Teatro - Menotti Bianchi/Napulitana
NOTICE: Mixed italian-neapolitan. In general, italics are for theatrical indications and are given in italian and dialogs are mostly in neapolitan.
'O sfregio | 1 |
Rosa Esposito | 58 |
'A figlia d''a Madonna | 97 |
Comm'a nu brutto suonno | 143 |
Trezza d'oro | 177 |
'Int''o canciello | 241 |
Notte | 281 |
Voce d''e ccose | 321 |
'E guaratelle | 359 |
'A mercante | 405 |
Napulitana | 457 |
In semplici e nitide edizioni, Menotti Bianchi pubblica i suoi drammi dialettali in uno e più atti e intorno al laborioso e silenzioso ricercatore ed idealizzatore dell'anima del suo popolo diletto, si accendono tutte le ansie della curiosità, e tutti i fremiti dell'attesa.
Poichè Menotti Bianchi — per quanto la critica ufficiale si sia fatto un dovere di tenerlo nascosto, e gli ineffabili raffazzonatori di polpettoni a sicuro effetto abbiano sempre dimostrato per lui un grottesco disdegno — rimane sempre un sereno e conscienzioso idealizzatore della vita, un sicuro artefice, dotato di una rara forza drammatica, soffusa di una sana onda di poesia. Ed è bello vedere questo ardito artefice perseguire, con ardore incessante, il suo sogno di bellezza, nonostante le volgari schermaglie larvate di cortesia, e le oscure lotte tramate nell'ombra che cela mille misfatti estetici. Menotti Bianchi, sicuro dell'intima energia che pulsa
nel suo sogno ardente, à disdegnato sempre le chiesuole offuscate dal fumo degli incensi e della protezione, e questo è stato un bene per lui, ed è stato anche un male. È stato un bene, perchè egli à potuto così mantenere intatto il suo puro sogno di arte non contaminato da putridi contatti, e non oscurato dalle piccole ambizioni di coloro che cercano, attraverso le più losche concessioni, di pervenire per un istante, e perchè egli à potuto custodire immacolato il tesoro di semplicità e la candida freschezza della sua visione, che va di là da ogni miseria della vita quotidiana. Un male perchè egli, tenutosi lontano dagli arruffoni mestieranti, è stato da essi accanitamente bersagliato, si che à dovuto acuire intensamente le sue energie interiori, per potere resistere all'impeto della corrente, che tentava di farlo piombare nell'oblio irreparabile.
Bisogna che, nei tristi giorni che attraversiamo, si transiga con la propria coscienza, se arride il desiderio di non farsi vincere dall'onda comune. Bisogna avere tutti i sorrisi della ipocrisia, e aggrapparsi a qualunque mezzo, pur di battere sonoramente la grancassa, poichè l'opera d'arte oggi s'innalza e s'impone con l'abile e sapiente réclame, e il dramma e il romanzo sono scesi al livello del cinto elettrotecnico e del «tot»!
Menotti Bianchi però, dalla oscura guerriglia non è stato abbattuto, che anzi la sua figura emerge più chiara e piú pura, e quasi purificata dalle avversità dei suoi invidi, perchè egli chiude in sè una rara possanza
di visioni, e un'anima aperta a tutte le significazioni e a tutte le idealità della vita bella. Il suo felice temperamento drammatico è stato riconosciuto da uomini illustri come Giovanni Verga e Luigi Capuana; Luigi Conforti, il poeta semplice e forte, il cui ricordo è come un rimpianto perenne nell'anima di tutti noi che lo amammo, dedicò sulla Fronda, a Menotti Bianchi, un lungo articolo vibrante di sincero entusiasmo. Nè altre voci di lodi e di incoraggiamento sono mancate, a questo coscienzioso animatore della scena, voci che sono spontaneamente scaturite da artisti e letterati, scevri di passione, e ardenti dinanzi al mistero delle cose belle.
Ora la figura di Menotti Bianchi si distacca dallo sfondo scuro, che è stato il suo passato di voluta noncuranza. I suoi drammi raccolti in un sol volume s'impongono alla libera discussione e pare che alfine si schiudano per lui i terribili battenti della interpretazione.
Dal suo primo dramma in un atto: Rosa Esposito, che vinse il concorso drammatico bandito dal «Mattino» nel 1902, fino a Catena, recentissimo, e alla Napoletana, è stata una continua e segreta ascensione, verso i più luminosi ideali della bellezza. Menotti Bianchi, poi, possiede il segreto del dramma in un atto, che per la sua rara sapienza tecnica, acquista una singolare forza di suggestione. Nel breve cerchio di poche scene, egli sa abilmente riassumere ed impostare un mistero di anime, una rappresentazione
di vita: Comm'a nu brutto suonno, Notte, 'A morte, Voce d'è cose, sono altrettanti gioielli di verità e di poesia. Il Bianchi à una penetrazione profonda dell'anima e della vita, s aricercare i misteri segreti delle cose e degli uomini, e sa comporre le sue visioni, in una figurazione lucida di pensiero. L'abilità tecnica, la sapienza dell'orditura, la rappresentazione degli scorci, in dialogo rapido e serrato, la melodiosità delle imagini, gli fanno dettare delle scene di un effetto sincero, e di una vigorosità che incatena. Dalla sua lunga e varia e meditata operosità, sono scaturiti drammi forti come Comparàtico o I Contadini, tutti e due di ambiente siciliano, e ' figlia d' a Madonna, impressionante scena di amore e di dolore, e Maria Duplessis, delicata figurazione di poesia tenera e dolente. É tutta una prodigiosa rifioritura di ambiente di vita, rappresentata con tocchi validi, e con arte sicura.
