE
(con un grido:)
Vatteeeeeenne!…
(Ciccillo si allontana sbalordito)
GIANFRANCO
(gli grida dietro:)
Sta ’nzalata vene o nun vene?
Schettini, intanto, ha finito lo ”schizzo„ di Cocò, il quale, nel vedersi riprodotto sulla carta, sgambetta, fa dei grandissimi inchini al foglio che stringe fra le mani, manda altissime grida di gioia, ed esce lentamente pel fondo, balbettando:
COCÒ
Beeell!… beeell!… beeell!…
MANCINI
E così Bizet, Verlein, Poe: tutti morti nella miseria e miez’’e guaie…
SCHETTINI
(accostandosi alla tavola, e guardando la campagna, grida a Mancini:)
Maestro, maestro, un tramonto divino!
GIGANTE
(a Mancini)
Appriesso…
MANCINI
Appriesso che? Che vuo’ sentere cchiù? Vuò parlà ’a mo nfì a dimane?
(ridiviene dolce e sereno)
Io, pe’ me, tengo sete, e bevo.
(E così dicendo, scoppia in una di quelle sue buone, interminabili risate.)
CARDELLA
E po’, dico: giusto a tavola avimma parlà ’e ’sti ccose!}}
(il suo tono è, come sempre, urtantemente brioso)
GIGANTE
Tu te ’â sta zitto, tu!
CARDELLA
E pecchè?
GIGANTE
Tu sì n’ata cosa: tu nun appartiene a nnuie…
DE MURO
(dolce, a Gigante:)
Michè!…
GIGANTE
(ancora rivolto a Cardella:)
Tu cante, tu suone, tu pitte, tu faie dramme, puisie, articule p’’e ggiurnale, — trase dint’’e salotte e faie chiagnere ’e signurine: tu faie tutte cose. Tu nun appartiene a nuie…
DE MURO
(stringendogli dolcemente il braccio, perchè taccia)
Michè!
GIGANTE
(un po' brillo, a de Muro, con effusione:)
Quanto si bello! Tu me può di’ tutte cose. Tu si artista
(gridando)
Ar-ti-sta, e i’ nun sto ’mbriaco….
CARDELLA
(un po' offeso, rivolgendosi agli altri:)
Ca pe’ bia ’e sti chiacchire ccà, non è arrivato…
GIGANTE
Addò?
MANCINI
Iammo, basta mo.
GIGANTE
Addò? Io aveva ”pittà„, nun aveva ”arrivà„ — E sò sittant’anne ca pitto. E di quello che pensa e dice la gente nun me ne ’mporta niente. Nì-en-te. Me sò spiegato? — Il pubblico non ama che i dilettanti, ed io detesto il pubblico e i dilettanti.
(Guarda de Muro, che si addolora nel vederlo un pò brillo, ed esclama:)
Quanto sì bello! Tu, tu, tu si artista!
SAVERIO ANTINORI e tutti gli ALTRI
Saverio Antinori arriva ansante, frettoloso, impolverato. È il solo personaggio che ricordi nella “mise„ i celebri eroi della ”Bohême„.
ANTINORI
(si ferma nel fondo, sotto l'albero, e canta:)
Marcello, finalmente?
Qui niun ci sente…,
Io voglio separarmi da Mimì,…
(un interminabile: Ohoooo! accoglie il pittore che dall’alto del muricciuolo saluta, seventolando più volte in aria il suo cappello a larghe falde.)
CICCILLO
(a Gianfranco, recando la scodella con l'insalata:)
’Nzalata riccia!…
ANTINORI
(come a giustificare il suo ritardo:)
E quanno i’ mo me so’ spicciato!
I PITTORI
(fan la tosse, per metterlo in berlina)
CARDELLA
(istigato dagli altri, si leva, e con vibrato accento oratorio, l’indice teso, rifà la voce di Antinori, mentre i pittori ripetono sempre l’ultima parola di ogni frase).
Compagni, il giorno delle rivendicazioni è arrivato… Non piombo alla fame, non scherno alla miseria, ed occhio al tugurio!
UN PO' TUTTI
Bene!
Bravo!
(applausi, approvazioni, risate)
ANTINORI
(fa un gesto come a significare: Ah, poveri voi!)
CICCILLO
(ad Antinori:)
Nu buono vermiciello, o preferite nu muorzo ’e menesta?
ANTINORI
Chello ca vuò tu, ma in mezo minuto, pecchè tengo ’na famma che ’a veco cu ll’uocchie…
GIANFRANCO
(a Ciccillo:)
E che ddiece, st’acito nun sape ’e niente?!…
CICCILLO
Ma che pazziate? Chell’eva ’na votta ’e vino ca è ghiuta ’e spunto.
SCHETTINI
(a Ciccillo)
’O bbide ca me sto affuganno?… M’o ppuorte ’stu vino?
CICCILLO
In un furmino.
(e scappa via)
ANTINORI
(si ferma dinanzi a de Muro, a gambe aperte, gli dà un colpo sulla spalla, e scoppia a ridere.)
DE MURO
Nun ridere… Siente…
(si leva, e lo trae in disparte)
MANCINI
È arrivato Carlo Marx?! — Stave bene!
DE MURO
(a Mancini:)
No… una parola… È ’na cosa ’e premura…
GIGANTE
’A sapimmo… ’a sapimmo!…
GIGANTE
’A sapimmo… ’a sapimmo!…
MANCINI
(dà il segno, e gli artisti, battendo con le mani sulla tavola intonano a coro la solita aria, con la quale canzonano de Muro:)
È l'amore un vago augello,
niun lo può domesticar…
GIGANTE
(ad Antinori:)
Chillo mo se l’ha levata ’a capa. Vide come nce le ha fà trasì n’ata vota!…
ANTINORI
(seccato, a Gigante:)
E bive se ê ’â bevere!
GIGANTE
(borbollando:)
Mannaggia Vicenzella, e chi l’ha criata!
(E ricomincia, animata, la conversazione tra gli artisti)
ANTINORI
(a de Muro:)
Ma cchiù o meno, se pò ssapè ch’è stato?
DE MURO
Niente, — è fenuto!… Ch’eva essere?
ANTINORI
Ma quanto è certo Dio, a vuie ’a capa nun v’aiuta… Aieressera: ”Bene mio e core mio„ e, ogge, accussì, ’e bello, ’a ’ncontro pe’ Tuledo, e me dice ca tutto è fernuto…
DE MURO
(subito)
Tu l’è ’ncuntrata?
(impallidisce)
ANTINORI
(ridendo)
E a te che te ne ’mporta?
DE MURO
No, niente. Dico: tu l’hai incontrata, e, naturalmente anche lei t’ha detto ca tutto è finito.
ANTINORI
(ridendo)
Sì… fino a dimane…
DE MURO
No, nun ridere, ca mi dispiace, perchè ti giuro che stavolta è finita; vedi, è finita, per quanto voglio bene…
ANTINORI
(turandogli la bocca:)
Nun giurà… Statte zitto…
DE MURO
Ma sto allegro, ― vedi, ― mai come a ’sta volta sto allegro, come si niente fosse stato… Ah, la liberazione, capisci? — la libe-ra-zio-ne!… Pozz’î, pozzo venì,… pozzo fà chello ca voglio…
(e continua a discorrere)
MANCINI
(scattando d'un tratto)
A chi?… I ”macchiaioli„ di Firenze che dicono di avere creato l’impressionismo? E chesto l’aveva creato la scuola di Posillipo… Romanticismo, verismo, impressionismo: ccà tutto è nato primma…
GIGANTE
Mo ave ragione isso… ’A scola ’e Posillipo, va bene, — oramai è fuori discussione, — ma la scuola di Portici, fondata da de Nittis e Rossano… ’a scola d’é Parule, fondata da Esposito…
(e la conversazione continua animatissima)
DE MURO
No…. no… no… no… che vuò? In quanto a questo siamo in due ordini di idee completamente opposte… Ma tu capisci ca chella va allo studio di Siano, che poi non è nemmeno un artista, — è un imbecille qualunque, — per posare nuda… Se quella è la sua naturale tendenza: fare la…
ANTINORI
(turandogli di nuovo la bocca)
Zì… zì… zì… Non esagerare…
(in un orecchio, canticchiando:)
Quando s'é come voi,
non si vive in compagnia…
DE MURO
E perciò, ognuno piglia la sua via, e così…
(non trova le parole, — poi scatta:)
Vicenzella è una cosaccia! Cchiù faie p’’a…
(fa dei gesti con le mani, come a significare: più fai per portarla su)
e chella cchiù se ruciulea dint’’a lota, perchè, in fondo, mio caro, ognuno segue il suo naturale destino…
CICCILLO
(venendo con la ”zuppiera„ di maccheroni:)
’E piere… ’e piere…
DE MURO
(ad Antinori:)
Va magne, ca po’ ne parlammmo…
ANTINORI
(si accosta lentamente alla tavola, tentennando la testa, e sorridendo con amarezza. Poi, volgendosi a Ciccillo, esclama:)
Ma ch’eveno pronte?
CICCILLO
Ma che pazziate?! Quello è uno espresso ca Scialone l’ha fatto propetamente cu ’e mmane soie…
GIANFRANCO
(a Ciccillo, gridando:)
’Stu vino vene o nun vene?
SCHETTINI
(levando la bottiglia vuota, grida:)
Vino… vino… vino…
CICCILLO
(turandosi le orecchie, e precipitandosi verso il fondo:)
Viene… viene… viene…
ANTINORI
(mangiando voracemente:)
Il manifesto rosso ha suscitato un delirio. Al comizio di domenica, a Vicaria, avremo cinquantamila operai… Turati è con noi. Il proletariato si desta!
MANCINI
E chisto è n’ato che ’a capa nun l’aiuta!
ANTINORI
Statte cu’ st’idea tu, ca staie frisco… L’arte e la politica, miei cari, camminano a braccetto. Chi non sente nel fondo del suo cuore l’urlo lacerante della miseria, è un fetente — non è un artista, — ed io lo prendo a calci nel sedere.
(agitando la gamba, scuote e solleva la tavola, suscitando un immenso fracasso di piatti, bottiglie, bicchieri.)
GIGANTE
Aspè…
SCHETTINI
(ridendo)
Tiene ’n mano…
MANCINI
Chist’è pazzo!…
GIANFRANCO
Mantiene!
ASSUNTA, AMELIA, IDARELLA, ANGIOLINA, CONCETTINA, NANNINELLA, BIANCHINA, PUPESSA, COCÒ, poi CICCILLO, e gli ARTISTI.
Cocò sale la scaletta con gran rumore, in fretta, sventolando il foglio, sul quale è riprodotta la sua immagines, a matita, e mandando piccoli gridi di gioia.
Tutta la comitiva si volge verso il giovinetto. Nel frattempo si odono voci argentine, — risate lunghe, clamorose, qualche voce, qualche ”battimano„.
Ed ecco che irrompe la gaia comitiva delle sartine che han litigato con i loro innamorati. La scena si ravviva, come per incanto.
È come un soffio di primavera, in questo malinconico autunno.
LE GIOVANETTE
(invadendo, d'un tratto la scena, salutano i pittori con degli allegri e rumorosi:)
— Buona sera!
— Bona sera!
(ridono e sventolano i fazzoletti)
ANTINORI
(saluta, agitando l'enorme cappello)
GLI ALTRI ARTISTI
(rispondono, cordialmente, al saluto:)
— Bona sera!
— Bona sera!
AMELIA
(fa per andare verso la piccola porta di sinistra)
ASSUNTA
Addò vaie?
NANNINELLA
Viene t’assetta.
AMELIA
(ritornando sui passi)
E che ssaccio, chillo c’ha ditto: ca nce steveno ll’ati stanze cchiù ’ncoppa…
ANGIOLINA
I’ ’a ccà nun me movo…
CICCILLO
(venendo dal fondo:)
Gragnano spumante…
(e depone tre bottiglie di vino sul tavolo)
Gli artisti, eccitati dalla dolce visione femminile, accolgono con gioia il ”nettare degli dei„
GLI ARTISTI
(salutano l'arrivo di Ciccillo, con un formidabile:)
Ohoooo!…
AMELIA
(sottovoce, ad Assunta:)
Giesù, e si nce vede quaccuno?
ASSUNTA
Madonna, e quanta vuommeche! — Sì ’o ssapevo, nun nce venevo.
CARDELLA
(agli artisti)
Ma vuie vedite quanto so’ bellelle?!
MANCINI
’A bionda… ’a bionda pare nu ”Michetti„.
SCHETTINI
Maestro, e ’a bruna? — Guardate ’a bruna che bella tinta di capelli…
(Le sartine, intanto, siedono rumorosamente)
BIANCHINA
Ahaaa!… Come si sta bene sotto alle fresche frasche!…
ANTINORI
(levando il bicchiere, e rivolgendosi alle fanciulle:)?
All’eterno femminino!
(Le fanciulle rispondono con la più clamorosa delle loro risate)
GIANFRANCO
(ad Antinori:)
Tu ’ê ’â parlà dint’è cumizie: ccà nun te truove!
ASSUNTA
E ched’è, ccà nun vene nisciuno?
CONCETTINA
(a Pupessa:)
Dà na voce al cameriere.
PUPESSA
(dall'alto della scaletta, gridando:)
Neh, bellu giò!
COCÒ
(che se n’era stato in disparte, nascosto dietro l’albero, viene avanti, si presenta a Bianchina, fa una magnifica riverenza e le offre il garofano.)
BIANCHINA
(che se lo vede comparire dinanzi:)
Madonna, e che paura!
COCÒ
(con gesti di ammirazione:)
Beeell! Beeell! Beeell!…
(E vuol mostrare alla fanciulla il suo ritratto)
— Le ragazze scoppiano a ridere —
MANCINI
(alludendo a Cocò:)
Che capo d’opera!
BIANCHINA
(un pò rutata, — a Cocò:)
Lete ’a lloco!
COCÒ
(ride, ed insiste nell’offrire il fiore:)
Bell!… bell!… bell!…
IDARELLA
’E capito: vattenne? — Uommene nun ne vulimmo!
(gli dà uno spintone, e Cocò, tutto mortificato, si allontana e va a sedere sul muricciuolo, in fondo)
CARDELLA
(con aria intraprendente)
E pecchè?
IDARELLA
E pecchè ’o libro d’’o pecchè andò a mare e si perdè!
CARDELLA
Io una domanda vi ho fatta…
IDARELLA
(rifacendo la voce di Cardella)
E io una risposta vi ho data…
SCHETTINI
Site accussì bellella, e site accussì schiattosa…!
IDARELLA
Embè, avite visto?!
(le compagne scoppiano a ridere)
CONCETTINA
(battendo forte col coltello sul piatto)
Cameriere! Cameriere!
CICCILLO
(di giù, gridando:)
Viene…
ANTINORI
(ad Idarella)
Le altre ”Musette„ invece, vedete come stanno allegre?!
ASSUNTA
E sapite pecchè stammo allegre?
TUTTI GLI ARTISTI tranne DE MURO
(con viva curiosità)
— Perchè?
— Perchè?
— Perchè?
ASSUNTA
Pecchè avimmo fatto sciarro cu’ e nnamurate nuoste…
(gridando più forte:)
Cameriere!
MANCINI, GIGANTE, GIANFRANCO, SCHETTINI, CARDELLA, ANTINORI
(scoppiando in una clamorosa risata:)
Ohoooo!…
BIANCHINA
Nun è overo!
IDARELLA
’Sta scema!
CONCETTINA
Nun ’a state a ssentere!
(quasi contemporaneamente)
CICCILLO
(venendo in fretta, con il berretto a sghimbescio, anche lui inebbriato da questo inaspettato soffio di primavera.)
’E piere!… ’E piere!…
IDARELLA
(a Ciccillo:)
Giuvinò, vuie nce avita dà nu poco ’e cunfidenza pure a nuie, sinnò aizamo ’ncuollo, e nce ne jammo!
CICCILLO
Voi ordinate… ed io vi servo…
(con una intonazione leziosa, che non gli è abituale)
CONCETTINA
Che tenete di pronto?
BIANCHINA
I’ vulesse fichi e priggiotto.
ASSUNTA
… ’O vvide ca nun nce sta apane, nun ce sta vino, — nun ce sta niente!…
IDARELLA
Si ’e fagioli assoluti sò pronte…
NANNINELLA
… I’ pe’ me, voglio nu muorzo ’e menesta…
ANGIOLINA
… Sì nun puorte l’antipasto…
PUPESSA
(urlando, con le mani ad imbuto, per far trionfare la sua voce su quella delle sartine che parlano a coro:)
Faciteme nu vermiciello…
CICCILLO
(sedando con le mani il tumulto:)
Uno alla vorda,
uno alla vorda,
per carità!…
(Stavolta i pittori frenano a stento la risata)
ASSUNTA
Nè, e chi t’’o ffà fà?
NANNINELLA
’A dò le vene a chisto?
IDARELLA
Iammo, nun fà ’o ridiculo, — va dicenno: che tiene?