Menotti Bianchi à il merito d'avere, per il primo, nel teatro dialettale napoletano, apportato la psicologia acuta e serena, mettendo lo studio accurato delle anime e del sentimento, là dove gli antichi costruttori di drammi popolari, avevano posto lo stereotipato colpo di coltello. Menotti Bianchi, che studia ed ama il suo popolo, sa che non tutti i figli dell'umile esistenza, sono violenti e crudeli; sa che i fligli della sua terra fascinante, ànno negli occhi il fulgore del sole meridionale, e le blandizie del mare sognante, e nell'anima il culto della melodia, e il più puro ardore di passione. Ed à sviscerato
queste passioni, fiorite nella penombra d'una umile via ignorata, che chiude tanti misteri di desiderio, e tanti palpiti di idealità. Menotti Bianchi à idealizzato e rigenerato, nell'erroneo concetto comune, il suo popolo, che non è agitato dalle brame feline che formano il repertorio degli istrioni da arena, ma che à nell'intimo profondo tutto un tesoro di poesia, e che canta, nel fascino delle notti indolenti di luna, le più belle e le più ardenti canzoni che abbia mai saputo creare un popolo, al mondo!
Menotti Bianchi à diritto, al fine, a quel raggiungimento d'ideali, che è stato il sogno unico, puro ed eletto di tutta la sua giovanile ed incessante laboriosità prodigiosa. E la vita serberà a questo suo forte figlio il sorriso dell'arte e il bacio della bellezza, unica conquista alla quale ànno ansiosamente aspirato le sue energie accese, unico fulgore al quale ànno drizzato il volo, le possanze del suo spirito profondo e comprensivo.
Da: «Vita Letteraria» anno VI, n. XII (Roma).
Nicolò F. Mancino
Lucerna, 25 Agosto 1907.
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... Grazie, grazie dal profondo del cuore per la sua benevolenza squisita verso di me! Leggere anch'io con vivo piacere i suoi lavori, di cui conosciutissimi scrittori, e comuni amici, mi hanno detto un gran bene; e mi sarà caro di poter apprezzare anch'io il suo forte ingegno.
Suo aff.mo
Giannino Antona Traversi
Napoli, 29 Nov. 1908.
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...Molto belli i tuoi piccoli drammi napoletani: «'A morte» — «Napulitana». Vivo il dialogo, sicuro lo scorcio, gli uomini parlano il linguaggio della vita! Due quadretti forti e coloriti! Bravo! Bravo!
Vivamente mi congratulo. Sei un coraggioso lavoratore!
Ti saluto affettuosamente
Washington Borg
Castellammare di Stabia, 10 Sett. 1905
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... Ho veramente ammirate le vostre spiccate facoltà sceniche.
In tutti i piccoli drammi avete preferito lo scorcio, che è anche per me una delle manifestazioni più interessanti dell'arte teatrale. Lo scorcio è difficile ed è pericoloso, ma voi ne siete maestro, e io amo le difficoltà e i pericoli. Vi faccio, dunque, i miei complimenti, e vi auguro, con tutto il cuore, il successo che veramente meritate.
Vi stringo la mano.
Roberto Bracco
Catania, 23 Dicembre 1908
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Ho letto tutto d'un fiato «Napoletana» cosa indovinatissima, caratteristica. «Napoletana» è stata rappresentata? Son sicuro che avrà ottenuto lo splendido successo che merita, se à trovato interpreti degni. Mirallegro con l'autore particolarmente per l'
appassionata creazione di Cannetella, figura indimenticabile, vera, proprio viva!
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Una cordiale stretta di mano dal
Suo aff.mo
Luigi Capuana
Palermo, 7 Sett. 1905
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... « 'A figlia d' 'a Madonna, Comme 'a nu brutto suonno, Lo sfregio, Notte » drammi in un atto che uniti a « Rosa Esposito » formano cinque forti, e veri, e impressionanti quadri di vita popolare, nei quali, con una rara efficacia è dipinta la vita, l'anima, il sentimento del popolo napoletano.
Avendo un giorno, il forte commediografo comm. Achile Torelli, chiesto al Bianchi se egli imitasse i tedeschi o i francesi, il Bianchi rispose: Io traggo le ispirazioni da tutta la vita che rimiro, da tutto ciò che mi sta d'intorno. Io ò molto viaggiato, ò conosciuto molti uomini e molte cose; ò tratto da tutte queste visioni multiformi delle ispirazioni e degli ammaestramenti; è tutta la vita che ò contemplata e che ò studiata, ch'io mi prefiggo di ritrarre, facendo risaltare quel sentimento che mi suscita nell'anima, sinceramente, spontaneamente.....
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Da « La Fronda »
Luigi Conforti
Novara, 19 Nov. 1908
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Lodo con viva sincerità la bella tua perseveranza e la inesauribile possa del tuo intelletto sempre aggiogato da una nobile febbre di arte. Non desistere: gli ostinati foggiano col tempo, a proprio piacere, anche l'avversità degli eventi. Mi piacque assai «'A morte» in cui è animata con maestria la sintesi di un poderoso dramma e in cui la riproduzione di un episodio della delinquenza napoletna è fatta con tocchi rapidi si, ma precisi e forti.
il tuo
Biagio Chiara
Palermo, 10 Genn. 1909
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... Ho già letto tutti d'un fiato i tuoi lavori drammatici: ti dico che essi mi piacciono tutti. «'A Morte», è, effettivamente il più possente, «Napoletana» è sommamente afficace, un vero capolavoro di verità di colorito locale, e di carattere. Ognuna delle tre cose, insomma, mi à dato almeno un brivido, quel brivido che noi proviamo al cospetto delle vere opere d'arte. Ma ciò che a me è piaciuto di più, nella sua
soggettività un pò irreale, nella sua poesia, nella sua — quasi — inconsistenza, è la tua «Cenerentola» che mi pare semplicemente deliziosa, squisita......
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il tuo
Federico De Maria
Napoli, 3 Ottobre 1907
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Il vostro piccolo dramma «Notte» è davvero pieno di passione e di tragicità: mi è tanto, tanto piaciuto! Grazie, grazie ancora.