CICCILLO
(in fretta, a cantilena:)
Nu buono vermicello, nu fagiolo, ’na menesta, nu fegatino, nu rognone, ’na custatelle ’e maiale, ddoie sasicce, nu fritto misto, nu pollo alla cacciatora, nu buono ragù di casa, ’na genovesa, ’na bella turtiera ’alice.
ASSUNTA
CICCILLO
ASSUNTA
CICCILLO
Allora, vermicelli per tutti?…
IL CORO DELLE SARTINE
Eh…
Sì…
… Ma spicciate…
ASSUNTA
(ripete, più forte)
Cuotto e nun cuotto…
CICCILLO
Verde… sta bene?…
(grida verso giù:)
Patrò…
(e fa per allontanarsi.)
IDARELLA
BIANCHINA
E nu surzo d’acqua, ca m’arraggio d’’a sete…
CONCETTINA
Vì che a tavola nun nce sta nè pane nè vino…
CICCILLO
Subito viene…
(Ed esce in fretta pel fondo)
CARDELLA
(si leva, ed offre una bottiglia di vino alle fanciulle)
Se volete cominciare…
ASSUNTA
No…
ANGIOLINA
Grazie tante…
CONCETTINA e LE ALTRE
Pecchè ve vulite mettere in cerimonie?
ANTINORI
Accettate. È rosso come la nostra bandiera…
CARDELLA
(versa il vino nei bicchieri)
LE SARTINE
(levando i bicchieri:)
GLI ARTISTI
(levando anch'essi i bicchieri:)
Alla salute!
AMELIA
(ad Antinori:)
ANTINORI
No. Abito ai Ponti Rossi.
(declamando:)
La mia stanza è una tana squallida,
il fuoco spento; v’entra e s’aggira…
I PITTORI
(a coro)
vento di tramontana…
CICCILLO
(recando un piatto enorme:
Pane, fichi e priggiotto.
(Grandi ovazioni accolgono il garzone e l'antipasto.
S’ode dall'interno uno schioccar di frusta, ed un gaio ed interminabile tintinnio di sonagli.
Di giù, la gran voce roca di Scialone:)
Cecciiiii!…
CICCILLO
(a sua volta, gridando verso sinistra:)
Tatoooò!
(e corre, giù pel fondo)
TOTONNO
(precipitandosi per la scaletta di sinistra, e scomparendo pel fondo:)
Gnoooooò!…
— S'ode ancora un tintinnar di sonagli; poi, voci, saluti, mormorio, confusione —
IDARELLA, AMELIA, CONCETTINA e PUPESSA
(corrono ad affacciarsi al muricciuolo, in fondo)
IDARELLA
Assù, viene vide: stanno arrivando ’o duca e ’a duchessa…
CONCETTINA
Madonna, e che nubiltà!
ASSUNTA
Seh, staie fresca… e i’ mo me soso!…
ANTINORI
(agli altri, indicando le fanciulle:)
Mo l’îta guardà… comme stanno mo… in mezzo alle foglie… con quello sfondo di campagna ca se vede e nun se vede… Una meraviglia!…
DONNA CARMELA SCHIAVONE, DON GIOVANNINO AMMENDOLA, DON ERMINIO SCHIAVONE, MIMÌ, BEBÈ, NUNÙ, SISINA, NANELLA, PACIONE, MATALENA, che reca il poppante fra le braccia, SCIALONE, CICCILLO, TOTONNO, COCÒ, E GLI ARTISTI E LE SARTINE.
Donna Carmela, una bella ”maesta„ un pò matura, ricca di perle e di oro, si appoggia al braccio di Don Giovannino Ammendola, un bell’uomo dall’aria ”ammartenata„ e grottescamente galante. Segue don Erminio Schiavone, con due bambini per mano, uno in braccia, e gli altri attaccati alle code del suo tight nocciuola.
Erminio Schiavone ha un pò l’aria di essere il padre di sua moglie, ma, in realtà, non è che una losca macchietta, come un pò losca, in fondo, è tutta questa piccola comitiva. Scialone fa strada alla ”troupe„ dando ordini a voce altissima. E’ un fastidioso confusionario questo Scialone.
SCIALONE
(a Ciccillo)
’A tavula è pronta?
(a Totonno)
Dì c’acalasseno ’e maccarune…
(a Cocò:)
Da ’na voce all’ostricaro…
DON GIOVANNINO
(a Scialone:)
È ccà o cchiù ’ncoppa?
SCIALONE
’A stanza superiora. Me dicisteve chella?
DON GIOVANNINO
Pricisamente.
(nel venire avanti, la nuova comitiva saluta i presenti. Don Giovannino porta a pena la mano al cappello)
SCIALONE
(a Don Giovannino)
’O ssolito; p’’o cucchiere nce penzo io?
DON GIOVANNINO
Pricisamente. ’O vino te raccuanno, ca p’ ’a cucina intanto ne rispongo semp’io.
SCIALONE
Nun dubitate. Tengo ’na butteglia ’e gragnano spumante, ca, quanno l’asaggiate, me ne date ’na voce.
DON GIOVANNINO
(procedendo alla presentazione:)
La commara Carmela Schiavone, il suo marito, i loro bimbinelli, e l’amico Scialone.
(Scialone, col berretto fra le mani, si abbandona a grandissimi inchini, a cui i coniugi rispondono con leggeri cenni del capo.)
DON GIOVANNINO
Commà, Scialone è il Pataterno della cocina casareccia. Te fa ’na bragiuola imbottita, ca, senza offesa, potarrebbe accoparire innanzi a una sua ardezza riale.
(e così dicendo, si avvia per la porta di sinistra, seguito da tutta la comitiva)
(a Donna Carmela, cedendole il passo:)
Preco. La ronna innanzi, per bia che anco nella ristrettezza dell’amicizia, bisogna a procetere con il calaté.
Le sartine scoppiano in una lunga risata, tanto più clamorosa per quanto più lungamente repressa.
ASSUNTA
Tu ’ê visto a chillo?
IDARELLA
Giesù, chillo m’ha fatto venì ’na cosa dint’’o stommaco!
GIANFRANCO
(con l'occhio ancora volto verso la comitiva che si è allontanata)
Che capo d’opera!
MANCINI
Carattere… colore… ’Na meraviglia!
GIGANTE
E dire che in un paese com’’a chisto, nce stanno ancora gente ca pittano ’o marenaro cu ’a pippa ’mocca!
AMELIA
Ma ’o marito era ’o cchiù giovine o ’o cchiù viecchio?
BIANCHINA
’O cchiù viecchio, l’ê ’ntiso?
NANNINELLA
E comme, a chella aità tene na criatura ’e latte?
ASSUNTA
(le dice qualcosa nell'orecchio)
NANNINELLA
(scoppiando a ridere:)
Vattenne, — tu quando si sporcacciona!
(La frase di Assunta fa il giro della comitiva, e ogni sartina la ripete all’altra, nell’orecchio, provocando queste esclamazioni:)
ANGIOLINA
Uh, Madonna!
BIANCHINA
Giesù!
CONCETTINA
Quanto si triviale!
IDARELLA
A che bba penzanno!
(piccole risate, trattenute dal pudore)
CICCILLO
(recando una enorme zuppiera di maccheroni:)
’E piede… ’e piede!…
(e depone la zuppiera sulla tavola delle sartine)
Vermicelli al filetto di pomodoro!…
Un uragano di applausi. Le fanciulle si mettono all’opera con singolare voracità: la tavola si rianima, come per incanto.
SCHETTINI
(a Ciccillo)
’Stu rappolo d’uva vene o nun vene?
CICCILLO
Uva muscarella? Subito viene.
GIGANTE
Si t’abbusche nu granato, portammillo…
(Ciccillo esce pel fondo)
Durante questa seconda metà dell’atto il via-vai di Totonno e Ciccillo è continuo. L’uno reca da pranzo agli avventori del ”pergolato„ e a quelli delle stanze superiori, e l’altro reca bottiglie, fiaschi e boccali di vino, sempre in gran fretta, e con grandissimo movimento.
Il vecchio ostricaro borbonico, attraversa la scena, lentamente, e reca una enorme cesta di ostriche nelle stanze superiori.
IL VECCHIO
(traversando la scena, — con voce sdentata:)
Bonasera e salute!
ASSUNTA
(agli artisti:)
Nun v’avimmo ditto manco: state servite.
CONCETTINA
Chille nun abbastano pe’ nuie!
NANNINELLA
E che c’entra questo? Bisogna sempre a procedere con il ”calatè.„
(rifà la voce di don Giovannino Ammendola. Grande ilarità).
Ecco VICENZELLA
In fondo appare Vicenzella. Ha la faccia verde di bile. Veste povera, ma capricciosa. Le mani nelle tasche della piccola giacca bleu, ed il fazzoletto di seta rossa intorno al collo. S’arresta un istante: volge gli occhi d’intorno, — i grandi occhi neri, velati di malinconia, che più risaltano sul rosso ardente del fazzoletto, — si morde più volte, nervosamente, il labbro inferiore, — poi scuote la testa, — e viene avanti.
VICENZELLA
(traversa la scena, senza guardar nessuno, e va a sedere alla piccola tavola, che è in alto, sotto l’erba rampicante)
(Nel passare dice un rabbioso:)
Bonasera!
DE MURO
(impallidendo, — ad Antinori:)
Vicenzella!
(diventa cadaverico)
DE MURO
(ad Antinori, concitatissimo, mordendo il tovagliolo:)
Tu ce l’è ditto.
ANTINORI
’O ssapeva primma ’e me. Pare nu sbirro ’e pulizia.
DE MURO
Dincello ca se ne jesse, si nò, quanto è certo Dio, faccio nu guaio!
ANTINORI
E aspè, non ghi’ ’e pressa…
E MURO
Mo haddà essere!
ASSUNTA
(sottovoce, alle compagne:)
I’ dico ca sì, ma chesta po’ se n’è venuta solo p’’o deritto!….
(le sartine mormorano qualcosa: fanno qualche apprezzamento.)
VICENZELLA
(aspra, alle sartine:)
Parlate cchiù zitto, ca j’ ’e rrecchie ’e tengo bone.
(e volge, con un movimento dispettoso, la testa dall'altra parte.)
ASSUNTA
Ccà nisciuno v’ha turciuto, bella gio!
VICENZELLA
(senza volger la testa:)
E vuie me turciveve!
DE MURO
(allarmato, ad Antinori:)
Mo vide ca s’appicceca cu chella!
IDARELLA
(ad Assunta, — un pò timida:)
Te vuò stà zitta?
VICENZELLA
(cambiando imediatamente tono:)
Lassat’’a parlà… I’ nun me piglio collera. Manco p’’a capa!
(e scoppia a ridere clamorosamente, e, con lei, ridono tutte le altre)
NANNINELLA
(bevendo, — un pò rossa in viso:)
’A verità, ’stu gragnano se ne scenne…
BIANCHINA
(ridendo, e bevendo anch'ella:)
Te n’ê fatto già tre bicchiere…
VICENZELLA
(ancora rivolta alle sartine:)
A me nun nce avita venì appriesso…
(imitando la voce di ”qualcuno„)
”Sono un tipo sbetico… sono mezza pazza… e debbo andare al manicomio!„
(dà un colpo col coltello sul piatto)
Eh, mo nce vaco!… J’ facc’ j’ a’ pazzaria!
BIANCHINA
(toscaneggiando ancora:)
Se è per noi, nessuno v’ha detto niente…
VICENZELLA
(mordendosi ancora il labbro inferiore:)
No… grazie… Parlo io e io…
(battendo più forte il coltello sul piatto:)
Cameriere!
CICCILLO
(venendo dal fondo, — con il berretto a sghimbescio:)
Comanda, madamigella…
VICENZELLA
DE MURO
(fa per levarsi: è un movimento istintivo, — ma, giacchè nel dire: ”E bonasera!„ Vicenzella scoppia in una di quelle sue nervose e interminabili risate, de Muro cade a sedere, scrollando più volte la testa)
CICCILLO
(rimanendo in atteggiamento statuario:)
I’ nun me sò manco muoppeto!
ASSUNTA, NANNINELLA, BIANCHINA
(ridendo con pietà:)
Povero crestiano!
CICCILLO
(immobile, con voce grave — cantando:)
Guarda don Bartolo
sembra una statua…
VICENZELLA
Portami mezzo pollo…
CICCILLO
(si allontana comicamente, — misurando i passi, e agitando le mani.)
ANTINORI
(si leva, e lentamente si accosta a Vicenzella. Siede al tavolo, e le parla con tono di dolcezza:)
VICENZELLA
Pecchesto.
ANTINORI
… Sienteme a me, vattenne. Nun facimmo storie ccà…
VICENZELLA
Storie ’e che?… I’ mangio e pago, — e nun aggia da’ cunto a nisciuno.
ANTINORI
… Ma vulimmo fa’ ridere ’a ggente?
VICENZELLA
Nun ce sta niente ’a ridere. I’ nce sò capitata scasuarmente: me moro ’e famma.
ANTINORI
Scasuarmente?
(guardandola negli occhi)
VICENZELLA
Sine, sine…
(le vien da ridere, ma immediatamente cambia tono e ridiventa verde in volto:)
… E manco ’e scuppettate me smoveno ’a ccà…
ANTINORI
(manda un sospiro, si leva, e lentamente torna alla sua tavola. Dice qualcosa nell’orecchio di de Muro, che si agita, e gesticola nervosamente.
— Nel frattempo Schettini, Gianfranco e Cardella si sono accostati alla tavola delle sartine, con le quali han fatto comunella.
Son rimasti, però, in piedi, formando, così, un gruppo artistico.
CARDELLA
(ad Idarella)
… Mo tenite ’o core dint’o zucchero, è ovè?
IDARELLA
E sì, mo nce mettevemo a chiagnere!
SCHETTINI
E a ’o nammurato vuosto nun nce penzate poco?
IDARELLA
Manco tanto…
GIANFRANCO
(a Nanninella:)
Si ve faccio ’na domanda, me rispunnite?
NANNINELLA
(tutta rossa in viso:)
A sicondo.
GIANFRANCO
… Comme se chiamma ’o sposo vuosto?
NANNINELLA
Si chiamma Capardo Giuseppe, e accaccia ’e ccanzone.
— Vicenzella, intanto, si leva, sale sulla sedia, strappa alcune foglie dall’albero, e ne stringe una fra i denti. Poi comincia a fischiare un motivetto. De Muro si agita sulla sedia, gesticola, borbotta parole, — poi tace, — e poi ricomincia ad agitarsi.
CARDELLA
E pecchè ve ce site cuntrastata?
NANNINELLA
… Pe’ ’na sciucchezza ’e niente. Pecchè dummeneca me stette tre ore dint’’a cchiesia…
VICENZELLA
(senza volger la testa:)
Avite fatto proprio buono!
CARDELLA
(a Concettina:)
E ’o vuosto?
CONCETTINA
’O mio era lavorante calzolaio: nu buono giovane, ma troppo geluso… Figurateve ca ’na vota me pigliaie c’’o trincetto, pecchè i’ evo juta a ’o triato San Ferdinando cu nu frato cucino d’’o mio, furiere ’e marina…
ASSUNTA
(un pò accesa dal vino:)
I’ ne tenevo tre, — ma uno ne vulevo bene, e chillo ha dato parola sapato passato…
VICENZELLA
(fra i denti:)
… L’uommene!
DE MURO
(la fulmina con lo sguardo)
IDARELLA
Giesù, che faccia tosta! E ’o va dicenno pure…
ASSUNTA
I’ so’ schietta e riale. Chello ca tengo ccà, tengo ccà…
(a Bianchina:)
Damme nu surzo ’e vino…
GIANFRANCO
(a Pupessa:)
E tu… pure tiene ’o nammurato?
PUPESSA
(ridendo:)
… ’O tenevo…
GIANFRANCO
… E t’ha lassata?
PUPESSA
(offesa:)
Me lassava?! — L’hanno ’nzerrato dint’’e Cappuccinelle…
BIANCHINA
Ah, faccio buon’io che all’uommene nun ’e credo!
VICENZELLA
(amara)
… Comme a me… I’ all’uommene nun ’e calculo… Uno ne piglio, e n’ato ne lasso… Mo me vene appriesso nu tenente ’e fanteria ch’è bello sul’isso… Biondo, fino, delicato, tene ’e llire, e parla frastiere… Quanto me piace!
DE MURO
(scattando, e alzando il tono della voce:)
… Ma è una sgualdrina o no? — Io questo vi domando…
ANTINORI
(calmandolo:)
… Vabbuò,… chella pazzea…
MANCINI
’O ddice pe’ te fà sentere currivo…
VICENZELLA
(che ode le parole di Antinori e Mancini:)
DE MURO
(a Vicenzella, gridando:)
… Smettila, mannaggia chillu Di…
(verde in volto, stringe nervosamente con la mano un angolo della tavola e la solleva)
— Un mormorio fra le sartine. Giancarlo, Cardella e Schettini si accostano a de Muro. Antinori va presso Vicenzella.
VICENZELLA
(a de Muro)
Chi siete voi? Chi vi conosce?
DE MURO
(agli artisti:)
… Chesta me vò fà passà nu guaio a me!…
(ha le lacrime nella voce)
VICENZELLA
(con tono di sfida:)
… Tenitelo forte, — nun nce ’o facite passà ’stu guaio!