E continuate a voler bene al
Vostro aff.mo
Salvatore Di Giacomo
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Tutto il «teatro napoletano» del Bianchi, da Rosa Esposito alla Figlia d' 'a Madonna, da 'O sfregio, da Notte a Morte, a Voce d' 'e ccose ed a Napulitana — la migliore tra le commedie tragiche sue — è non semplicemente teatro d'ambiente ma anche di caratteri, è opera di teatro e di poesia, pichè da esso scaturisce profondo il sentimento, una triste polla di poesia, una voce di umanità che trascende da una data scena e da
un dato lavoro, per virare con le sue infinite tonalità nel cuore di tutti.
Questa profonda essenza umana forma la potenza e la forza essenziali dell'opera del Bianchi. Questa coralità, direi quasi, di essa, che trova la immediata corrispondenza nell'animo dell'ascoltante, le dà nobile impronta di originalità e verità.
Il «teatro» del Bianchi è sopratutto sincero. Perciò la veste dialettale di esso può restare contingenza secondaria, trascurabile essendo la ragion d'essere dei lavori tutti nel contenuto ideale, nell'intrinseco pregio, nella idea motrice e nelle parole di verità, negli schianti di dolore, nella felice, sobria, nitidissima dipintura ambientale.
Da: «La Vita» anno V, n. 163 (Roma).
Achile Macchia
Caro Bianchi,
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Ho letto le vostre produzioni teatrali, e vi assicuro che esse mi hanno impressionato vivissimamente, per la profondità del contenuto, per la freschezza di colorito e di tocchi, e per la rapida ed efficace visione drammatica. Voi possedete in alto grado la tecnica delle scene, e sapete essere originale e commovente. Ho vissuto la vita dei vostri personaggi, e nella mia anima li sento palpitare ancora di un palpito indimenticabile.
Abbiate coraggio, come avete forza, e senza dubbio conquisterete il futuro.
Credetemi vostro
Domenico Milelli
Milano, 20 ottobre 1908
Gentilissimo Bianchi
Avevo poca conoscenza del popolo napoletanto e tanto meno del suo teatro; ma lei, con i suoi drammi in un atto, me ne ha dato una forte e viva impressione.
Quanta sincerità, quanta poesia, quale tavolozza sm*gliante!... Direi, quasi, che nello scrivere i suoi drammi, lei à usato più che la penna, il pennello del grande pittore napoletano Dalbono.
Chi à scritto'A morte, Napoletana, Notte, Comm'a nu brutto suonno, e tutti gli altri drammi, merita di essere studiato particolarmente, avendo dato un teatro di vita, di poesia e di profonda psicologia.
Molti grandi commediografi in Italia invidierebbero i suoi drammi, che in minuscoli opuscoli libra al volo, per la loro vita, per la spontaneità del dialogo, lo scorcio usato da maestro, che sintetizza i caratteri e l'azione drammatica. .....
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Un saluto dal Suo
Gerolamo Rovetta
Napoli, 15 Marzo 1911
Carissimo Menotti,
Non da ora tu sai quanto i ostimi i tuoi ar denti ideali di arte e il tuo lavoro coscienzioso, onesto e buono. Nè puoi ignorare che da lontano o da vicino, ti ho seguito con interesse fraterno, notando i rapidissimi progressi della tua arte e compiacendomene. Ora leggo completo la tua opera di scritta dialettale dedicato al teatro, e vedo quanta forza e quanto carattere tu hai saputo mettere nei tuoi varii e pittoreschi componimenti. Ti auguro la fortuna che meriti per la nobiltà dello scopo artistico e per l'amore che porti a Napoli. Tu sei pittore e poeta: nè meno si poteva aspettare da chi è nato come te da un letterato insigne, e da un artista così delicato e sottile come Colui che fu tuo padre.
Ti abbraccio con memore affetto.
Tuo
Ferd. Russo
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Iniziò il Bianchi la sua opera drammatica con lo Sfregio in un atto: lavoro che, e per tecnica e per concezione, troppo si avvicina ai generi che trionfavano venti o
venticinque anni fa, generi primitivi in cui l'Arte si camuflava di sanguigne tuniche e un colpo di coltello risolveva, perpetuamente, il nodo scenico.
Ma nelle produzioni posteriori, da Rosa Esposito al Cantsastorie, la personalità sua si afferma netta e spearata. È già in La Figlia della Madonna un passo grande è fatto in questa nuova via: quivi la maternità e la nobiltà dell'amore non consanguineo si eleva e si purifica in un raggio superiore, quasi di sacrifizio.
Dopo «'O Dovere» studio di caratteri e «Int' o Canciello», studio d'un carcere, in cui il ladro unico si alterna al ladro filosofo, in «Notte», il Bianchi si afferma in tutta la maturità del suo ingegno. Dramma profondamente angoscioso pur essendo condotto senza scoppi, senza crosci e senza violenze: in una notte piena di poesia e di amarezze muore, l'amante tradito, di malinconia, mentre lei, la infedele, accorsa nell'ora ultima è scacciata dalla madre di lui folle di dolore.
Trame, come ognuno vede, esili, fila sottili allacciate senza nessuno artificio d'intreccio, senza nessun nodo gorgoneo. Eppure il dramma cozza nell'intimo e si esprime turbinoso, come una raffica; eppure lo scioglimento, che di rado è la catastrofe consueta, sorprende e travia e dilania ogni aspettazione.
Da: «La Sicilia» anno X, n. 259 (Catania).
Emilio Scaglione
Napoli, 2 Agosto 1905
Gentilissimo Bianchi
Mi tengo onoratissimo della dedica del vostro lavoro, che ò letto con commozione. Date retta ad un uomo che vi stima e vi vuol bene: avete tutto per essere un forte autore drammatico, e se riuscite a voler meno i contrasti, avrete al tutto conseguito il posto che vi spetta.
Achille Torelli
Milano, 13 Aprile 1902
Gentile Signore
Ho letto con piacere ed interesse il suo dramma in un atto «'A figlia d' 'a Madonna», e mi congratulo del notevole progresso ch'Ella dimostra di aver fatto con questo atto, dall'altro suo lavoro «Rosa Esposito» che fu pure premiato al Concorso del «Mattino». Ella è giovane di molto ingegno e può fare molto, ciò che le auguro sinceramente.
Suo
Giovanni Verga
A
Marco Praga
- Tore.
- Gennarino.
- Nannina.
- Rusella.
- Matalena.
- 'Onna Cuncetta.
- Nu pizzaiuolo.
- Nu solachianiello.
- Nn maruzzaro.
- Voce del friggitore.
- Gente 'e strada.
- Tore.
A Porta Capuana. Nell'ora crepuscolare, il movimento intenso e caratteristico del popolo comincia ad attenuarsi. Le ombre cominciano a discendere sull'alta porta di pietra oscura, sormontata dalla marmorea effigie di S. Gennaro. Qualche lume si accende in lontananza, e la fanchiglia della via ampia rilette biecamente i primi lumi rossastri. La piazza sembra, ora, stanca della tumultosa vita popolare di tutto un giorno.
I venditori di pesci, di frutta, di castagne lesse raccolgono nel cesto l'ultima mercanzia, e si avviano. Ora, il movimento si accentua nelle pizzerie e nelle bettole, che s'illuminano d'una luce lenta e fosca, che discende dai lumi a gas, polverosi e affumicati.
Il tramonto è strano. Tutto sembra strano in questo focolario di bassa vita, pel quale, nell'ora grigia, si vedono a quando a quando indugiare uomini di mala vita e donne di malo affare.
Un ciabattino, seduto sulla cesta che contiene le suole e i ferri del mestiere, batte su d'una pietra un pezzo di suola perchè si stiri.
Un venditore di lumache, col suo tegame illuminato da un lanternino rossiccio e fumigante, è circondato da figure misere, alcune sedute alla turca, altre in piedi, che acquistano qualche soldo della sua mercanzia. Egli mette nei varii piattelli le lumache e le freselle, che si bagnano del sugo rosso. A quando a quando, dà al vento il suo grido ampio e caratteristico.
La notturna, losca vita di miseria e di vizio comincia a svolgersi nel tenebrore della sera che discende.
(Batte con le mani la pasta sulla lastra di marmo, dando la voce):
E vide soreta che te dice! ...
Soreta dice: Magnatella!
E mmàgnete 'a pizza c''o fungetiello!
(Esce dalla pizzeria, gridando): Una 'e otto, e doie 'e quatto c''a pummarola!...
Jammo, votta 'e mmane! (Mette la focaccia sulla pala che il giovane ha messa sul pancone) E falla còcere bona, ca 'o signore è rusecatore!...
(Nel rientrare griderà): Pronto c''a pala!
Cheste songo 'e sotto 'o Vesuvio!....
Nc'è scurruta 'a lava 'e ll'uoglio!...
(dopo seguita):
V'aggio fatto 'e pastiere!
Cheste so' mmeglio 'e chelle 'aiere!
Se l'ha magnate pure 'o cavaliere!....
(Ha rialzata la veste da un lato, porta gli zoccoletti di stoffa rossa fiorata, di giallo, nella mano un ombrello da uomo per la pioggia. Si
toglie la scarpina e la scaraventa al ciabuttino). L' 'e' cusuta c''a sputazza?... Tiene mente!... Nun 'o bide ca s'è scusuta?
Chià!... N'ato ppoco mme sciaccàveve!... Vuie cunzumate 'e ffierro!...
(Saltella su d'una gamba, per non mettere il piede scalzo a terra; si accosta al «maruzzaro» e dice al ciabattino): Jammo!... Fa ampressa, si no mme sporco 'e ccazette! (Cava dalla saccoccia del grembiale del pane e lo dà al «maruzzaro»): Fallo spugnà bbuono. (Appoggia il piede su d'uno scannetto).
Rusè... io ve facesse spugnà pure ll'ossa!
Neh! E pecchè?
Pecchè site malamente... cu st'uocchie 'e malandrine!
(In tono canzonatorio). Overo?!... U . Tiene mente, tie'!.. E io mo nun 'o ssapevo !.
'On Pascà!... Avite ditto proprio buono!... Rusinella overo ca tene 'e ccose belle!... 'A penna!...
(Al pizzaiuolo). Ched'è?... Vuie pure, mo?! Nun 'o bedite ca ve site fatto viecchio?
Comme se dice? Gallina vecchia fa buon brodo!...
Sì, ma 'a gallina vecchia è tosta a digerì!
(Ride unito a gli altri). Bona chesta ! ... V'ha cuóvete 'int''a scella!.. Teniteve 'a posta!
Mia signò, venitevenne, ca io v'aggio servita...
(S'accosta, saltellando su d'una gamba). Miettammillo! (Appoggia il piede sulla coscia del ciabattino, e alza la veste in modo da mostrare il polpaccio della gamba). Jammo!... Fa ampresso!
(Palpeggia la gamba di Rusella). Oh anema d''e piede 'e puorco!... Tenite tutto stu bene 'e Dio!...
È robba fatta in casa...
'E sfugliatelle 'e Caflisce!
(Dà la voce): 'O maruzzaro d''a festa!... Siente 'addore, siè!... (Con un cencio pulisce i piatelli. Il piccolo gruppo di avventori si va diradando a poco a poco).
(Al ciabattino). Io te saluto!
E ched'è?... 'E sorde..
(Lo canzona). T''e ddonco dimane... Si Di' vo'!... 'E' capito?... Si Di' vo'!
E chisto è n'ato guadagno! M'aggio fatto 'a croce!...
Lieve mano!
(Si alza). Si' Rusè, tèccheve 'o pane... (Dà il pane inzuppato a Rusella).
E tècchete 'o sordo.
Oh, che bella cosa!
Cunfiette ricce e palle 'e Silimone
magnàveno cheste!