DE MURO
(fa per lanciarle contro un bicchiere)
GIGANTE
GIANFRANCO
… Ma che sì pazzo?
MANCINI
… Ma che modo è questo?
ANTINORI
(a Vicenzella, — turandole la bocca:)
… Assettate, e zitta tu!…
VICENZELLA
(mugolando, con la bocca imbavagliata:)
… Oh, tu sì venuto ’ncampagna? — E sò venuta pur’io… C’avive lassata ’a serva a’ casa?
DE MURO
(a denti stretti:)
Ma ’o vide ca i’ nun voglio parlà, e tu me vuò fà parlà pe’ forza…
GIGANTE
(a de Muro:)
Ma è mai possibile che avita fà ’stu teatro avante a’ gente?
DE MURO
E che songh’io?
ASSUNTA
(levandosi, insieme alle altre compagne, e circondando Vicenzella)
IDARELLA
Sò nzirie ’e nammurate…
CONCETTINA
Subeto fernesceno…
VICENZELLA
(liberandosi dalla stretta delle sartine:)
E che ê ’a dicere?
DE MURO
Niente…
VICENZELLA
(urlando:)
Signori miei, sapete tutto il contrasto pecchè è stato?
DE MURO
Zitta, mannaggia!…
(e fa nuovamente per avventarsi. Stavolta è così eccitato che fa paura.
(Gli amici a stento rescono a trattenerlo)
VICENZELLA
(che, dinanzi alla violenza, perde tutta la sua audacia, siede, mormorando:)
Basta… basta… È finita… Nun parlo cchiù… nun parlo chiù!
(e comincia a singhiozzare disperatamente, con la testa fra le mani)
Le sartine la confortano, mentre gli artisti calmano de Muro, che borbotta ancora parole incomprensibili.
IL «PEZZENTE DI CAMPAGNA»
Entra il ” pezzente di campagna „.
Alto, magro: una faccia tutta ossa, e l’espressione dell’automa. Si appoggia alla lunga mazza, e reca un sacco sulle spalle.
IL VECCHIO
(ripetendo la sua cantilena)
Fate la carità… Fate la carità…
(e va presso le tavole)
VICENZELLA
(si scuote, alza la testa, si asciuga gli occhi, con un gesto di dispetto, e battendo forte col coltello sul tavolo, grida:)
Cameriero…
CICCILLO
(venendo dal fondo)
Mezzo pollo a grande velocità…
(e reca il piatto con il pollo)
VICENZELLA
(senza guardare il piatto:)
CICCILLO
(cavando un paccottino di sigarette dalla tasca:)
Sicarrette, pronte.
Compariscono, intanto, nel fondo i ”Posteggiatori„ e cominciano a strimpellare un ballabile. Due tre coppie di sartine ballano).
VICENZELLA
(a Ciccillo:)
Famme accennere…
CICCILLO
(porgendole i cerini)
Pronti i cerini.
(E va via, pel fondo)
VICENZELLA
(la sigaretta fra le labbra, — fuma con aria dispettosa; poi, accorgendosi dei suonatori, si accosta ad uno di essi — al più vecchio — e poggiandogli la mano sulla spalla, gli domanda:)
… Sapite sunà ” 'O marenariello ”?
IL PIÙ VECCHIO DEI SUONATORI
(quasi offeso:)
Comme?!
VICENZELLA
E ssunate. I’ canto.
(al pezzente, costringendolo a sedere al suo posto:)
Assettate cca’ tu, — e magna…
Tutti riprendono i loro posti. I suonatori ” intonano „, la dolce introduzione della divina canzone di Gambardella fra la commozione dei pittori e delle sartine.
MANCINI
(commosso:)
Povero Gambardella!
Appare, in fondo, Cocò, attratto dalla musica. Si abbraccia all’albero, poggiando la sua testa contro il tronco. E ascolta a bocca aperta. Sembra quasi trasfigurato. Gli artisti e le sartine ascoltano, assumendo ognuno di essi, un’aria malinconica e pittoresca. Fra le foglie trema un raggio di luna.
Tutta la scena è un quadro.
VICENZELLA
(con un fil di voce, sospira:)
Oi né, fa priesto, viene,
nun me fà spantecà,
ca pure ’a rezza vene
che a mare sto a mmenà
Meh, stienne ’sti braccelle,
aiutame a tirà,
ca stu marenarielle
te vò sempe abbraccià…
Vicin’’o a ’o mare
facimmo ammore
a core a core
pe’ nce spassà…
Qualche sartina e qualche pittore, inebbriati dalla musica, a mezza voce, fanno il coro:
Sò marenaro
e tiro ’a rezza
ma p’allerezza
stongo a murì!
IDARELLA
(scoppia a piangere forte)
La canzone è interrotta.
ASSUNTA
(scuotendo Idarella:)
Oh, e che t’afferra?
IDARELLA
(fra i singhiozzi)
Vulesse fà pace cu ’o nammurato mio!
Lo sguardo di de Muro si incontra con quello di Vicenzella: si guardano a lungo — de Muro ha gli occhi pieni di lacrime.
VICENZELLA
(guardandolo, con tenerezza infinita, e accostandoglisi un poco)
Imbecille!… Imbecille!…
DE MURO
(ha un piccolo singhiozzo:)
Vattenne!
VICENZELLA
Imbecille mio bello!…
(son vicini, ora, l'uno all'altra)
Te voglio tantu bene… Tantu bene te vò Vicenzella toia!…
(cadono l'uno nelle braccia dell'altra)
I pittori e le sartine, nel vedere gli amanti abbracciati, stanno per dare in acclamazioni.
Antinori, portando il dito sul naso, fa segno che tacciano, e induce la comitiva a ritrarsi in fondo, per ammirare la campagna, sotto il raggio della luna.
I pittori e le sartine con scherzosi: "Ssts!.. sstsstss!„… si allontanano in punta di piedi ― Cocò, nel sorprendere gli amanti abbracciati, manda un grido di gioia, strappa il garofano dall’occhiello, e lo lancia alla coppia, gridando:
COCÒ
Bell!.. Bell!… Bell!…
IDARELLA
(con un piccolo grido:)
’A luna!… ’a luna!…
BIANCHINA, ASSUNTA, CONCETTINA
(intenerite)
’A luna… ’a luna!…
— Le sartine e i pittori guardano verso la campagna, mentre Cocò, intenerito, lancia loro dei piccoli baci. Qualche voce sospira ancora:
Vicino ’o mare
facimmo ammore
a core a core
pe’ nce spassà…
DE MURO
(a Vicenzella, stringendosela al cuore:)
Tanto me vuò bene?…
VICENZELLA
(con infinito abbandono:)
Tanto!… Tanto! Tanto!
(ha un piccolo singhiozzo nella voce)
— In lontananza, le ultime note della canzone di Gambardella —
E CALA LA TELA
L’AMBIENTE:
Nello studio di Peppino de Muro, — uno di quei caratteristici e singolari studii di pittori napoletani, in cui l'elemento artistico si fonde, con strana armonia, nell'ambiente. Accanto a “Psiche„ o alla maschera di “Beethoven„ è ben facile sorprendere qualche vecchio arnese casalingo, o, per stabilire i termini antitetici, la maschera di “Pulcinella„, o la enorme tuba bianca del “guappo antico„.
Una piccola consolle settecentesca, nel fondo, e su di essa: libri, dappi, tazze, frutta, fiori, quadri. — Una chitarra, attaccata al muro, in un angolo — Quadri, quadretti, disegni, bozzetti, tele, tavolozze, pennelli, stoffe, dovunque.
Un piccolo divano verdastro, sul quale dorme l'enorme e malinconico “Muscione„.
A destra, una piccola porta, che, mediante una scaletta visibile, mette nella povera e soleggiata casa di de Muro. Su questa porta si apre — come un grande occhio luminoso — una finestra. Un'altra grande finestra è a sinistra, in fondo, e illumina tutto l'ambiente. Tra il soffitto e l'arco una tenda bianca.
Drappi di ogni colore: roso cupo, viola, verde, bianco, nero, celeste pallido, rosa…
In un angolo, una piccola “Madonna„ dinanzi alla quale arde una lampada.
I dipinti – tranne qualcuno che è attaccato alle pareti – sono disposti, quà e là, disordinatamente: un “autunno„ – una “marina al sole„ – una “piccola chiesa di campagna„ – “barche pescherecce, di notte„ una “antica Santa Lucia„ –, e “Vicenzella„ motivo predominante, su tutte le tele: Assunta Spina, è lei; zì Munacella, è lei; Crestina 'a capuana, è lei; Anema bella; Colombina; Chiarina Beneduce, lei, sempre lei, la piccola e grande ispiratrice di Peppino de Muro.
“Zerillo„ irrequieto e canoro, si agita nella gabbietta, che è sospesa alla finestra, dietro la quale spunta il piccolo albero carico di limoni.
Due, tre cavalletti. Ad un cavalletto lavora Michele Gigante. Egli riproduce sulla tela “Aitaniello Palumbo„ il garzone del fornaio, nella “posa„ di “Pulcinella in atteggiamento di stanchezza„, col dorso poggiato al muro, la maschera alzata sulla fronte, ed il mezzo sigaro spento, fra le grosse dita inanellate.
E per tanto il vecchio Gigante lavora nello studio di de Muro, in quanto il giovane e glorioso pittore ama dare ospitalità ai suoi compagni più poveri che non sono riusciti, in tanti anni di lotta, a crearsi il loro cantuccio per lavorare. E quì, a Napoli, ve ne sono parecchi.
Più in alto è il cavalletto di de Muro, con sopra una tela bianca. Cattivo segno: de Muro non dipinge!
Ad una panca, in fondo, siede “Donna ’Ndriana„, una rossiccia enorme, sfiancata, dalla faccia lentigginosa e dall'occhio torvo. Si fa vento col fazzoletto, sbuffa ed agita, di tanto in tanto l'ombrello.
A destra, in fondo, è la porta di entrata, una porta verdastra, ad un solo battente, che dà sul viottolo campestre, bianco e lucente sotto il sole d'estate. De Muro è, come sempre, alle prese con Cimarosa.
DE MURO, GIGANTE, CIMAROSA, AITANIELLO PALUMBO
DONNA NDRIANA
DE MURO
(a Cimarosa, — raccogliendo un quadretto da terra, prendendone un altro dal cavalletto, un altro dalla sedia, un altro dalla “ consolle „. — con voce di collera:)
E chisto ’o vuò?… Chist’ato?… Chist’ato?… Pigliate tutte cose…
CIMAROSA
Chiano, chiano, figlio bello, tu t’allumme comme a nu fiammifero… Cimarosa è galantomo.
GIGANTE
(mandando un grido:)
Ahaaaa!
CIMAROSA
(accostandosi a Gigante, e battendogli con la mano sulla spalla, col suo eterno sorriso:)
GIGANTE
(senza smettere di dipingere:)
Quanto sei schifoso!
CIMAROSA
(calmo e sorridente:)
Ah, ’sti parole, ’sti parole!… Nun se diceno ’sti parole a Cimarosa…
GIGANTE
(si leva, col pennello fra le mani:)
Ci dissangui, per la Madonna!
CIMAROSA
(con un gesto delle mani lo invita alla calma)
DE MURO
(intervenendo, — ai due:)
Ve voglio bene; nun perdimmo tiempo…
(a Cimarosa)
Ciente lire me servono. Pigliate tutto chello ca vuò.
AITANIELLO PALUMBO
(a Gigante:)
E ghiammo bello, a j’ ’e rine nun m’ê ssento cchiù!
GIGANTE
(nervoso, ritornando al lavoro, sbuffa, e grida a Palumbo:)
CIMAROSA
(a de Muro:)
Avimmo ditto: ’a meza figura…
DE MURO
(incrociando le braccia:)
Mbè?
CIMAROSA
… ’O paesaggio…
DE MURO
Mbè?
CIMAROSA
E ’sti quadrille ca so’ belle, sissignore, pecchè tu brutto nun saie pittà,… ma sempe tre quadrille sò…
DE MURO
(scattando:)
Ma tu che me cunte?
(indicando uno dei quadretti)
Chisto surt…
(non finisce la parola, si gratta in testa, nervosissimo, – poi glielo scaraventa contro…)
Teh, pigliatillo!
CIMAROSA
(calmo, raccogliendo il quadretto:)
Quanto si bello!… Teh!…
(gli spicca un bacio sulla punta delle dita)
DE MURO
(rimane ritto, dinanzi al cavalletto, le mani in tasca, e la pipetta, spenta, fra le labbra)
Arravogliate tutte cose e portatelle.
CIMAROSA
(accostandoglisi, e mettendo mano al portafogli:)
Primma ll’uoglio p’’a lampa…
DE MURO
(amaro)
Ca j’ manco ’a lampa allummo cchiù!…
CIMAROSA
E pecchè, figlio bello?! Finchè nc’è salute…
DE MURO
Iammo, conta; fa ampresso.
CIMAROSA
E sò cinquanta, e diece, fanno sissanta, – e cinche, e sò sissantacinche, – e vinticinche: e ssò nuvanta…
(cavando dal panciotto un pò di argento)
E una, e doie, e tre, e quatto, e cinche… E quante sò?
DE MURO
(nervosissimo:)
Nuvantacinche.
CIMAROSA
(cavando dalla tasca del calzone un rotoletto di monete di bronzo…)
E t’ ’ê â cuntentà, figlio bello, ca l’ê rummaso senza ’na lira a Cimarosa…
GIGANTE
(sempre dipingendo:)
Accussì t’aggia vedè!
CIMAROSA
(ride amaro, e comincia ad avvolgere i quadri in un gran foglio)
AITANIELLO PALUMBO
(zufola il motivo di un'arietta antica)
GIGANTE
(a Palumbo:)
Ohoo!…
(come a dire: smettila!)
PALUMBO
Aggiatece pacienzia… quanno penzo a chilli barbaro trarimento, nun me fido ’e stà ’nchiummato a unu pizzo…
GIGANTE
Dico: te pare chisto ’o mumento ’e penzà a’ nnammurata toia ca t’ha lassato?…
PALUMBO
E pe’ chi pò? P’’o sacristano ’e Sant’Eligio!… Ah, ca mannaggia…
(si morde una mano, e si rimette in posa)
CIMAROSA
(insinuante, a de Muro:)
E ccà nun ce vene Vicenzella?
DE MURO
(aspro)
No.
CIMAROSA
Figlia bella, fa de bene a tutte quante! Se strascina ’o francese p’’e tutt’’e studie.
DE MURO
Ah?…
(ride nervosamente)
CIMAROSA
L’avarrà fatto fà ’na cinquantina ’e ritratte da Aprile ’nfì a mo, e Mossiù Gérome — chillo accussì se chiamma ’o francese, Mossiù Gerome — posa d’’a matina a’ sera, pe’ fà cuntenta a Vicenzella che vò fa’ abbuscá denare a tutte ll’artiste… È addiventato ’e marmolo, ’o povero crestiano!
(ride a lungo con la sua risata di femmina)
No cchiù tarde d’aiere ’a truvaie dinto studio ’e de Cesare…
(fissando una tela sulla quale è riprodotta la madre di de Muro…)
Madonna! Una faccia tu e mammeta. E pure ’a voce nce sumiglia. Cierti vote tale e quale.
DE MURO
(senza badargli:)
Aiere ’a truvaste?
CIMAROSA
T’aggio ditto: aiere. E chi ’a cunusceva cchiù? Mo marcia alla moda — a ’o dernier crie. Vestite ’e Parige… brillante a ’e recchie, a ’e mane, e parla pure frastiero…
(senza levar gli occhi dal ritratto della madre di de Muro:)
Vuò fà n’affare?
DE MURO
(subito ed aspro)
No, chillo nun ’o venno.
CIMAROSA
(continuando, senza scomporsi)
Brillante a tutte pizze… cu nu cappiello ca pare nu ciardino: tutte rose…
(una piccola pausa)
’Ê fatto proprio buono ca l’ê lassata… Chell’era nata pe’ ffà ’a…
DE MURO
afferrandolo per un braccio:)
Zitto-.. zitto. Basta — Nun voglio sentere cchiù niente…
CIMAROSA
Ahaaa!…
(toccandosi il braccio indolenzito)
E che brutti maniere ca tiene, figliu mio!… Uno te dice ’na cosa pe’ bene…
DE MURO
(turbatissimo, senza violenza, stavolta:)
Zitto… Zitto… Vattenne… Basta…
DONNA ’NDRIANA
(un pò aspra, a de Muro:)
’On Peppeniè, aggiatece pacienzia, ca j’ tengo che ffà…
DE MURO
(volgendosi, irritato:)
Nu mumento…
(raddolcendo subito la voce:)
Un momento, e sono a voi.
(trae a sè Cimarosa, che ha finito di avvolgere i dipinti, e, mettendogli una mano sulla spalla, con una certa dolcezza gli dice:)
… Siente… te vulevo dicere ’na cosa…
CIMAROSA
Dì, figlio bello.
DE MURO
(pensa un istante, poi lo allontana con una certa violenza, come se scacciasse una idea che lo turba)
No… niente, — vattenne… Nun te vulevo dicere niente…
CIMAROSA
(ridendo, a modo suo:)
Che tipo, Madonna, che tipo!
(prende l'involto, ed esce, salutando)
Signori a tutti!
— Nessuno risponde al saluto —
(Appena Cimarosa è andato via, Gigante si leva, va verso l'uscio, e sputa più volte dietro il vecchietto lercio.)
GIGANTE
Phu! Phu! Phu!
(e torna al lavoro)
DE MURO
(chiama Donna ’Ndriana:)
… Donna ’Ndrià…
DONNA 'NDRIANA
(si leva, e va presso de Muro)
DE MURO
Sò rimaste novanta. Non è così? Ecco servita.
(le dà le novanta lire)
DONNA 'NDRIANA
(riconta il danaro, che conserva in un grosso fazzoletto di colore, — assicurandolo con due nodi)
DE MURO
Sta bene?
DONNA ’NDRIANA
(fa cenno di sì, e si allontana, augurando la:)
Bona jurnata.
DE MURO
(secco)
Grazie.
E la femmina dalle anche enormi, esce pel fondo, dopo che s’è terso il sudore della fronte col dorso della mano. Sull’uscio s’imbatte in „Serrafino Spasiano“, che nel venire in fretta le dà un terribile spintone.
DONNA ’NDRIANA
(con un grido:)
Santa Lucia!…
(e si allontana, borbottando contumelie.)
Ecco Serrafino Spasiano; — un omaccione dalla voce roca e dalla faccia bianca di farina. È scamiciato. Ha borbottato anch’egli qualche improperia all’indirizzo della femmina, ma, poi, volge la sua attenzione e la sua ira contro il suo garzone. Si arresta sull’uscio. Ha gli occhi iniettati di sangue.
SPASIANO
(a Palumbo:)
(minaccioso, con voce di collera:)
E tiene murale e cuntegno?… Tu si ’a schifezza ’e ll’uommene!
(fa per avventarglisi contro. Aitaniello Palumbo ripara dietro il cavalletto. De Muro e Gigante trattengono lo sdegno di Spasiano.)
DE MURO
E quando maie?
GIGANTE
E comme te vene?
SPASIANO
(con collera rattenuta, a Gigante:)
Ca puzzate essere beneditto! Vuie pure me dicisteve a me ch’eva roba ’e manco mez’ora. — e cu mo sò tre ghiuorne ca ’sto scanzafatica fa ’o Pulicenella ccà dinto…
(levando la voce, a Palumbo:)
Iammo, spogliate!
(riabbassando il tono:)
Ca pe’ ghi a chiammà ’a vammana, pè bia ca muglierema se turceva comm’ ’a ’na serpa ’ncopp’ ’o lietto, aggio lassato ’o furno solo!…
(alterandosi man mano:)
E si me facevano ’n’angaria? Si m’arrubbavano?… Si me facevano nu sfregio?… A me?!…
(si morde le mani)
DE MURO
(invitandolo alla calma, con un gesto delle mani)
Piano… piano…
SPASIANO
(alzando ancora il tono:)
Io addiventavo lo zambello del quartiere, — j’ me n’eva j’ ’a ’ncopp’’a ’Nfrascata… I’ m’eva annasconnere sotto terra…
GIGANTE
Nun esaggerà…
SPASIANO
’A corpa ’e chi è? E d’’a mia, pe’ bia che al monto non si può ausare maie una agevolezza…
DE MURO
Sissignore, ma quello…
SPASIANO
(interrompendolo)
Se io m’avrebbo rifiutato al fatto del Purcinella…
GIGANTE
(scusandosi:)
Ma, vedete, quello poi…
SPASIANO
vi avrebbe afflitto il castigo che meritate…
GIGANTE
(con un urlo improvviso:)
Ohoooo! Tu pe’ chi iesce? Pigliate a Pulicenella, a Culumbrina, a ’o guappo, a ’o tartaglio, a San Carlino cu tutt’’o llario ’o Castiello, e aiza ’ncuollo e vattenne!
(dandogli uno spintone)
SPASIANO
Ohoo!… e nun buttà!
GIGANTE
E si no che me faie?
DE MURO
(interponendosi:)
Ma che site asciute pazze?
SPASIANO
(mordendosi le mani:)
Quel Pataterno che mi fa vedere!
(assume un alteggiamento di un indescrivibile pittoresco)
GIGANTE
(gli grida:)
Ferma! Nun te movere. Che bella mossa! Per la Madonna, chist’ommo pare nu quadro antico! E chi ci aveva badato?!…
SPASIANO
(vinto dall'affanno, traballando, — con un fil di voce:)
’Na seggia…
PALUMBO
(gridando, di dietro il cavalletto, senza muoversi:)
’Na seggia… ’Na seggia… ’Na seggia…
DE MURO
(porgendo la sedia a Gigante grida:)
Arape ’a fenesta.
SPASIANO
(fa dei segni, come a dire: mi manca l’aria!)
PALUMBO
(senza muoversi dal suo posto)
Acqua… acqua… acqua…
GIGANTE
(a Palumbo:)
E tu pecchè nun te muove?
PALUMBO
E si chillo me vatte?
DE MURO
(spruzza dell'acqua sul viso a Spasiano)
SPASIANO
(respirando forte, e riavendosi:)
Ah!… I’ sò malato, e nun me pozzo piglià collera…
DE MURO
Beh, fortunatamente è passato!
SPASIANO
Chillo ’o speziale me l’ha ditto: “Sott’ ’a ’na mossa ’e chesta nce può pure rummanè…„
(a Palumbo, con calma:)
Viestete e ghiammuncenne…
GIGANTE
(rivolgendosi a Spasiano:)
Te truvasse nu miezo tuscano?
SPASIANO
(fruga nelle tasche, ed offre mezzo sigaro a Gigante)
GIGANTE
(decantando il sigaro:)
Una meraviglia!
PALUMBO
All’ordine!
SPASIANO
(scrollando la testa:)
Dio t’ ’o perdona!… M’ê levato duie anne ’e salute ’a cuollo!…
(a Gigante e de Muro:)
Basta, chello ch’è stato è stato!…
GIGANTE E DE MURO
(gli stringono con effusione la mano)
PALUMBO
(offrendo il braccio a Spasiano, con comicità:)
Appuiateve, Princepà…
SPASIANO
(scoppiando a ridere, e dandogli un colpetto sulla guancia:)
’Stu lazzaro!
DE MURO E GIGANTE
Bene! Bravo!
(battendo le mani)
La pace è fatta!
PALUMBO
(spentolando la coppola:)
Ebbiva sempre il principale mio Serrafino Spasiano!
GIGANTE E DE MURO
(gridano:)
Evviva!
(e scoppiano a ridere clamorosamente, mentre Palumbo trascina via Spasiano, gridando ancora: Evviva! ed agitando il berretto.)
Ora i due pittori ridiventano serii, anzi pensosi, e par che questo pò di gaiezza non serva che a preparare una più profonda malinconia.
SCENA III.
DE MURO
GIGANTE
(s’affaccia al finestrone, e risponde al cinguettio con uno:)
Zi zi - Zi zi - Zi zi…
(poi viene avanti, e, accennando a questa festa di luce, con una cerla esaltazione, esclama:)
E pure, come sarebbe bella la vita se l’umanità non fosse cosí fetente!
(accennando alla campagna sotto il sole:)
Com’è bella!…
DE MURO
(preso anche lui da lanta bellezza, levandosi, e fissando lo sguardo sulla campagna:)
E che buò pittà, si chillo ’o Pateterno ha pittato accussì bello?!…
GIGANTE
(gli posa una mano sulla spalla)
DE MURO
(con voce cupa:)
Già, io nun pitto cchiù, e solo di questo sono felice… Nun nguacchio cchiù tele… nun dico cchiù buscie… non inganno la gente…
(con una risata nervosa:)
Io sto per diventare un galantuomo, mio caro Gigante!
GIGANTE
Tu staie p’ascì pazzo, caro pittore!
ANNA DE MURO. la piccola LUCIA, PEPPINO DE MURO
MICHELE GIGANTE
Su l’uscio appare Anna de Muro, la cieca, guidata da Lucia, la piccina dolce e pallida, che ha due grandi occhi neri e lucenti.
Anna de Muro non è la cieca accademica dalla voce lamentosa e dal gesto tragico: tutt’altro. È una creatura nobile e bizzarra, tutta materiata di umanità. Nella voce nel gesto, nel calore della parola somiglia profondamente a suo figlio: a Peppino de Muro.
La sua cecità non è incombente: è, quasi un elemento essenziale alla sua bizzarra originalità. Preferisce il riso al pianto. È una ipersensibile.
ANNA
(dal fondo, arrestandosi sulla soglia, — al figliuolo:)
Staie tu e Michele Gigante.
GIGANTE
(ridendo)
Che zengara!…
DE MURO
…Tre ore, mammà, — tre ore,… Addò site stata?
ANNA
’O Re m’ha chiammata a Palazzo…
(alla piccina che reca tra le mani alcuni fiori campestri:)
’Nant’ ‘a lampa d’’a Madonna.
(la piccina pone i fiori dinanzi alla piccola lampada della Madonna)
DE MURO
(grattandosi in testa)
’N’atu pigno?
ANNA
(comicamente)
Oh!… Nun sia maie!…
DE MURO
E che avite ‘mpignato?…
ANNA
…Tabacchere ’e lignammo…
(scoppia a ridere)
— Un silenzio —
DE MURO
E allora?
ANNA
Sò scesa nfì a’ Maculatella.
DE MURO
A pede?
ANNA
A Pede. Sò trent’anne ca nun sentevo ’o sisco d’ ’a sirena… M’ò sò sunnato stanotte… Uhúúúúú!…
(rifa il fischio lugubre della sirena)
E stammatina l’aggio voluto sentere… S‘io fosse stato pittore, sempe ’o mare avesse pittato: varche, vele, rezze, rimme, e mare… mare… mare…
(fa il quadro col gesto: largo, espressivo, immenso. D’un tratto, cambia tono, e, comicamente soggiunge:)
Nun fa niente che a mare nun nce stanno taverne!…
(e soffoca il sentimento nel riso)
GIGANTE
(ridendo:)
’A vi’ mamma d’’o figlio…! ’E mmosse… ’a faccia… ’a voce… Che cosa magnifica!
DE MURO
Mammà, ve vulissive fà capitano ’e mare comm’ ’a papà?
ANNA
(ride e fa cenno di “si„ con la testa)
LUCIA
Parteva nu legno pe ll’America… Tutte quante salutavano c’ò fazzuletto… ’A gnora pur’essa ha cacciato ’o fazzuletto, e s’è misa a ffà accussì… accussì…
(sventola a lungo il suo fazzolettino)
DE MURO
(a Gigante:)
Tu vi’ che scumbinatorio!
ANNA
(tentenna la testa, e sorride)
LUCIA
A me m’ ’é scappato a chiagnere. Ma a’ gnora, niente… S’è fatta ianca ianca, ma nun chiagneva…
ANNA
(a Gigante:)
I’ so’ comm’ ’a tte, don Michè: i’ nun chiagno maie.
GIGANTE
(subito, con fierezza:)
Mai!… Sittant’anne,… e nun saccio ched’è ’na lacrema. È il mio solo orgoglio!
DE MURO
Basta, mammà: ogge che nce passa ’o guverno?
ANNA
Fanzi in brodo, manzo glassato, maionese di pesce, frutti, dolce e cafè…
DE MURO
(subito, interrompendola:)
Cheste sò doi lire: mannate accattà quaccosa pe’ mangià…
ANNA
(alla piccina, dandole i soldi:)
Nu zumpo addù ’o putecaro: nu chilo’e perciatiello, nu quarto ’e nzogna; e turnanno, fatte dà tre solde ’e pummarulelle fresche da Angiulina ’a parulana… Va, bella d’’a zia…
(a Gigante)
’On Michè, tu nce tiene cumpagnia?
GIGANTE
(ride in segno di assentimento)
ANNA
(alla piccina:)
E allora piglia add’’o canteniere miezo litro ’asprinio
(ridendo)
chillo ca piace a Michele.
DE MURO
(a Lucia che sta per uscire:)
Aspè… ’nce stesse quaccosa dint’’a credenza?...
ANNA
(alla piccina:)
’Nc’ evena stà duie fagiuline d’aieressera… va nce scarfe... E vide ca dint’’o teraturo ’e sotto, arravugliata dint’’a nu salvietto, nce haddà stà tantillo ’e provola…
(La piccina sale la scaletta che mena su)
DE MURO
(a Gigante)
Michè, si vene ’o curniciaro, damme ’na voce…
(e, lentamente, stirando le braccia, si avvia verso la scaletta. Poi si volge d’un tratto:)
A proposito, mammà: chella sveglia ca steva ’ncopp’ ’a culunnetta che se n’è fatta?
ANNA
(con una cerla titubanza:)
Ah, chella sveglia ca steva ’ncopp’ ’a culunnetta? — E chella j’ ’nce ’‘aggio rialata a Peppeniello, ’o figlio ’e Mammela… Povero criaturo, eva j’ a’ scola a’ matina, e nun sapeva maie c’ora eva!…
DE MURO
Statevi bene. È fernuta pure ’a sveglia!
ANNA
Uh, Giesù, e chillo nun tene ’o nomme tuio?… Peppeniello si chiamma…
DE MURO
(fa un gesto con le mani, come a significare: che squilibrio mentale!… e sale la piccola scala, che mena su.)
Un lungo silenzio.
SCENA V.
ANNA DE MURO E MICHELE GIGANTE
ANNA
(a Gigante:)
Manc’ogge Zufia è venuta?
Silenzio.
ANNA
Tene ’na bella vucella quanno canta…
GIGANTE
Sì, povera figlia… ma nun c’è nata pe’ ffà ’a mudella.
ANNA
GIGANTE
Sarrà pecchesto…
ANNA
E pò nun tene ’n’onza ’e salute… se vede quanno parla…
GIGANTE
Pallida pallida… doie labbra cchiù ghianche ’e stu fazzuletto…
(Un silenzio)
ANNA
Peppeniello nun sta pittanno?..
GIGANTE
(non risponde)
ANNA
Manc’ogge ’â pittato?.
GIGANTE
(mentendo:)
St… ogge si… ’â cuminciato nu…
ANNA
(si leva lentamente, va presso il cavalletto,— passa la mano sulla tela:)
’On Michè, chiste sò ’e quatre cchiù belle: chille ca nun se pittano maie…
(e ride con malinconia poi si allontana, e passa la mano su di un’altra tela:)
Ccà sta ancora Vicenzella… Chist’’è ’o ritratto cu ’e violette ’npietto… Nun è overo ca l’ha vennuto?…
GIGANTE
Si… no…, ma…
ANNA
È bello assaie?
GIGANTE
(con slancio:)
Assaie!
ANNA
Comme pusava chella sbruvugnata!
GIGANTE
Pure vuie ve chiagnite a Vicenzella?
ANNA
Vincenzella era ’na canaria: cantava semp’essa. Chiagneva e cantava… Ma che saccio, quanno nce steva essa ccà, era n’ata cosa… Embè, me cride?… ’A vulesse vedè sempe, e nun ’a vulesse vedè cchiù!
GIGANTE
E tutto l’odio?…
ANNA
(senza rispondergli)
Teneva cierti maniere, a’ ’e vote, chella pazza!…
GIGANTE
E tutto il disprezzo?…
ANNA
Teneva cierti asciute accussì geniale…
GIGANTE
(contrariato:)
Pure vuie site nammurata ’e Vicenzella?
ANNA
Ohooo!… Chell’eva ’na lazzara, e nun vuleva bene a nisciuno!… Ma se n’è ghiuta, e buon viagoio… E ccà nun nce mettesse cchiù ’o pede!…
GIGANTE
(scrolla la testa, e sorride)
ANNA DE MURO, GIGANTE, NICOLA MANCINI, poi la piccola LUCIA, poi DE MURO, ed in ultimo ANTINORI
NICOLA MANCINI
(entra ansante, sudato, tutto rosso in volto, gli occhi fuori dell’orbita. Reca fra le mani un piccolo dipinto. Nel mettere il piede sulla soglia, leva in alto il piccolo quadro, e lo agita e grida:)
”Grazioso!„ — “grazioso!„ — “grazioso!„.
(ride a lungo, nervosamente)
“Grazioso„?
(volge l’occhio d’intorno)
De Muro addò sta?
(e senza dar tempo che gli si risponda, continua esasperato, urlando:)
Brutto, stupido, scemo, orribile: grazioso no! I’ nun pitto “grazioso„ — Io pitto o bello o brutto…
(una piccola pausa. Si terge il sudore con l’enorme fazzoletto a colori)
’A gente me guardano ancora…
(agitando ancora il quadretto)
L’aggio schiuvato ’a faccia a ’o muro, e m’ ’o so’ purtato cu me.
(gridando:)
Cu me… cu me… L’arte? Pheu, che schifo!
La piccola Lucia traversa la scena, ed esce per il fondo.
ANNA
(con un piccolo gesto della mano:)
Ah, Nicola Mancini, pure vuie!