E siente 'addore siè!
(Poi dice al ciabattino):
Si' ma', na mano.
Eccome cca. Ve ne iate?
E che ce sto' a fa'?.. Faccio 'o giro... (Al pizzaiuolo) Bona sera!
Pure a buie! (Entra nella bottega, gridando): Guagliò, 'o lume!
Oh, che bella cosa!
Quanto cchiù notte se fa,
cchiù 'e ccorne mme cacciano cheste!
E siente 'addore sie'!
Maruzze a fronna 'e rafaniello!
C'è asciuto 'a dinto nu castiello
cu tre figliole ngannatore,
'o re, 'a rigina e 'o mperatore!
E siente 'addore sie'! (Esce).
(Al ciabattino, che con i denti stira la sucla). Tira! Tira!
Gue', don Gennarino bello!... Mo mo se n'è ghiuta Rusella...
(Marcato). Ah!... E pe do' è ghiuta?
Si nun sbaglio, a' parte d''o Vasto. S'ha fatto pure mettere nu punto a 'o scarpino...
Be'!... E allora stateve buono, masto Pascà. Mo l'arrivo.
Ve saluto... (Stirando la suola con i denti). I' che vita!... (Batte il martello sulla suola). Mo' vedimmo si t'arrienne!... (Seguita a battere il martello).
(S'incontra con Gennarino). Eh!.. Comme currite!.. Iate 'e pressa?
(Accarezzandola). I' comme staie bellella cu sta veste!... Mme pare 'a Madonna 'o Carmene, mme pare!... Parola mia, ca.....
Don Gennarì!... Embe'?.. A chello che beco, nun rispettate cchiù a Tore!...
E pecchè, si è lecito?
Tore nun v'è amico?
A me? E chi 'o conosce?
Ah!... Forze ce avite avuto che dicere?
Io? No!...
Ireve tanto amice... e mo?... Va buò: aggio capito...
C'avite capito?
Aggio capito... Ve site offeso, pecchè Tore, aiere, dette nu schiaffo a Rusella...
(Con disprezzo). Tore è nu carogna! Sape fa 'o spallettone surtanto cu 'e ffemmene.... Ma m'avite 'a credere: chillo pàccaro nce 'o faccio pavà caro!.. Isso me sape.
'On Gennarì, pe norma vosta, Tore nun se mette paura 'e nisciuno, e se sape fa' ragione 'e tutte manere...
'On Gennarì!... Me fa meraviglia 'e vuie, ca ve mettite cu cierta gente...
Ne', pezzentò! Che buò venì a dicere?... Cca addurammmo 'e rose e giesummine!
(Annusa per l'aria) I' c'addore!.. I' che prufumaria!... Oi ne'!... Vattenne!..
Avite fatto buono ca m'avite avisata... pecchè se dice: «Ommo avvisato...»
Miezo stravesato!
(Entra in fretta). Neh, 'on Gennarì, avisseve visto a figliemo, Tore? (Vede Nannina e fa un atto di disprezzo).
No.
Maè, si 'o veco, v''o manno subeto...
Grazie tante: nun v'incomodate... Anze faciarrisseve meglio si 'o lassasseve. 'O Pate Eterno avarrìe 'a fa' perdere 'a semmenta d''e femmene comme a buie!...
E pecchè? Che me l'aggio appezzato io vicino 'a vunnella, a 'o figlio vuosto?... Vedite buono: è isso ca me vene sempe appriesso... Cu me nisciuno ce perde niente...
'O ssaccio, 'o ssaccio!... Vuie ll'avite fatto 'a fattura!...
E che sapite ca faccio 'a fattucchiara?
Peggio! Peggio!...
(Si stropiccia le mani). 'Onna Cunce',... abbarate bene comme parlate!... Ca, si me scappa 'a pacienza, io po' ve perdo 'o ppoco 'e rispetto.
Manco rispetto p''a mamma d''o nnammurato tuio tiene?!
(A Gennarino) Fernimmela!... (A Nannina). E tu, siente a me, lassa 'a figliemo... ca figliemo s'ha da fa' 'e fatte suoie e s'ha da spusà a chi dico io... (A Gennarino). Ve saluto!
Ve saluto! (Donna Cuncetta esce).
(Accende il lume). Si' ma', mo v'appiccio pure 'o lume: accussì ce vedite meglio.
Nun ce veco cchiù; mo me ne vaco pur io. (Smette di battere la suola).
Io mo vurrìa sapè tu che ce truove 'e bello cu Tore... Fa buono isso ca te vatte e se magna 'e ccarne toie.
E che si' meglio 'e Tore, tu?... Tu nun t''e' mpignate 'e rrusette 'e Rusella?.... Ll''e' rummasa senza manco n'aniello pe s''o mettere a 'o dito!...
È overo ca m'aggio mpignato 'e rrusette; ma ammacaro io 'e denare mm''e bevo... Ma Tore 'e lleva a tte, p''e ddà...
A chi?
E va nce 'o spie.
E tu nun 'o ssaie?...
Io nun faccio 'o sbirro 'e pulezia...
E allora nun è overo, nun te credo... Si' nu busciardo...
(Con risentimento). Io?!...
Tu, si!
Ah! Nun ce cride? E fa comme te pare e piace... (Saluta il ciabattino). Masto Pascà, ve saluto!...
(In fretta). Stateve buono, 'on Gennarì...
(A Gennarino). Sentite...
Oi ne', io nun tengo tiempo 'a perdere... Mo aggio che fa'...
Embe'... si mme dicite Tore cu chi spenne 'e sorde... io ve dico quacche cosa ca ve riguarda.
A chi? A me?
Eh!.. A buie.
Parla!...
No. Primma vuie...
Tore sta annemmecato cu na cumpagna d''a toia!
Ah! Aggio capito!... 'O nomme 'e sta... mia signora... 'o sapite?
No, 'a verità.
Eppure... vedite... ve riguarda...