MANCINI
(con il pianto nella voce:)
E j’ pure sò ’e carne!
GIGANTE
(osservando il quadretto)
Nun è ’o vico ’e Panettiere?
MANCINI
Vico Panettieri, di notte.
(Ora, ogni suo gesto è una pennellata)
Chist’è ll’arco, — ccà miezo ’o fanale a gas, miccio e fetente… Sott’ ’a ll’arco ’a femmena, che, nell’ombra, si vede e non si vede…
— de Muro, un pò triste, scende la scaletta, e vien giù, nello studio. Guarda, comprende, e rimane ad ascolta poggiato al cavalletto.
MANCINI
E in fondo ’o vico stritto, niro, cupo…
— (intanto il suo sguardo si ferma sul “Pulcinella„ di Gigante. Osserva il dipinto un istante, poi chiede Gigante:) —
… È ’o tuio, chisto? Quanto è bello!
(e continua, esaltato, a descrivere il suo quadro)
’A femmena cu ’na mana s’astregne ’o nureco d’ ’o fazzuletto russo ca porta ’nganna, e cu ll’ata fa ’a musica cu ’e sorde dint’ ’a sacca d’ ’o mantesino… e aspetta… “Grazioso!„
(gridando:)
No… no… no… É bello!… È bello!… È bello!…
(si accorge, ora, della presenza di de Muro, e gli domanda, con voce pietosa e infantile:)
Comm’è?…
DE MURO
(mettendogli dolcemente la mano sulla spalla:)
È comme a tutto chello ca faie tu… C’è la mano del Maestro…
MANCINI
(a Gigante:)
Guarda ’sti verde vicino a stu niro…
GIGANTE
(segnando con la mano:)
E tutto stu piezzo ccà, è una meraviglia…
MANCINI
E nun hanno capito niente… ni-en-te…!
(getta il quadro su di una sedia)
Già, l’imbecille sono io, pecchè a Napoli ’sta robba nun s’haddà fà… Questo è l’ultimo paese del mondo!
GIGANTE
(con un grido, ridendo:)
Ahaaa !... Tu te facive accidere pe’ Napule… se’ mise fa, ’ncopp’’a Pigna…
MANCINI
(scattando:)
E tu che vuò? — Ca i’ penzo ogge chello ca penzavo aiere? — Ma capisci che sei mesi sono un secolo nella vita di un artista?! — In un’ora, in un minuto uno se ’mpara, uno capisce chello ca nun aveva capito dint’’a sittantaquattro anne — E poi: ho cambiato idea... Aggia dà cunto a te?
GIGANTE
(ridendo)
MANCINI
(scoppiando a ridere, con la sua risata buona, interminabile, clamorosa:)
E allora andiamo d’accordo.
Intanto è entrato Antinori, lento, piano, tranquillo. Zufola а репа: “sono andati, fingevo di dormire„ non saluta nessuno, e va a sedere sullo scanno in fondo. Tutti gli sguardi si rivolgono verso di lui.
DE MURO
(con un cenno della mano gli domanda: che cosa è accaduto?)
ANTINORI
(accendendo la pipetta, – calmo)
La polizia mi perseguita… Tre perquisizioni, in cinque giorni, a casa mia… Stanotte parto.
(declamando, un pò triste, stavolta:)
Ci rivedrem
nella stagion dei fiori…
Un silenzio.
(Tutti si abbuiano in volto)
MANCINI
(per nascondere la sua commozione si fa vento con un enorme ventaglio, che era attaccato alla parete:)
GIGANTE
Nun se respira…
ANNA
(anch’ella commossa, si leva, e, accennando alla ceste, dice:)
Madonna, si nun me levo ’sta cosa ’a cuollo, j’ moro!
— E, pallida e lenta, si allontana, salendo, con rumore cadenzato, le poche scale che menano su —
Un lungo silenzio.
Gigante, Antinori, Mancini, siedono, ora, chi in un angolo, chi presso la finestra, chi accanto all’uscio, — i gomiti sulle ginocchia, la testa tra le mani. Solo de Muro se ne sta, in piedi, presso il cavalletto, le braccia incrociate l’occhio vagante.
Stanca, malinconica, a stesa, vien di lontano:
LA VOCE DEL VENDITORE DI FICHI
Scetate, nenna mia, ca é ghiuorno chiaro,
Zi’ Munacella è scesa a matutino, —
i’ faccio ammore, — sò quinnece mise, —
nun aggio avuto ca quinnece vase!
I pittori si sorprendono in atteggiamento pensoso. Si guardano in faccia l’uno con l’altro, e scoppiano a ridere.
È una interminabile risata, che ognuno può interpetrare a suo modo.
A noi non pare una espressione suprema felicità.
DE MURO, GIGANTE, MANCINI, ANTINORI, VINCENZELLA, MONSIEUR GEROME, e poi la piccola LUCIA
Si batte all'uscio.
Di dentro una voce sommessa, dolce, umile.
LA VOCE DI VICENZELLA
Si può?
DE MURO
(alla voce, sussulta)
Gli artisti si guardano l'un l'altro, sorpresi. Si picchia ancora.
DE MURO
(a Gigante, con la voce rotta:)
Nun arapì!…
(e cade a sedere, chè non si regge sulle gambe)
Gli aristi fan gruppo, in fondo, e mormorano qualcosa fra di loro. Le voci son concitate.
È, ora, una tempesta di colpi alla porta, accompagnata da una interminabile sfilata di:
Si può? Si può? Si può? Si può?
DE MURO
(balza in piedi, fuor di sè, e, rivolgendosi agli artisti, che stanno, nel fondo, grida:)
Nun arapite!
Il canario si agita nella gabbia, batte le ali, e canta. Tutti gli sguardi son rivolti verso la piccola gabbia.
DE MURO
(Leva gli occhi verso la gabbia; poi si passa le mani ne’ capelli. È pallidissimo. D’un tratto grida a Gigante, con voce velata:)
Arape.
Gigante apre l’uscio.
Sulla porta appare Vicenzella che reca un enorme fascio di rose fra le mani. Indossa un elegante tailleur, e porta un gran cappello di paglia bianca con rose pallide. Evidentemente, in questi abiti, si trova alquanto a disagio. Agita nervosamente l’ombrellino ed una borsella di oro. La segue Monsieur Gerome Lantier, un bel biondo dagli occhi glauchi e dalla chioma impomatata. Monsieur Gerome veste con eleganza parigina.
Il canario, all’apparire di Vicenzella, ricomincia a cantare, e batte le ali in segno di festa.
VICENZELLA
(manda un piccolo grido, che vorrebbe significare uno scherzoso “finalmente!„ ma traballa, per la emozione, e Monsieur Gerome la sorregge)
VICENZELLA
(riavendosi subito, e mostrandosi gaia:)
Bonjour! Bonjour! Bonjour!
(e fa dei profondi inchini, accompagnati da larghi gesti delle mani)
Gli artisti rispondono freddamente con qualche piccolo:
— Oh!
— Gue?!
— Uh, Vicenzella!
VICENZELLA
(ridendo a forza:)
Sine… sine… Vicenzella!… Nun me vuliveve arapì?
GIGANTE
(forte, dispettoso:)
No.
MANCINI
(súbito, con tono buono:)
Siiiiiii…
ANTINORI
(che non sa che cosa dire:)
Tu non hai bussato…
VICENZELLA
(ridendo, ma guardando, fin dal primo momento di sott’occhi de Muro)
Uh, Giesù. non ho “bussato?„ Chella, n’atu poco, se ne cadeva ’a porta…
(È un momento di incertezza, e questo chiaramente appare dall’atteggiamento delle persone. De Muro, col dorso contro il cavalletto, le braccia lungo il corpo, è cadaverico).
MANCINI
(a Monsieur Gerome, che è ancora sul limitare dell’uscio)
VICENZELLA
(a Gerome)
Entre… Entre… (gridando, con le mani ad imbuto:) Trase…
MONSIEUR GEROME
(entra, sorride, e si inchina)
VICENZELLA
(a Gerome)
Tu voulais connâitre le peintre de Muro? Le voilá. Voilá son atélier et ses amis.
(procedendo alla presentazione:)
Le peintre Mancini.
GEROME
(con un inchino:)
Enchanté.
MANCINI
Tanto piacere.
VICENZELLA
Le peintre Antinori.
ANTINORI
Enchanté.
VICENZELLA
Le peintre Gigante.
GEROME
(fa per tendergli la mano)
GIGANTE
(volgendogli le spalle)
Io nun ’o capisco a chisto…
GEROME
(sorride)
VICENZELLA
(a Gerome, giustificando Gigante:)
Ç’est un bonhomme, un peu loufoque, mais plein de coeur.
GEROME
(sorride ancora, ed esclama)
Ç’est étonnant!
GIGANTE
Eh, ride ’nfaccia a stu… Pulecenella…
(accenna al quadro)
MANCINI
(riprendendolo:)
VICENZELLA
(che ormai va rianimandosi, si accosta lentamente a de Muro, e gli susurra, con voce ardente di passione)
Cinche mise! Cinche mise!… Murevo si nun te vedevo!…
DE MURO
(già preso dal fascino di Vicenzella.)
Canaglia!
VICENZELLA
(con voce ancora più ardente:)
Vita mia!…
(presentando de Muro a Gerome)
Monsieur Gerome, che sta da sei mesi, ccà, pe’ scrivere… che ssaccio che m’ha ditto… Ah!… un libro su Napoli…
GIGANTE
(amaro, quasi fra sè)
VICENZELLA
Il a voulu avoir l'honneur de connaitre le peintre Giuseppe de Muro, un jeune artiste qui est deja très bien placé!
GEROME
(a De Muro)
Je connaissais deja vôtre nom, monsieur. Je suis un de vos plus sinceres admirateurs.
DE MURO
(nervoso, con accento napoletano)
Merci… merci… merci…
GEROME
La graçe et l’originalité de vôtre art…
DE MURO
(interrompendolo:)
Vi hanno ingannato. I’ nun sò niente… nun sò nisciuno. Sono un imbecille qualunque ca ’na vota pittava, accussì, pe’ fà ’na cosa… ma mo, grazie a Dio, chesto faccio cchiù… Vivo da benestante, in questo divino paese, nel quale la maldicenza.
(accenna ai suoi compagni)
l’ozio,
(accenna a sè)
e la infedeltà
(accenna a Vicenzella)
alimentano la più adorabile delle miserie.
(Con la mano indica le pareti di casa sua. Ha detto queste parole con voce concitatissima.)
GEROME
(che evidentemente non ha compreso, sorride, e ringrazia, esclamando:)
Merci, cher Maitre, je suis enchanté de vôtre obligeance.
(e va un pò in giro, per lo studio, osservando un pò tutto, con un’aria di grande curiosità, fermandosi a lungo dinanzi a le cose caratteristiche che più lo impressionano. Di tratto in tratto esclama: C’est étonnant!)
Un silenzio.
VICENZELLA
(con affettata gaiezza, chè non riesce a nascondere la sua profonda emozione, corre or dall’uno or dall’altro: vuol cattivarsi gli amici, per ritrovare, poi, il cuore di de Muro. Getta le braccia al collo di Antinori, e canticchia, con un fil di voce:)
Oh, buon Marcello, aiuto,
aiutatemi voi!
ANTINORI
(che non riesce a trattenere un:)
Cos’è accaduto?
(sorride a mala pena, si carezza la barbetta, e va verso la finestra, in fondo)
VICENZELLA
(rivolgendosi a Gigante:)
Tu ’o ssaccio — va bene: tu nun me può vedè, — e pure io aggio penzato a te: t’aggio purtate duje sigare furastiere.
(fa per cavarli dalla borsetta)
GIGANTE
(aspro, volgendole le spalle:)
Grazie, nun fumo.
VICENZELLA
(un pò turbata, accostandosi, come una pecorella smarrita a Mancini — con una lacrima nella voce:)
Vuie pure contro a me?
MANCINI
(con il suo sorriso dolce:)
Io no, povera Vicenzella, io te voglio sempe bene…
(le stringe il naso fra le dita, e le dà uno schiaffettino)
Ma che nce si’ venuta a ffà, ccà?
VICENZELLA
(gli occhi smarriti, con accento pietoso, come una bambina:)
Me n’aggia j’?…
GEROME
(un pò nervoso, a Vicenzella:)
Tu pourrais bien dire a monsieur pourquoi nous sommes içi!
VICENZELLA
(scoppiando a ridere)
Ah, già… m’evo scurdata!
(a de Muro)
Monsieur Gerome… sposa….
DE MURO
(piegandosi nelle spalle)
Ah, ne?
VICENZELLA
(ridendo)
E a me che me ne ’mporta? E vo’ mannà a Parigi, alla “sua bella„ nu ritrattiello… nu piccolo schizzo, fatto “de célèbre peintre” de Muro…
DE MURO
Ma che site asciute pazze tu e isso? I’ facevo ’o ritratto a mossiù… comme si chiamm’isso!…
VICENZELLA
Uh vedite, e che male ce sta?!
DE MURO
Nisciuno male… Io nun pitto… nun saccio pittà… Iatevenne tu e isso…
VICENZELLA
(accostandosi a de Muro, e fissandolo negli occhi, con tutta la febbre, del suo amore:)
E’ ’a fá chello ca vogl’io…
(scuotendolo)
Tu me ’â sentì… T’aggia parlà…
(e si allontana, rapida, e va verso Gerome, al quale dice delle parole nell'orecchio)
DE MURO
(chiama a sè gli amici, con un gesto della mano. I pittori si accostano a lui)
C’aggia fà?
MANCINI
Quanto si’ scemo!
ANTINORI
E pecchè nce l’ê ’a perdere?
DE MURO
(a Gigante:)
E tu che dice?
GIGANTE
(secco)
No.
DE MURO
(gli dà uno spintone)
GIGANTE
(traballa)
DE MURO
(sorreggendolo in tempo, e abbracciandolo:)
No… no… scusa… te voglio bene!
GIGANTE
(un pò offeso)
I’ arrivo fino addù Pagano, p’’a curnice…
MANCINI
(ad Antinori)
ANTINORI
(che ha compreso, sorridendo:)
Vengo… vengo…
VICENZELLA
(nell’orecchio a Mancini:)
Grazie…
MANCINI
(le dà uno schiaffetto)
ANTINORI
(a Monsieur Gerome)
Ben lieto, signore…
GEROME
Enchanté, monsieur.
MANCINI
Au revoir.
GEROME
(sorridendo)
Au revoir, monsieur.
GIGANTE
(esce pel primo, senza salutar nessuno)
Lo seguono Mancini e Antinori, parlando fra di loro, dopo aver salutato con la mano Vicenzella.
VICENZELLA
(ride, e saluta affettuosamente con la mano)
Addio!
VICENZELLA, MONSIEUR GEROME, e DE MURO
Un silenzio.
— Gerome fissa una tela sulla quale è riprodotta Vicenzella; de Muro va e viene per la stanza, fingendo di cercare qualcosa, ma, in realtà, tenta nascondere la sua emozione; Vicenzella fissa ora l’uno, ora l’altro.—
DE MURO
(fermandosi, d'un tratto, dice a Vicenzella, accennando a Monsieur Gerome:)
Fallo assettà…
VICENZELLA
(a Gerome)
Assieds toi, Gerome…
(lo fa sedere in primo piano, poco discosto dalla porta che mena su, alla casa di de Muro)
DE MURO
Fallo chieà ’e braccia… accussì… cu ’a capa na poco ’ncopp’a spalla…
VICENZELLA
(guarda de Muro, e mette in posa Gerome)
Tiens les bras croisées et la tête un petit peu penchèe sur l’epaule
(a de Muro)
Madonna, chisto nun capisce niente!
DE MURO
(da lontano, ritto dietro il cavalletto:)
E che te penzave: ch’eveno tutte quante comme a me?
VICENZELLA
Vuò scalà ’a tenna?
DE MURO
…No, c’’o sole ’nfaccia ’o voglio fà!
(un’onda di sole va a posarsi sulla testa di Gerome)
DE MURO
(ora si accinge al lavoro. È pallido, sofferente, e vibra tutto)
GEROME
(le braccia incrociate, la testa lievemente reclinata sulla spalla, sembra assorto: poi, lentamente chiude le palpebre, vinto dalla stanchezza e dal sonno.)
VICENZELLA
(gira un pò per la stanza, fruga fra le carte, — legge qualche lettera, le vien tra le mani una cartolina:)
Chi è ’sta Maria Gerani?
DE MURO
(si piega nelle spalle)
VICENZELLA
(lacera la cartolina in cento pezzetti, e continua a frugare; tutto vuol vedere, tutto vuol toccare. Di tratto in tratto, nel riconoscere qualcosa a lei cara, manda dei piccoli gridi. Ride, ma gli occhi le si velano di lacrime. Si accosta alla gabbietta. Cacci a un dito fra i ferri, e chiama:)
Zerillo! zerillo!
ZERILLO
(risponde festosamente alla voce amica)
VICENZELLA
(è commossa, ma non vuol farsi sorprendere; — va presso la finestra, e contempla l’albero carico di limoni:)… Uh, Dio! è tutto carreco ’e limone!