Rusella?!...
'O dicite vuie... Pe me, nun v'aggio ditto niente...
Rusella!... Rusella!.. Ah, scellarata!...
Io nun ce aggio creduto... Ma.. sapite... (Vede venire Rusella) Ah! 'A vedite lloco 'amica vosta.
Zitto!
(A Gennarino). Io t'aggia parlà...
Arriva a tiempo.
Pecchè?..
Saie che m'ha ditto Nannina, poco fa?.. M'ha ditto ca io nun t'abbasto... Ca tu aie bisogno d''o supplente...
Io?
Nannì!... Dincello tu...
(A Rusella) E pecchè? T''o buò annià?
(Stringe Rusella per il braccio, e con rabbia). Te scanno!... Pe quanto è vero Dio, te scanno!...
No! No!... T''o ghiuro nnanz'a Dio!... (a Nannina). E tu mm''e' visto, tu?
Io, no... Ma 'o ssanno tutte quante...
Busciarda!... Busciarda!...
Po essere... Ma Tore...
Ah!... È stato Tore che t''a ditto?...
E nègalo, sanghe d''a...! Mo capisco pecchè Tore ogne bota ca mme vedeva faceva 'o bello!
(A Rusella) E mme facive l'amica, tu?!
Gennarì, fallo p''a Madonna!.. Fallo pe mammeta, Gennarì!... Io so' nnucente!
Vattenne! Va 'e cconta a n'ato, sti chiacchiere!... Io saccio chello c'aggia fa'... Si nun fosse overo, Tore nun t'avarria dato 'o pàccaro!....
Sì, è overo... Isso me dette nu schiaffo!... Ma fuie io 'a primma ca l'offendette... E cca sta Nannina, ca 'o po di' (A Nannina). È overo?. .
Eh, sì,... è overo... Ma te vuo' annià ca l'atriere stiste ncopp''o Campo, nzieme cu Tore?
Io?... Siente... Tu faie nu peccato murtale, Nannì! Nu peccato murtale!... (A Gennarino) Io so' nnucente! Famme chello che buò!
Ferniscela, ca te canosco.... Tu si' chiara comme a ll'acqua d''e maccarune!
(A Nannina) Pecchè rire? Ch''e' visto a Pulecenella!... Vi' che nciucessa!... (Si copre la faccia con le mani). Ah! Madonna mia!... 'Assamme sta' zitta!... Si parlo...
Ched'è, si parlo?.... Che buò venì a dicere? (Si stropiccia le mani).
(A Rusella) Iesce!... Vattenne a' casa... e abbara a te!...
Me ne vaco, sì; me ne vaco.. (A Nannina). Cu ttico po' facimmo 'e cunte...
Quanno vuò tu!... Nun mme faie mettere appaura cu sti minacce .. 'o ssa'!...
(Col garzone) 'E' capito 'e vuttà 'e mmane?
(Con sulla testa il vassoio di latta nel quale son le focacce) Patrò, lassateme accurdà 'o strumento! (Cava dalla saccoccia l'ocarina).
'E' capito 'e venì subeto?
Arrivo cca, ncopp' a' Ferrovia, e torno subeto..... (Intuona una canzone popolare. Esce. Il pizzaiuolo rientra nella bottega).
Bongiorno, Gennarì. (Guarda attorno come chi cerchi qualcuno).
A chi iate truvanno, Matalè? A Tore?
L'avisseve visto?
No.
Mia signò! Che nce avite che ce spartere cu Tore?
E buie?
Se vede ca nun site 'e stu quartiere, pe nun me canoscere.
Vuie fusseve Nannina 'a Capuana?
A servirve!... E pecchè facite sta faccia?
Ma vue nun sapite chi songo io?
E chi si'?... 'A rigina?
Chi songo io, nun l'aggia dicere a buie!... Ma una cosa ve dico: lassate 'o sta' a Tore, ca Tore nun fa pe vuie.
Overo?... Chillo mo mme sposa pure...
Se sposa a vuie?!... Iate!... Tore nun è giovane 'e chesto.
E che buò venì a dicere?
Voglio venì a dicere ca Tore nun se sposa a te... ca si' na mala femmena!...
Ah!... (Si avventa; ma Gennarino la trattiene.)
Ca tu m'accide, Tore è 'o mio!
Ma te ne miette scuorno, cu sta faccia 'e bizzoca fauza?...
Tore è 'o mio! M''ha giurato!
'O tuio?!... Ah!... Pe chella Vergene Mmaculata!... (Fa per avventarsi; ma Tore viene a tempo, e minaccioso la afferra per la gola).
Nun t'azzardà 'e lle torcere nu capillo, ca t'accido!... Te scamazzo!
(L'abbraccia e l'accarezza) Ah!... Tore mio! Grazie!...
(Quasi pentito di averla difesa). E tu, vattenne!... Nun mettere cchiù pede cca mmiezo; si no, so' guaie pe te.
Ah! Tore!... 'E' fatto comme a Ponzio Pilato... Primma cundannaie a Giesu Cristo e po' se ne lavaie 'e mmane...
Si t'aggio difesa, è stato surtanto pe frateto.
(Con dolore) E... sulamente pe chesto?...
Ma tu te ne vaie, o no? (Fa atto di mettere la mano in saccoccia).
(Trattenendole il braccio) Che vuò fa'?!....
(Minacciosa a Matal.). Mo 'a putarrisse fenì...
Me ne vaco... sì, mme ne vaco... Ma ricòrdete.... (Prorompe in singulti)
To'!... Quanno avite fatto, v'avesse 'a dicere na parola...
A me? A 'o cumanno vuosto!.... (Parlano sotto voce).
(Che ha visto tutta la scena). Ah! Ah!... Mo se mbroglia 'o tiempo!... Abbìa, abbì! (Prende la sporta, sotto il braccio e va via).