La voce del venditore di fichi, più malinconica e più lontana, stavolta:
I' faccio ammore — sò quinnece mise —
nun aggio avute — ca quinnece vase…
VICENZELLA
(lentamente va presso la "consolle", — ne prende un libro, lo apre, e legge; a voce bassa, quasi:)
Luntana staie… Natale sta venenno…
che bellu friddo, e che belli ghiurnate…
friddo a ’o paese tuio ne sta facenno?
pe Natale ve site appriparate?
(chiude il libro, lo depone sulla "consolle" e lenta lenta va a sedere presso de Muro dietro il cavalletto)
Un silenzio.
VICENZELLA
(accennando a Gerome)
S’è addurmuto!
DE MURO
Pare nu bammeniello ’e cera!
VICENZELLA
È bello, ma nun capisce niente…
DE MURO
(amaro)
Te piace?
VICENZELLA
(cava di tasca alcune monete di oro, le fa sonare nella palma della mano, e, ridendo, esclama:)
Assai!
DE MURO
(con una smorfia:)
Tutte accussì!
VICENZELLA
(manda un sospiro)
DE MURO
Staie tutta sudata…
VICENZELLA
Che calore!
DE MURO
(accennando al cappello:)
Lete ’stu coso ’a capa…
VICENZELLA
Tu ne m’aimes pas comme ça?
DE MURO
Iammo, nun parlà accussì…
VICENZELLA
(gettando il cappello su di una sedia:)
E comme vuò ca parlo?
DE MURO
Comm’è parlato sempe…
VICENZELLA
Te piacevo tanno?
DE MURO
(ha, ora, gli occhi velati di lacrime)
VICENZELLA
(gli cinge il collo con il braccio)
E mo, nun te piacio cchiù?
DE MURO
(depone il pennello, ed incrocia le braccia)
M’’o vuò fà fa?
VICENZELLA
No, voglio stà accussì…
(Il canarino batte le ali e canta)
DE MURO
Ca chillo se sceta mossiù…
VICENZELLA
E chillo ’o ssape che a me nun me passa manco p’’a capa… E chesto dice sempe: Je sais bien que tu ne m’aimes pas, mon cheri… Mais que veux tu?… Je ne suis heureuse que quand je te regarde, — quand je te presse sur mon coeur. Dice: io ’o ssaccio ca tu nun me vuò bene, ma tutta la mia gioia — ma joje — è chella ’e te sta vicino…
DE MURO
(interrompendola, — nervoso)
Vabbuò, aggio capito… E c’aggia fà?
Un silenzio.
VICENZELLA
Che guardi?
DE MURO
Niente.
VICENZELLA
Te piace stu vestito?
DE MURO
Nzu.
VICENZELLA
Eggià: io te piacevo cu ’a vesta nera e cu ’o scialletto russo!
DE MURO
(tentenna la testa come a commiserarla)
VICENZELLA
(ride, e gli da un colpetto sulla mano:)
Oh!
DE MURO
(intenerendosi)
Che quaresema ’e fatto cu me!
VICENZELLA
(ridendo)
Pane e cerase… pane e cerase… pane e cerase… e ccanzone…
(canticchia a pena:)
Era de Maggio e te cadeano ’nzino…
DE MURO
Stsss!…
VICENZELLA
Zufia pure canta?
DE MURO
Sì, tene ’na vucella ’ntunata…
VICENZELLA
Quanto sei imbecille! Zufia ha stunato sempe…
DE MURO
E cu mmico ’ntona.
VICENZELLA
Ah, ne? Forse perchè è innamorata di voi. Sei sempre quell’essere volubile e insopportabile d’una volta…
DE MURO
(divenendo nervoso:)
Zì,… zì… basta… Nun me fá parlà!
VICENZELLA
E che ê ’a dicere, stupido… che devi dire?
DE MURO
(contenendosi)
Niente.
VICENZELLA
(montandosi)
Nun fà accussì ca te piglio a schiaffi!
DE MURO
Ma, comme, tiene ancora ’o curaggio ’e parlà?
VICENZELLA
E pecchè m’avarria sta’ zitta?
DE MURO
Ma, allora non capisci quello che hai fatto?… Chello ca stai facendo in questo momento?
VICENZELLA
E che sto facenno?
DE MURO
Nun ’o ssaie?
VICENZELLA
(ridendo, nervosa:)
Ah già! M’eva murì ’e famma cu te, tutt’’a vita… Chesto vulive tu?… Ne pas, monsieur.
DE MURO
A me? I’ te n’aggio cacciata ciento vote, e tu ciento vote sí’ turnata.
VICENZELLA
Vedete che farabutto! Menteur! menteur! menteur!
(a voce bassa, sul viso:)
Mo te ’npizzo nu dito dinta ’n’uocchio!
DE MURO
Pecchè? Nun è overo?
VICENZELLA
’Nu juorno — uno juorno — ca j’ nun venevo ccà, me mannave cercanno pe’ tutta Napule…
DE MURO
Io?
VICENZELLA
Sine, sine… tu, tu, tu,
(con l'indice teso verso de Muro)
Ca si no i’ nun nce avesse miso cchiù ’o pede ccà dinto…
(turandosi il naso, e facendo una smorfietta:)
’Nce puzza ’e miseria!
DE MURO
E pecchè nce si turnata?!… Mannaggia chi t’e vivo, pè nun dicere ’n’ata cosa.
(si leva al colmo della esasperazione)
VICENZELLA
(ridendo, dispettosa:)
Pecchè accussi me piace. Pecchè nce sò voluta turnà.
(facendogli il versaccio:)
Uhuu! quanto si brutto, quanno t’arragge!
DE MURO
Ma, insomma, io penso e dico: uno nemmeno in casa sua può stare quieto?
VICENZELLA
No.
DE MURO
E allora è una persecuzione? Tu te si’ miso ’ncapo ca me vuò vedè distrutto?
VICENZELLA
(mutando tono, d’improvviso, con una dolcezza nuova nella voce:)
Io?
DE MURO
Si, tu, tu, tu! Beneditto Dio, uno tanno sta pe’ se scurdà tutto chello ch’è stato… che è passato… e tu piglie e torni per la stupida gioia di sconvolgere l’esistenza di chi nun te penza cchiù, manco pe’ prossimo…
VICENZELLA
Ah, tu nun me pienze cchiù?
DE MURO
No.
VICENZELLA
Insomma, tu faie cunto comme si nun m’avisse maie canusciuta?… Comme se io nun fosse stata maie niente pe’ te? È questo?
DE MURO
Perfettamente.
VICENZELLA
(levandosi convulsa, e indicando una tela:)
E chesta chi è?
DE MURO
Chi?
VICENZELLA
(con la voce roca)
… Chesta.
DE MURO
É… Zufiella…
VICENZELLA
(scoppia in una grande risata)
DE MURO
Stssss!…
(a voce bassa, convulso anche lui:)
E pecchè ride?
VICENZELLA
Chesta songh’io…
(battendo con la mano sulla tela:)
Ll’uocchie sò ’e mieie… ’a vocca, ’e diente, ’e mmane ’e capille… Tutt’é do mio…
(indicando le altre tele)
E chesta songh’io… E chesta songh’io… E chesta songh’io…
(con voce di lacrime e di rabbia:)
Che faie senza ’e me?
DE MURO
Pitto. Vuò vedè ca pittave tu?
VICENZELLA
Comme si fosse.
DE MURO
Embè, siente: io non ho mai lavorato così bene come durante questo tempo che sono stato lontano da te.
VICENZELLA
(allontanandolo con la mano, incredula:)
Aaaaha!
DE MURO
Bè… te lo giuro!
VICENZELLA
Che vuò giurà?
(senza guardarlo in faccia, e volgendo l’occhio d’intorno, con ansiosa ricerca. Ed ecco che ora manda un piccolo grido, indicando un altro dipinto:)
E chesta nun songh’io?
DE MURO
Ah?! Chesta ive tu…
VICENZELLA
E già, ’me sò cagnata! Vuò vedè ’ca me levo ’sta cosa ’a cuollo, e sò tale e quale?
(fa per liberarsi delle vesti)
DE MURO
(trattenendola)
Vicenzella ’e Dio!
VICENZELLA
Chille sò ’e capille mieie,
(indicando il quadro nel quale ella è riprodotta con la chioma in iscompiglio)
no chiste… E guarda…
(si scompiglia i capelli e assume l’atteggiamento nel quale ella fu riprodotta sulla tela, che ora fissa con gli occhi sbarrati, e le braccia inerti. È pallida che fa pena — le labbra le tremano.)
DE MURO
(la guarda con gioia e disperazione. È vinto dalla grazia di Vicenzella. Si morde le mani e le grida:)
Vuò vedè ca rompo tutte cose?
VICENZELLA
(incredula)
Nzu…
DE MURO
(col pugno teso:)
Ah, Pateterno!
(ha un singhiozzo nella voce)
Il canario canta forte. Vicenzella si ricompone. De Muro cade a sedere. Gerome si desta.
GEROME
(destandosi di soprassalto:)
Quì est là?
VICENZELLA
(accostandoglisi:)
Gerome.
GEROME
Oh, mon petit amour!
(le stringe la mano, e volge lo sguardo d’intorno)
VICENZELLA
Tu dormais?
GEROME
Un peu, je suis fatigué. La chaleur…
VICENZELLA
(ripete, perchè de Muro intenda:)
’A stanchezza… ’o calore…
(carezzandogli i capelli:)
Oh, mon pauvre amour!
GEROME
Tu pouvais bien me reveiller!
DE MURO
No Mossiù: ’o cchiù bello d’ ’a vita è ’o durmi!
VICENZELLA
(a Gerome)
Il dit que rien au mond ne vaut le sommeil.
GEROME
Mais oui, vôtre belle chanson: Carmela.
DE MURO
Oui, mossiù!
GEROME
A quoi en etez-vous avec vôtre croquis?
DE MURO
(accennando alla tela:)
… a chesto…
GEROME
Pas encore finì?
DE MURO
Nun è manco accuminciato.
GEROME
(guardando la tela, con dolore:)
Oh!
DE MURO
(guarda Vicenzella, che frena a stento la risata, poi le dice:)
VICENZELLA
(a Gerome)
Il dit que tu as des beaux yeux… Alors, comme tu les a fermés, il ne pouvait plus te peindre.
GEROME
(con entusiasmo)
Merci, monsieur. Vous étes bien aimable… Mais nous sommes en rétard pour nôtre dejeuner! Je meurs de faim. Nous viendrons demain, n’est-ce pas?
DE MURO
(ridiventando cupo, perchè Vicenzella va via)
Sine… sine… quanno vuò tu. Basta ca mo te ne vaie, pecchè nun me fido cchiù ’e me te vedè nant’ ’a ll’uocchie.
VICENZELLA
(stringendo la mano a de Muro, con uno sguardo pieno d’amore)
Dimane?
DE MURO
(nervoso agitato:)
Addio! Addio!
VICENZELLA
(ride, fa una smorfietta, e ripete:)
Dimane.
GEROME
(a de Muro, accomiatandosi:)
DE MURO
(con voce un pò velata:)
Grazie…
GEROME
(A Vicenzella)
Alors nous allons, mon petit amour!
VICENZELLA
(a Gigante:)
Addio, cattivo!
GEROME
Au revoir, Monsieur!
GIGANTE
Gerome e Vicenzella escono pel fondo.
DE MURO, GIGANTE, poi VICENZELLA
De Muro rimane silenzioso. Si passa le mani ne’ capelli, passeggia un pò per lo “studio„ con le mani in tasca. Giganie (che è seduto dinanzi al cavalletto, finge di dipingere, ma l’osserva sott’occhi, e tentenna la testa.
DE MURO
(si accosta al cavalletto, dinanzi al quale era seduto con Vincenzella, dà un formidabile pugno alla tela, ls sfonda, e la lancia in aria. Poi, rivolgendosi a Gigante, con una risata stridente, esclama:)
Che?
GIGANTE
(lo guarda, e non risponde)
DE MURO
(ora zufola, nervoso, — poi automaticamente, prende la chitarra, va a sedere sullo sgabello, in fondo, con le spalle alla porta, e sospira a pena suon di chitarra:)
Oi nè, fa priesto, viene,
nun me fa cchiù aspettà…
Vicenzella rientra, in punta di piedi. Piano piano si accosta a de Muro — gli va di dietro, gli copre gli occhi con le mani — poi gli afferra la testa, se la stringe al cuore — e lo tempesta di baci…
DE MURO
VICENZELLA
(stringendoselo ancora al cuore:)
Io… io… io…!
(è tanta passione nella sua voce)
DE MURO
E….. chillo?
VICENZELLA
Me sò scurdato ’e rrose e ’o ’mbrellino…
(scoppia in una di quelle sue clamorose, interminabili risate)
DE MURO
(prende dal piccolo tavolo l’ombrellino e le rose, che porge a Vicenzella:)
Che pazza, Madonna, che pazza!
VICENZELLA
Chisto sì…
(prende l’ombrellino)
Chesti, no…
(libera le rose dal piccolo filo che le legano, le sfoglia, le lancia in alto, per farle ricadere, poi, sul suolo)
DE MURO
(commosso:)
Vicenzè!
(la trae a sè, le sussura in un orecchio)
A chi vuò bene?
VICENZELLA
A "mossiù„
(E gli cade nuovamente fra le braccia)
GIGANTE
(irritato)
E bide si se ne va!
VICENZELLA
(strofinando più volte l'indice sui denti:)
Crepa… schiatta…. muore… Mo m’assetto e dico: Quì fu Napoli.
(fa per sedere - poi si leva, e vinta dalla rabbia dice precipitosamente:)
Je vais, je viens, je reviens, je chante, je ris, je pleure, — je fais tout ce que je veux, car ici je suis un peu chez moi — car un peu de cette art est aussi la mienne, celle qui a mangé, avec vous du pain et des cerises, du pain et des cerises,
(con un singhiozzo)
pane e cerase.
DE MURO
Iammo, nun fa ’a pazza… Gigante te vò bene…
GIGANTE
(fa una smorfia:)
Io?…
VICENZELLA
Je m’en fiche. Sai che significa? Io me ne fo…
DE MURO
(turandole la bocca:
Zitta!
GIGANTE
Vattenne!
VICENZELLA
(leziosa, urtante:)
Pardon, monsieur… Schiatta!
(con una grande riverenza)
Enchanté, et au bonheur de vous revoir…
GIGANTE
Vattenne!
VICENZELLA
(a Gigante, celiando)
Adieu, mon petit amour!
(si ferma sull'uscio)
GIGANTE
Parla chiaro ca j’ nun te capisco!
VICENZELLA
Crepa!…
(inchinandosi ancora)
Au plaisir de nous revoir, monsieur… au revoir… Muore ’e subito! Au revoir…
(accompagna le parole con mille riverenze, poi scoppia a ridere, e scappa via pel fondo, mentre De Muro trattiene Gigante, che, con i pugni levati, le grida dietro gli ultimi interminabili:)
— Vattenne! Vattenne! Vattenne!
CADE LA TELA
L'AMBIENTE:
Ancora nello studio di Peppino de Muro.
È la notte della “Vigilia„.
La malinconia della festa cristiana è nell’aria, nelle voci che arrivano di fuori, nell’atteggiamento delle persone.
Michele Gigante ravviva il braciere, Gianfranco siede sulla panca in fondo, tutto raccolto e silenzioso.
De Muro, seduto sul tavolo, che è in avanti, legge. Mancini e Schettini ascoltano, mangiano le castagne, e gettano le bucce lontano.
Mancano molti dipinti, molte stoffe, molti ninnoli. I cavalletti giacciono in un angolo. Intorno è, ora, un senso di vuoto.
Il lumicino ad olio illumina fiocamente le cose e le persone.
Sul tavolo poche castagne, qualche buccia, una bottiglia di vino, e i bicchieri.
DE MURO, GIGANTE, MANCINI, GIANFRANCO, SCHETTINI
DE MURO
(leggendo, con voce lenta e malinconica:)
Luntana staie, Natale sta venenno,
che bellu friddo, che belli ghiurnate!
Friddo a ’o paese tuio ne sta facenno?
pe’ Natale ve site priparate?
(lontano lontano un suono di zampogna che muore sul nascere)
Luntana staie, no, siente, nun è overo,
t’aggio ditto a buscia… chiove a zeffunno…
me s’astregneno ’o core e lu penziero,
nun nce vurria stà cchiù ’ncopp’à ’stu munno…
(la voce gli si vela)
GIGANTE
E dalle cu’ ’sta cosa!
MANCINI, GIANFRANCO, SCHETTINI
(insorgendo)
Sstsss!
(e fanno dei gesti con le mani perchè Gigante stia zitto)
DE MURO
(continua, commosso:)
Nun nce vurria stá cchiù, sulo penzanno
che fa tant’acqua e nun te sto vicino,
pe nascere e morì na vota ll’anno
che bruttu tiempo sceglie ’stu Bammino!
Basta, che faie? Dì? Che te dice ’o core?
Agge pacienzia, io scrivo e scasso, doppe…
Nun tengo ’a capa. Te manno ’stu sciore,
... astipatillo ’int’’a stessa meloppe…
(de Muro è così commosso che a pena riesce a completare l’ultimo verso)
GIGANTE
(strappandogli il libro di mano)
Posa lloco… Va…
(e fa per gettare il libro nel braciere, ― poi, pentito, si trattiene, ed esclama:)
Hai ragione: nce stanno cose troppo belle ccà dinto!
DE MURO
(con voce roca:)
Chella ’e ssapeva tutte a mente…
GIGANTE
(aspro:)
A chi vaie annummenanno?
GIANFRANCO
(dal fondo, a Gigante, con uno dei suoi scatti:)
E zitto!
GIGANTE
(insorgendo:)
Che vuò tu?
GIANFRANCO
Zitto! zitto! zitto!
(E ridiventa cupo e silenzioso)
GIGANTE
(sbuffa, e tace)
MANCINI
(legge ad alta voce una cartolina illustrata, che è sul tavolo:)
Dal quartiere Latino, Marcello augura buon Natale ai suoi compagni di arte e di digiuno. Abbraccia Peppino de Muro, e stringe la piccola mano a Vicenzella.
DE MURO
(strappando la cartolina di mano a Schettini, e riducendola in cento pezzetti:)
Che imbecille!
GIGANTE
(con una smorfia)
Si a chillo ’a capa nun l’aiuta!
DE MURO
(levandosi e passeggiando concitatamente per la stanza, le braccia incrociate)
Vedete se un amico,… una persona seria, unisce il nome di un galantuomo a quello di una sgualdrina da marciapiede…
MANCINI
Guarda, io non ci ho mai messo bocca in quest’affare, perchè so le cose del mondo come vanno, ma mo francamente ti dico che Vicenzella s’è comportata in un modo che non merita più considerazione…
GIANFRANCO
(senza asprezza:)
Era nata pè fà chello…
GIGANTE
(ravvivando il braciere:)
I’ dico: te si misa c’ ’o francese, e va bene; ― hai la scolpante del bisogno, e chisto t’ha perdunata; ma doppo ca’ ’o francese t’ha lassata, e che Dio! cu tutte te vuò mettere?
MANCINI
Che schifo!
GIGANTE
(accennando a de Muro)
Colpa sua!…
DE MURO
(tentenna la testa)
GIGANTE
Tua! Tua! Tua!
DE MURO
Lo so, lo so, lo so, Cristo!…. ’o ssaccio… Era una…
(si dà un colpo con la mano sulla bocca)
È finita! E’ finita… Da tre mesi non ne ho avuto più notizie…
(sbuccia nervosamente una castagna, la mangia, e beve un bicchiere di vino)
Nun saccio che dice, che ha fatto, addò sta… E’ finita… va bene? E ringraziamo il Padreterno, ma nun ne parlammo cchiù!…
GIGANTE
Oh, bella! Tu p’o primmo cacce ’o discorso….!
GIANFRANCO
E non dovresti parlarne.
MANCINI
Eh, parlarne!… Non avresti dovuto mai affiancarla…
GIGANTE
’A quanno venette c’’o francese l’îssa avuta jettá for’ ’a porta!…
GIANFRANCO
Ca si t’avesse vuluto bene…
GIGANTE
Che bene e bene!
MANCINI
Chello sò femmene ca nun vonno bene a nisciuno!
GIGANTE
Sò put…
DE MURO
(senza dargli il tempo di finire, insorgendo, con un grido:)
No!… No!… No!…
MANCINI
Ma se tu stesso…
GIANFRANCO, GIGANTE
(sconvolti e turbati, quasi contemporaneamente:)
Uh Giesù, ma allora…
DE MURO
E io sì: voi no! Io voglio dì tutto chello ca voglio: voi no!…
(fuor di sè)
Vicenzella è una santa, è una padreterna, e tutto quello che ha fatto è ben fatto! Io non capisco tutto questo accanimento contro ’na povera dia, ca quando è stata quà, vicino a me, ha sofferto la fame per mantenersi pulita… E così parlano gli artisti? E siete artisti voi? Voi siete…
MANCINI
… Si… si… tutto quello ca vuò tu…
DE MURO
(a Gianfranco)
Mon mi voleva bene?
(scoppia a ridere a lungo, nervosamente, —
poi, con uno scatto:)
Tanto mi voleva bene! Tanto, tanto, tanto, quanto nessuna donna ha voluto mai bene ad un uomo… Po’ se stancaie, e aizaie ’ncuollo e se ne iette… E buon viaggio!
GIGANTE
(ride rabbioso, — gli altri scrollano la testa:)
DE MURO
(a Gigante:)
E che vuoi dire?
(agli altri:)
E che volete dire? — Ha fatto bene. Ma vuie nce pazziate a campà vicino a me? ’N’ommo ca nun sape dì “te voglio bene!„ ca si va pe’ fà na carezza te fa male, — scuntruso, nervuso, ca non sai mai per quale lato pigliarlo… ’A vulevo bene? — Sissignore, — ma’ o ssapevo io e io — Glielo ho detto mai? Mai. Belli chiacchiere!… Le parole contano, — hanno il loro valore…
MANCINI
Insomma, la colpa è tua?
DE MURO
(cadendo dalle nuvole, con la intonazione di un fanciullo)
Mia? E che ll’aggio fatto io?
(con pietosa ingenuità:)
Io l’adoravo! Io mi sarei levato gli occhi da fronte per quella svergognata!
MANCINI
Ma lo vedi che dici e disdici? Non ragioni più!
GIGANTE
Quanno ’a vuò mettere ’sta capa ’ncapa?
DE MURO
(con un singhiozzo nella voce:)
Mai! mai! Voglio murì pazzo!…
(siede sulla sedia, — i gomiti puntati sul tavolo, la testa tra le mani. Gli altri sembrano assorti.)
I PITTORI, ANNA DE MURO e la piccola LUCIA
Entra, quasi inosservata, Anna de Muro, seguita dalla piccola Lucia, pallida e assonnata. La cieca, diritta, sicura, va verso il figliuolo, gli caccia le mani nei capelli, e non profferisce parola.
DE MURO
(con un sussulto:)
Mammà!
ANNA
(ride con la sua risata dolce e malinconica)
MANCINI, GIGANTE, GIANFRANCO, SCHETTINI
(circondano la cieca, le stringono le mani, le rivolgono qualche parola)
MANCINI
A chest’ora?
GIANFRANCO
E comme va?
GIGANTE
Cu chistu friddo?
(la piccina si adagia sul divano, che è in fondo, e si addormenta. Schettini la copre col suo vecchio pastrano e rimane, a contemplarla.)
ANNA
Sò ’e quatto,… a ’e cinche esce ’a primma messa… Stanotte Giesù Bammino nasce n’ata vota…
(con un sorriso:)
E nuie ccà l’aspettammo…
(cambiando tono — a de Muro:)
Tu, alluccave?
DE MURO
Io? No!…
ANNA
Pecchè alluccave?
DE MURO
(un pò nervoso:)
Mammà!
ANNA
(toccandogli una mano:)
Triemme ancora…
(agli altri)
Ch’è stato?
MANCINI
No, niente…
GIGANTE
Chiacchiere…
GIANFRANCO
Lo sapete che quando parla si eccita…
ANNA
(che ha compreso, — con uno scherzoso gesto di minaccia, a Gigante:)
Michele, Michele, nun m’’o fà piglià collera a ’stu figlio!…
GIGANTE
Si tutt’’a collera s’’a pigliasse pe’ me…!
ANNA
(gli poggia con dolcezza una mano sulla spalla)
DE MURO
(trae a sè Mancini, lo guarda negli occhi, come a chiedergli perdono, poi se lo stringe al cuore)
MANCINI
(commosso:)
Peppeniello…!
(fa per dargli uno schiaffetto, – vorrebbe ridere, ma è vinto dalla commozione, e si allontana, nel fondo)
ANNA
Ne, don Nicola Mancini, e c’avite fatto? Nun ce site scise cchiù a ’o cafè?… Vuliveve fà… vuliveve dicere.
MANCINI
(ridendo)
ANNA
Ah, mbè? S’è miso a leggere?
GIANFRANCO
Ma dico: mo nce putarriamo arrivà a’ o cafè ’e don Ciccio?
SCHETTINI
Nce sò passato verso mezanotte… Era una cosa di una indescrivibile bellezza…
GIGANTE
(ridendo)
Stevano nchiuse ’a dinto, e ghiucavano a tombola.. Aggio tuzzuliato, m’hanno apierto, e m’hanno offerto, nientemeno ca na presa d’annese… I’ nce l’aggio ditto pure ca cchiù tarde nce turnavano cu de Muro… cu Mancini.
DE MURO
No, me scoccio…
ANNA
(a Gigante, in un orecchio:)
Purtatavillo…
MANCINI
GIANFRANCO
Pieno di colore: con quell’aria settecentesca…
GIGANTE
Tazze ’e chesta posta: verde, rosse, gialle…
MANCINI
… E chilli viecchie ca nce passano na vita sana lla dinto… Che divine macchiette!
GIANFRANCO
… Don Biagino, ’o sapite? ’N’impiegato a ritiro, che è una cosa troppo bella di malinconico e di grottesco…
GIGANTE
…E chillo don Rafele ’o cabalista, che ’a cinquant’anne ca ’o saccio, nun ha pigliato mai ’n’ambo, che tipo, ne?
SCHETTINI
… E don Ciro ’o prevete, c’accarezza tutt’o juorno a Muscione, addurmuto ’ncopp’’o divano?
MANCINI
… Don Ciccio… don Ciccio è o cchiù bello e tutte quante, — cu nu cuorpo tantillo ca scunocchia sott’’a chella capa ’annecchia, è una cosa d’uno spasso indescrivibile…
DE MURO
(con un sorriso malinconicoi)
GIANFRANCO
(a de Muro:)
Iammo, che ’a figlia cchiù piccerella nce tene nu pensiero pe’ te!…
DE MURO
(sorridendo:)
Vattenne!
MANCINI
(a de Muro)
Sempe ’e te me spia: chist’è nu fatto…
SCHETTINI
Nun le facisteve ’o schizzo ’ncopp’’o marmulo d’o tavulino?
ANNA
(ridendo)
Ah, ne?
DE MURO
Nun saccio comme me truvaie… pe’ me fà passà nu poco ’a fantasia le facette nu schizzo c’’o lapis…
GIGANTE
Ma chillo ca faciste a “Coppola Rossa„ era ’na meraviglia…
DE MURO
SCHETTINI
E pò ’int’à quanto nce ’o facette? Int’ ’a nu mumento…
GIGANTE
Nun s’arrivaie manco a fernì ’a presa d’annese, ch’era bello e fatto…
ANNA
(ridendo, a de Muro:)
Chesto sì redutto a ffà: schizze pe’ dint’’e cafè?…
DE MURO
Ma mo manco chesto saccio fà cchiù!
MANCINI
(contemplando la piccina che dorme:)
Comme dorme!
GIGANTE
Pallida pallida…
MANCINI
Non ho mai visto due occhi più belli, più profondi, più espressivi…
GIANFRANCO
Pare nu bello Michetti!
ANNA
Nun tene a nisciuno…
MANCINI
E quanto capisce!
GIGANTE
(un pò forte:)
Lucìella mia!
MANCINI
Ssts!…
GIANFRANCO
E che faie? Accussì ’a scite?
GIGANTE
(con uno dei suoi scatti bizzarri)
Nun me fido d’’a vedè durmì!
MANCINI
Vedite che idee!…
DE MURO
(che se n'è stato silenzioso a contemplare, grida a Schettini:)
Damme ’o lapis…
MANCINI, GIGANTE, GIANFRANCO
(comprendono e sorridono)
DE MURO
(comincia a fermare qualche segno su di un piccolo cartone, poi, d’un tratto, bruscamente, lacera il cartone e lancia la matita in aria.)
Un doloroso mormorio tra gli artisti.
MANCINI
(che è lì lì per commuoversi — rivolgendosi agli amici:)
Bè, che si fa?
GIGANTE
Mo pare brutto… Pure ca nce passammo nu mumento…
GIANFRANCO
Glielo abbiamo promesso.
ANNA
(a de Muro:)
E va, bello ’e mamma, ammacaro te distrae nu poco…
DE MURO
(nervoso:)
Non ho niente da distrarmi, mammà. Io sto benissimo…
ANNA
(ridendo, e battendogli sulla spalla:)
E zitto… e zitto…
GIGANTE (indossando il pastrano:)
Signori, io mi avvio.
GIANFRANCO
(imitandolo:)
Chi mi ama, mi segua…
— E tutti e due escono pel fondo —
DE MURO
(ad Anna)
Manco mez’ora, e stammo ccà…
MANCINI
(posa dolcemente la mano sulla spalla della vecchia)
ANNA
(indovina:)
Nicola Mancini…
(e ride triste)
MANCINI
(ridendo anche lui)
Si, si, Nicola Mancini.
Ed esce con de Muro e Schettini pel fondo.
ANNA
(va a sedere sulla vecchia poltrona, accanto al fuoco)
Un lungo silenzio.
ANNA DE MURO, LA PICCOLA LUCIA. VICENZELLA
Ecco che, in fondo, appare Vicenzella. È ansimante, è assiderata: ha corso tanto che, ora, le forze le vengono meno.
È mal ridotta, — veste povera, e a nero. Nasconde il volto in un piccolo scialle di lana rossa. S’arresta sull’uscio, volge d’intorno l’occhio sgomento, e soffoca un grido. Sta per venir meno… S’ode il suo respiro affannoso. Poi leva le braccia in alto, e rimane ritta sull’uscio. Ha, in questo atteggiamento, qualcosa di sacro.
ANNA
(sente che qualcuno è in casa)
Chi è?
VICENZELLA
(portando una mano al cuore, per trattenerne i battiti, con un fil di Voce:)
Io…
ANNA
E chi si’?…
VICENZELLA
Manco ’a voce canuscite cchiù?
Un silenzio.
ANNA
(con voce roca:)
E che vuò a chest’ora?
VICENZELLA
(secca)
Niente.
ANNA
Nun ce sta nisciuno. Sto sola. Sò asciute tutte quante.
VICENZELLA
E sinnò nun trasevo. Nisciuno m’haddà vedè. Vuie sola!
(posa l’occhio su le cose che ella conosce, fissa una tela sulla quale lei è dipinta — poi va presso la vecchia, cade in ginocchio presso la cieca, le stringe la mano.)
ANNA
(ritraendo la mano:)
Unu gelo!
VICENZELLA
Scusate…
ANNA
(aspra)
Scárfate vicino ’o ffuoco…
(Vicenzella curva sul braciere, si riscalda le mani al fuoco)
Ancora un suono di zampogna lontano lontano, e qualche voce malinconica nella notte.
VICENZELLA
Fore fa ’a neve…
ANNA
Sì stata malata?
VICENZELLA
(a fior di labbra:)
Sì…
ANNA
E mo?
VICENZELLA
(cupa)
Sto malata ancora.
ANNA
(toccata dal suono della voce:)
E nun l’ê fatto sapè a nisciuno?
VICENZELLA
(con terrore)
No.
ANNA
E pecche?
VICENZELLA
(più cupa ancora)
Pecchesto…
— Un breve silenzio —
ANNA
E ch’ê tenuto?
VICENZELLA
Niente.
ANNA
(aspra, — la fronte china, — con disgusto:)
’O ssapevo!
VICENZELLA
(subito, con voce roca:)
Nun è chello ca penzate vuie…
ANNA
(allontanandola con la mano:)
Vattenne…
VICENZELLA
(fiera)
No. Stanotte pozzo stà ccà!
ANNA
(con sdegno:)
I’ nun te sento…
VICENZELLA
(forte, energica, tragica:)
E me â’ sentere. Pe’ figlieto so’ venuta.
ANNA
(ridendo, amara)
Tu?
VICENZELLA
Io.
ANNA
E che te ’mporta ’e figliemo a te?
VICENZELLA
(mutando tono:)
Nun parlà accussì… Iammo, nun me mettere ’ncroce… Siente… doppo Natale j’ parto… vaco all’America… me mbarco pe’ cameriera ’e bordo…
ANNA
(amara e ironica:)
Vaie a fà furtuna?
VICENZELLA
(dolente)
Sì, vaco a fà furtuna…
ANNA
E che buò ’a figliemo?
VICENZELLA
Niente… Chesto l’è ’â dicere: ca j’ p’isso parto… Isso sulo nun m’haddá vedè cchiù!
ANNA
E che le ’mporta?
VICENZELLA
(forte)
Le ’mporta, le ’mporta: nun dicere buscie. I so’ tutto pe’ figlieto. E isso è tutto pe’ me!…
ANNA
Nun è overo.
VICENZELLA
E’ overo! E’ overo!!
ANNA
Figliemo nun te penza cchiù…
VICENZELLA
Me penza… me penza.
ANNA
Se n’è scurdato ’e te.
VICENZELLA
No.
ANNA
Mo fatica e sta quieto.
VICENZELLA
No…
(e guarda le pareti nude)
ANNA
Nun t’annommena cchiù…
VICENZELLA
(con voce ardente:)
No, nun è overo. Figlieto more pe me.