Guagliù, tengo 'o panzarotto!... Currite! È cauro cauro 'o crucchè!... Vì' cumm'è liggiero 'o panzarotto! (dà a voce):
Annascuso d''o patrone,
Faccio 'e rrote d''a carrozza!
'O patrone m'ammenaccia!
'A patrona me ne caccia!
Pecchè troppo belle 'e ffaccio
Sti zeppole c''a vurraccia!
E allora va bene: te credo... Tu nun sì' ommo 'e di' buscie... Chesta è 'a mano, e facimmo comme si nun fosse stato niente..... (Si stringono la mano).
'E ffemmene nun s'hanno 'a credere maie. Cu 'e nciucie lloro, so' capace 'e ce mettere 'o curtiello mmano e ce mannà 'ngalera!...
Ve lasso libero!... (Saluta, portando due dita al cappello, ed esce).
'Assamme sentere... Che vo' chella femmena 'a te?... É 'a nnammurata toia?...
(Ride). Ma no!...
Io te saccio... Cu essa faie 'o sentimento, mentre po'.... cu mmico.... faie chello ca vuò tu.... e quanno vuò tu!.... (risoluta) Sa che c'è di nuovo?... Ognuno se fa 'e fatte suoie, e stasera nun ce venì a' casa mia, ca... truove 'o pizzo occupato.
(Con minaccia). Nun 'o di' manco pe pazzia, ca te caccio l'anema 'a pietto!...
To'!...
Pecchè si' turnata?
(Con sorriso canzonatorio) Eh!... Bello mio, l'ostreca nun se scòzzeca tanto facilmente 'a vicino 'o scoglio...
Cca mo vene mammeta... Te vo' parlà.
E allora io mme ne vaco: Ve levo 'o fastidio... (Scherzando) Faciteme vedè cose belle!... Quanno 'e pruvammo sti cunfiette?... Sarranno iute nu poco 'acito!... Ah!.... ah!.... (Esce)
Si' cuntenta 'e mme fa' fa' sti figure?...
Ma nun 'o bide comme me so' arrudutta?... Ma core 'npietto ne tiene? 'O tenive surtanto quanno m''e' perduta!
Acqua passata...
No, Tore, no!... È na nfamità!...
Matalè!... Fallo pe santa Matalena benedetta!... Nun me ncuità cchiù!...
E accussì t''e' pututo scurda tutte 'e prumesse ca me facive?... 'e tutte 'e giuramente?...
Statte zitto!...
No, niente! Voglio parlà!... Tu mm''e' fatto perdere 'o scuorno!.... Tu m''e' distrutta!... Tu....
Zitto! Statte zitto!...
Che me ne mporta!... 'O sanno?... E quanno l'hanno saputo?.... Se diciarrà ca io so' na disgraziata e tu nu nfame.. Si, si... un nfame... che t''e' arrubbato chello ca io tenevo 'e cchiù santo!
Matalè... zitto!... Stammo mmiez''a via. Tu pienze a chello che faie?... Tu m'arruine!...
Io mme so' menata a 'e piede 'e mammeta, e ll'aggio cuntato tutte cosa... Essa m'ha perdunato!...
Ma io nun accunzentarragge maie... Io nun 'a pozzo lassà a Nannina.
Nun 'o di', To'! Nun 'o di', ca me faie ascì pazza!... Ah!.... Chella femmena t'ha affatturato. Te si' perzo!... Te si' perzo!...
Tu può di' chello che buò tu... Ma io...
Nun te pozzo spusà... È overo?... Vuò dicere chesto?
(S'ode il lento suono d'una campana). Voce 'e Dio!... 'A siente sta campana? Va, vattene 'int''a chiesa, e cerca perdono a Dio d''e peccate tuoie!...
Aie ragione!... Ma chi m'ha fatto peccà?... Tu!... Tu, nfame! Tu!...
(Le ottura la bocca con la mano). Ma che me vuò fa' passà nu guaio?!...
(Indicando il suo cuore). Io, cca dinto, ce tengo 'e cinche chiuove 'e Giesù Cristo...
E fatte capace na vota e bona!
Ah!... Si mme putesse iettà a 'e piede d''a Madonna, lle cuntarria tutte 'e ppene meie... (Risoluta). Ma 'a fernesco io!... T'aggia fa' chiagnere a lacreme 'e sanghe!... Addio! (Fa per andar via).
Addò vaie?...
E a te che te ne mporta?...
(La prende per la mano). Matalè, tornatenne a' casa...
E tu 'int''e braccia 'e chella mala femmena. Va, va!
(Con rimprovero). Matalè!...
No, no; tu si' nu buono giovene, tu si' 'e buon core... Nun me può lassà accussì... Io songo 'a toia, tutta d''a toia... Tutta!...
Va, va! Mm''e' seccato!
(Si covre il volto). Ah! Madonna mia!... Nun 'o ricanosco cchiù!... Tu mme l''e' cagnato!
(A sua madre, con ira). Che site venuta a fa'?...
So' venuta pe te levà 'a dint'a sta lota!
Pe carità, cunzigliatelo vuie, oi ma', ca accussì ve pozzo chiammà...
(A Tore) Iammo.... Viene a' casa, ca Totonno, 'o frate 'e Matalena, è venuto addo me...
Ah! Madonna mia!...
Totonno sape tutto, e io ll'aggio giurato ncopp'a chell'anema benedetta 'e maritemo ca tu te spusave a Matalena.
Ah!... Mamma mia bella!... Io nun so' degna 'e sta' vicino a vuie!...
No, figlia mia!... Tu si' na povera disgraziata!... (Si accosta a Maddalena e la abbraccia. Poi, a Tore). Te faccio dunazione 'e tutta 'a rrobba mia. Totonno dà 'a dote a Matalena... Quattuciento ducate.
Nun voglio niente 'a nisciuno!... Nun me scucciate cchiù!... Iatevenne!
(Con ira). Te smaledico 'o llatte che t'aggio dato!...