ANNA
(levandosi, minacciosa:)
Ma che buò? M’ ’o vuò perdere ’n’ata vota?
VICENZELLA
(con un grido:)
Io?
ANNA
Tu… tu!…
VICENZELLA
Ah, tu le si’ mamma, e manco tu farrisse chello ca i’ faccio p’isso!…
ANNA
E che faie?
VICENZELLA
Me e vaco.
ANNA
Pe’ figliemo?
VICENZELLA
Pe’ figlieto!…
ANNA
(ridendo)
Si pazza.
VICENZELLA
(fuor di sè)
Guardame.
ANNA
(ridendo feroce:)
’O francese t’ha lassata?
VICENZELLA
Guardame…
ANNA
Tutt’ ’e nammurate tuoie t’hanno lassata?!…
VICENZELLA
Guardame…
ANNA
Nisciuno cchiù te tene mente…
VICENZELLA
Zitta!
ANNA
E mo vaie all’America…
VICENZELLA
Zitta!
ANNA
Pe’ fà llà chello ch’ ’ê fatto ccà… Schifosa!
VICENZELLA
No… Te miette a Dio sott’ ’e piede… Guardame…
(si libera dello scialle che le copre il volto, — lo getta lontano, e appare con la faccia deturpata dal vaiuolo)
I’ so’ tutta svisata!
ANNA
(si leva, brancola con le mani nel vuoto — cerca il volto di Vicenzella — glielo palpa, — poi, cacciandosi le mani nei capelli, grida, come impazzita:)
Peppeniello mio! Peppeniello mio!
VICENZELLA
(atterrita, indietreggia, protendendo le braccia verso la cieca)
Nun ce ’o di’! Nun ce ’o di’!…
ANNA
(disperata, come rivolgendo la parola al figliuolo)
Figlio mio bello… core e mamma soia… E comme faie?
(ripete, ora, le parole con un singhiozzo, tormentandosi le mani:)
E comme faie?!
VICENZELLA
(indietreggiando ancora, con un fil di voce, supplichevole:)
Nun ce ’o dì!… Nun ce ’o dì!…
ANNA
(chiamando a sè Vicenzella, e stringendole la testa fra le mani:)
E dì, dì, dì: comm’è stato?
VICENZELLA
E che ssaccio!
(or la sua voce è cupa, tragica, spezzata: parla più con gli occhi che con le parole. Il suo pallore è spaventevole.)
Quanno venette ’o miedeco j’ già nun capevo cchiù niente…
(si passa le mani nei capelli)
Chesto surtanto me ricordo: ca chillo ca steva cu me se ne fuiette… po’ se ne fuietteno tutte quante… e me lassaieno sola… ’e notte… dint a ’na casa ’ncampagna…
ANNA
(con un fil di voce:)
Figlia mia!…
VICENZELLA
Tre mise… sola.. dint’’a nu spitale… senza nisciuno… Tutt’’e notte me sunnavo chill’albero ’e limone!…
(accenna al piccolo albero che s’ergeva dietro la finestra. E scoppia a piangere convulsamente, nascondendo il volto fra le mani.)
ANNA
(tirandola a sè, con voce materna:)
Vicenzella!…
VICENZELLA
(aggrappandosi alla vecchia:)
Sempe a vuie aggio penzato… A te, a Peppeniello… a Mancini… a Gigante… Sempe ’a casa toia me sò sunnata!…
ANNA
(quasi con un grido, torcendosi le mani:)
E pecchè te ne iste?…
VICENZELLA
Nun nce putevo stà cchiù!… Doppo ca me lassaie c’’o francese, me mettevo scuorno ’e cumparì dint’’o studio… De Muro m’’o rinfacciava ogni mumento… l’amice suoie m’avutavano ’a faccia… tu, pe’ bia mia, te ne vulive i’ d’’a casa… Dicette: E va bene. Si Dio vò accussì, sia fatta ’a vuluntà ’e Dio!…
ANNA
E faciste ridere ’a gente…?!
VICENZELLA
’A gente?… E nun è stato p’’a gente c’ogge me trovo accussì?… Uno “sciu sciu„, dint’’a recchia: Che faie? Nun ’o vide ca te pierde?… Nun saie comme sò l’artiste… Ogge cu una, e dimane cu n’ata… Nun ’o vvide comme si arredotta?.. Scauza, e cu’ na petaccia ncuollo… — E j’ niente: ’O voglio bene, e me vò bene…
ANNA
E te mettiste c’’o francese…?!
VICENZELLA
Pe’ dispietto.
ANNA
E comme fuie?
VICENZELLA
(con un singhiozzo:)
Pe’ ’na camicetta ’e velluto!…
ANNA
(tentenna la testa)
VICENZELLA
(con pietosa ingenuità:)
’Na camicetta ’e velluto verde, ca m’ ’a rialaie ’o francese, quanno j’ me cuntrastaie cu Peppino!…
ANNA
(amara)
Tutte quante accussì!… Pe’ na vesta… nu cappiello… nu paro e scarpine… ’na camicetta… ’e velluto… L’artiste ve piaceno pe’ n’ora… ’O “cocò„ ve fa ascì pazze.
VICENZELLA
(con voce vibrata:)
Tre anne so’ stata vicino a figlieto!
ANNA
(insistendo nella sua idea:)
Nun era vita pe’ tte! Doppo nu mese te sapette a duro…
VICENZELLA
Me sò perduta pe’ figlieto!
ANNA
Pe’ ll’ate te sì perduta: no pe’ figliemo!
VICENZELLA
Sulo a isso aggio vuluto bene.
ANNA
E l’è lassato?
VICENZELLA
(forte, energica:)
E tu, nun vulive chesto, tu?
ANNA
Si, e no. Nun ’o ssaccio, ma tu nun te ne aviva j’!…
VICENZELLA
(pietosa)
Me ne cacciaveve sempe…
ANNA
Chi t’ha vuluto cchiù bene ’e figliemo?
VICENZELLA
(con un singhiozzo:)
Nun me l’ha ditto maie…
ANNA
VICENZELLA
Si… ’o ssapevo… e nun ’o ssapevo…
ANNA
(agitando le mani:)
Ah, ch’è fatto!… Si ’o vide, nun ’o canusce cchiù!…
VICENZELLA
Core mio!
(supplice — alla vecchia)
E dimme: parla ’e me?…
ANNA
(non risponde)
VICENZELLA
M’annommena maie?
ANNA
(tace ancora)
VICENZELLA
(pietosissima, stavolta:)
Maie ha spiato ’e me?
ANNA
(è sempre muta)
VICENZELLA
(con un grido, scuotendola:)
Me vò bene?
ANNA
(levandosi, con la voce ardente:)
Figliemo more pe’ te!
VICENZELLA
(fuor di sè, ebbra — gli occhi lucenti:)
E io?! E io?!
ANNA
Nun dorme pe te!…
VICENZELLA
E io?!…
ANNA
E chell’ora ca dorme, te chiamma ’n zuonno…
VICENZELLA
(con voce roca, vinta dal terrore:)
Zitta!… zitta!…
ANNA
Nun pitta cchiù!…
VICENZELLA
Zitta!… zitta!…
ANNA
L’albero ’e limone, t’’o ricuorde?
VICENZELLA
(con un fil di voce:)
Sì…
ANNA
Be’, cu ll’accetta — zà! — uno colpo, e l’ha tagliato!
(la voce è ardente e feroce)
VICENZELLA
Zitta!… zitta!…
ANNA
Manco ’a chitarra tene cchiù. Primma spezzaie tutt’ ’e ccorde, e po’ ’a menaie dint’o ffuoco…
(ride a lungo)
VICENZELLA
(agitando le mani:)
No!…
ANNA
Aiere,
(afferrandola pel braccio e scuotendola forte)
tu me siente?
VICENZELLA
(con un fil di voce:)
Si.
ANNA
Aiere arapette ’a caiola, e facette vulà ’a canaria…
VICENZELLA
(agitando ancora le mani,— con un singhiozzo:)
No!… no!…
ANNA
E ssaie che le dicette? “Va… va… va trova a Vicenzella„! Po’ me cadette ’mbraccia, e me dicette: Mammà, Vicenzella me vò bene!…
VICENZELLA
(con un grido:)
Sì… sì… sì… dincello, ca sulo a isso aggio vuluto bene… ca j’ tanno era felice… quanno me murevo ’e famma miez’a ll’artiste… Dincello, ca nisciuno cchiù m’ha saputo dicere chello ca me diceva isso…
ANNA
(con voce d'amore,— ebbra anche lei:)
Te chiammava ’a canaria…
VICENZELLA
Dì… dì…
ANNA
Te chiammava Primmavera…
VICENZELLA
Dì… dì…
ANNA
Te chiammava Cerasella.
VICENZELLA
Pane e cerase… pane e cerase… te ricuorde?… E i’ le cantavo ’e ccanzone…
ANNA
E isso pittava…
VICENZELLA
E j’ po’ m’addurmevo llà ’ncoppa…
(accenna al vecchio divano)
ANNA
Llà…
VICENZELLA
(manda un grido, e indietreggia, coprendosi il volto con le mani)
Chi è? Luciella?
ANNA
Stss!… dorme.
VICENZELLA
(con un fil di voce:)
Dorme…
(si accosta lentamente alla piccina, la bacia in fronte, — e poi torna, in punta di piedi presso la cieca, dopo aver deposto sul piccolo tavolo una lettera che ha tirato fuori dal corsetto. Mormora a pena:)
Luciella mia, e i’ comme faccio mo ca nun te veco cchiù?!…
ANNA
(supplichevole, a Vicenzella:)
Nun te ne j’!…
VICENZELLA
Pe’ figlieto me ne vaco.
ANNA
Comme faccio senza ’e te?
VICENZELLA
E comme pitta cchiù figlieto, si me tene nant’’a ll’uocchie accussì?
ANNA
(ha, ora la voce calda, armoniosa, commossa, come quella di suo figlio:)
I’ te voglio bene!…
VICENZELLA
(scostandosi un poco:)
Tu parle comme a isso!
ANNA
Tu si ’a canaria d’’a casa mia!
VICENZELLA
(scostandosi ancora, — e con un tremito nella voce:)
Tu tiene ’a voce soia!…
ANNA
Senza ’e te me ne moro!…
VICENZELLA
(fuor di sè, atterrita, con la voce roca:)
Chi è?… Chi sì tu?…
ANNA
Ll’uocchie te luceno ancora!…
VICENZELLA
(manda un urlo, si leva, raccoglie lo scialletto, e indietreggia:)
Tu ce vide?… Tu ce vide?… Tu ce vide?…
(E si copre il volto con lo scialle)
ANNA
(levandosi, e brancolando nelle tenebre, chiama con un grido che è tutto un singhiozzo)
Vicenzè!…
VICENZELLA
(indietreggiando ancora:)
No…
ANNA
Vicenzè!…
VICENZELLA
No!… no!… no!…
ANNA
(con voce spasmodica:)
Vicenzeeeèèè!
VICENZELLA
(fugge come una ladra inseguita, — e l'ombra sua si dilegua nell'ombra della notte.)
ANNA
(fa qualche passo: vorrebbe raggiungerla. Brancola un pò nelle tenebre, poi si arresta dinanzi al braciere spento, — la testa in alto e le braccia protese. In fondo la piccina si desta, e spalanca gli occhi, atterrita. Non profferisce parola. Leva le piccole braccia in alto, e prende a singhiozzar forte).
Passa, in fondo, un monello, agitando un bengala, che, per un attimo, illumina della sua luce rossa il piccolo ambiente, immerso, quasi, nelle tenebre.
UNA VOCE LONTANA
Sparate!… Sparate!…
— Dalla via giungon voci e risate —
DE MURO, GIGANTE, MANCINI, GIANFRANCO, SCHETTINI.
(irrompono gai e un po' brilli nella piccola casa dolorosa)
DE MURO
(entra, col bavero del paletot alzato e il cappello
sulla nuca:)
Mammà, mammà, il colpo è fatto! Sono guarito! Io sposo le figlie di don Ciccio.
MANCINI
(ridendo)
Tutte e tre?
DE MURO
Tutte e tre.
GIANFRANCO
E a Gigante?
DE MURO
A Gigante? Queste!
(fa le corna con le mani)
MANCINI
(s'accosta, intanto, alla piccina, che singhiozza ancora:)
Che è?…
LUCIELLA
(singhiozza forte, agita le manine, e non risponde)
GIGANTE
Ch’è stato?
DE MURO
Luciè?!
GIANFRANCO
(accorrendo)
E quanno maie?
SCHETTINI
Che t’hanno fatto?
LUCIELLA
(agita ancora le manine, e, singhiozzando, indica il piccolo tavolo. Ha gli occhi sbarrati:)
Là… là… là…
GIGANTE
(che non comprende ancora — atterrito:)
Luciella mia!…
LUCIELLA
(convulsa, indicando con tutte e due le manine il tavolo:)
Là… là… là…
DE MURO
(accorrendo presso il tavolo:)
E che ce sta llá? ’Na lettera?
(prende il foglio fra le mani:)
Chisto è carattere ’e Vicenzella…
(alla madre)
Ccà è venuta Vicenzella?
ANNA
(non risponde)
DE MURO
(amaro, turbato:)
E che vò?…
ANNA
… Sta malata…
DE MURO
E che me’ mporta?…
ANNA
… Parte… se ne va…
DE MURO
(con voce roca)
Chi?…
ANNA
… Nun torna cchiù…
DE MURO
(convulso, apre il foglio, e comincia a leggere:)
… Amore mio bello…
(ride, e sta per strappare il foglio)
— La campana della chiesa vicina chiama i fedeli a raccolta. De Muro interrompe la lettura. La cieca mormora una preghiera, e, ritta, la fronte alta, bella come una santa, esce, guidata per mano dalla piccina, senza dire più parola.
De Muro segue la vecchia con lo sguardo. E trasfigurato.
D’intorno è silenzio.
DE MURO
(riprende a leggere lentamente la lettera. La sua voce è velata dalla commozione, — le mani gli tremano. Gli artisti lo circondano, e ascoltano in silenzio.)
Amore mio bello,
Vicenzella tua se ne va. Non la vedrai più! Se ne va tanto lontano!… Se avesse avuto il coraggio di uccidersi, a quest’ora lo avrebbe già fatto… Morirà poco a poco. Perdonala, amore mio bello, perchè tanto ha sofferto, e tanto ti ha amato!… Che tristezza!… Tanto bene ti voglio… Tanto bene… tanto, tanto, tanto!
Lavora, e non pensare piú a me… No, no… pensami qualche volta… Sono stata tanto malata… Ho tutta la faccia svisata! (Un mormorio pietoso fra gli artisti. De Muro fa gran forza su sè stesso, per proseguire nella lettura. La espressione del suo volto non è descrivibile.)
… Sono orribile, ma gli occhi sono belli ancora. … Addio, amore mio bello!… Che Iddio ti aiuti!… Sei tanto buono, e hai tanto sofferto per me… Povera Vicenzella, come è finita!… Bacia tutti per me: Mancini, Gianfranco, Antinori, Schettini… E sopratutti, Gigante… Digli che mi perdoni se facevo i capricci… Non ne farò più… Sono cosi brutta che nessuno me li farebbe passare… Ti bacio sugli occhi, sulla bocca, sulla fronte, sulle mani, e in ogni bacio è un poco del mio cuore, che è tuo, sempre tuo… solo tuo!…
Vicenzella…
GIGANTE
(che è seduto sulla panca, nasconde la testa tra le mani, — i gomiti puntati sui ginocchi, — e scoppia in singhiozzi)
Mancini, Gianfranco, Schettini van verso il fondo, per nascondere la loro commozione, — spalancano la porta, e si aggruppano sulla soglia dell’uscio.
Fuori albeggia. — Un’alba pallida e fredda — Nevica.
LA VOCE DI UN FANCIULLO
’A neve!… ’A neve!…
UNA VOCE LONTANA
(triste, a cantilena:)
Sparate!… Sparate!…
Suonano le campane a gloria. Gesù è nato nella notte cristiana.
DE MURO
(frenando i singhiozzi, e stringendo al suo cuore la testa bianca di Gigante:)
Zitto!… zitto!…
GIGANTE
(con un singhiozzo:)
Vicenzella!
DE MURO
(abbandonandosi, ora, alla piena del suo dolore:)
E che faccio cchiù io?! Comme pitto cchiù io?!
GIGANTE
(ripete, ora, come un ebete:)
“Salutami Gigante… e digli…. che mi perdoni… se facevo i capricci…„
DE MURO
(cadendo fra le braccia di Gigante:)
Zitto!… zitto!… zitto!…
Ancora un suono di campana, e qualche voce malinconica e stanca, nella notte.
E IL DRAMMA FINISCE
Niente «errata corrige». Chi ama attribuire all’analfabetismo dell’autore qualche inevitabile strafalcione tipografico, si accomodi pure. Non è per gli spiriti acidi che io ho raccolto in volume queste commedie, ma per quelle poche anime sensibili che sono ancora disposte ad ascoltare una voce schietta e commossa, fioca o alta che essa sia.
L. B.