(Otturandole la bocca con la mano). No! No!... 'E ghiastemme d''e mamme còglieno! Iammo, iammuncenne! (Escono parlando. Tore entra nella pizzeria).
(Viene, fumando un «napoletano», con aria spavalda. Si avvicina alla pizzeria, chiamando): Patrò!...
Pronto!... (Dopo poco, esce) 'O cumanno!
Sta lloco Rusella?...
No. Ce sta l'amico vuosto: Tore. Che brutta cera ca tene!...
Tempesta!
E dilluvio!...
'E' fatto pace cu Tore? 'E' visto si avevo ragione io?
Ce simmo dichiarate, e ll'aggio avuto 'a credere... E po' Tore m'ha cercato scusa d''o paccaro c'aviste.
Vattenne!... Tore, primma 'e cercà scusa a quaccheduno, se facesse fa' a tanto 'o piezzo... Chillo è carne perduta!...
(Con spavalderia) Ma io...
Va buò!... Meglio accussì...
Mo simmo cchiù amice 'e primma..
Mme date 'o permesso?..
Patrò, io ve ringrazio...
'E che? (Entra nella bottega).
Nannina s'è misa n'ata vota c''o canteniere 'e Virgene... Parlavano a core a core!...
Overo?...
Chella, Nannina, 'int''arraggia, è capace 'e chesto e ato.
Tore nun è ommo 'e se tenere st'affronto.
(Gli fa cenno di tacere) Zi', zi'! 'O vi' cca Tore.
Mamma, ma'! E che brutta cera!
(Con dolore, accasciato). Nun me ne fido cchiù!... Nun me ne fido cchiù!...
Ch'è stato?... Che te siente?...
Niente!... Niente!...
Niente è troppo poco...
Se capisce!... Quanno s'appurano cierti brutti fatte, uno po' c'ha da di'?.. Niente! È overo, To'?
'E nnutizie brutte pure passano.. 'O guaio è chello ca po succedere!
Che v'è succiesso?
Nun l'aggia di' a te!...
(A Rusella) Ma io t'aggio ditto tanta vote... (Atto di minaccia).
È cosa 'e niente.. Lassa 'a i'...
Io mme faccio 'e fatte mieie... Si aggio ditto na parola, è stato a fine 'e bene...
E io te ne ringrazio...
Ma, santo Dio!, vuie ati ffemmene site tutte 'e stesse!... Una cchiù nciucessa 'e n'ata!
Mo dice buono! (Afferrando il braccio di Gennarino). Ma io me n'aggia vevere 'o sanghe!
Ma mo che buò fa'?...
(A Rusella). Tu nun tiene che fa', stammatina?
Ll'aie cu mmico?
Eh, cu ttico!
Ma na vota ca staie speruta 'e parlà, jammo, chiacchiarea. Di' tutto chello ca saie; ma nun dicere buscie.
Iammo!... Fa poche chiacchiere!
Mo... chiano chiano... 'A se' Carmela m'ha ditto ca Nannina, pe te fa' dispietto, s'è misa n'ata vota cu don Gaetanino 'o canteniere 'e Virgene.
E bravo!... Ma io nun so' muorto... 'E mmane 'e tengo ancora!
Siente a me... Penza buono a chello che faie... 'A libertà è cara e amara!
Tu qua' libertà me vaie cuntanno!
(Gli stringe la mano). E bravo!... Si' stato sempe n'ommo 'e core!...
(Vede venire la madre di Tore) To'! Mammeta!...
Mammema?!...
Iammo a' casa...
Aggio che fa'!...
To'! Nun me risponnere accussì... Ricordate ca te so' mamma... E t'aggio vuluto sempe bene!...
Auffà!...
Io pure nce 'aggio ditto ca se ne fosse turnato a' casa soia, e 'a fernesse 'na vota e pe sempe cu chella femmena.
(La guarda con disprezzo, e nasconde la faccia tra le mani). 'O bide a cuntatto 'e chi mm''e' misa?... To'... fallo pe stu lutto che porto!... Si vuo' bene a mammeta, vienetenne a' casa... Viene, me'..., ca ce sta...
Chi?
Nun 'o ssaie?
No.
Jammo! Viene! Viene arrepare a 'o male ch''e' fatto.
È overo! Aggio fatto na mala azione... So' n'ommo perduto!... Me mmèreto tutte 'e maledizione!... Ma', lassateme sta'... Chella femmena mm'ha fatto perdere 'e ccervella!... (Mentre donna Cuncetta parla con Tore, Gennarino e Rusella parlano agitati, sotto voce).
Nannina te manna 'n galera. To'!... Jammo! Fallo p''a bonanema 'e pateto, figlio mio! Vienetenne a' casa... (Lo trascina per un braccio).
Niente!... Mm'aggia vendicà apprimma! Ll'aggia sputà 'n faccia tutto 'o beleno ca m'ha dato!...
Ma che buò fa'?...
E po' 'o bedite!
Viene, fallo pe carità! Nun me fa dannà l'anema!...
Ma'!... Iatevenne. Io mo vengo...
(Accarezzandolo e piangendo). Viene a' casa. 'O bide ca sto' suffrenno cchiù d''Addulurata a 'e piede 'a Croce!... M''e' 'a fa' chiagnere accussì, tu?! Tu ca si' tutta 'a vita mia!
(Si asciuga una lagrima, abbraccia e bacia la madre). Mamma mia bella, perdoneme!... So' nu scellerato!...
Giesù Cristo mio, te ne ringrazio!
(A Tore). Dalle audienza, ch'''a mamma è santa comme 'a Madonna!...
(Sottovoce). E nuie simme 'o diavolo tentatore!
Peggio!...
Statte buono! (Gli dà la mano).
A rivederci...
Maie cchiù cca!... (a Tore) Iammuncenne! (Escono, parlando).
Nun 'e' fatto a tiempo.
'E che?
Mo mo, è venuta 'a mamma 'e Tore, e tante ce n'ha ditto, ca l'ha fatto capace 'e se spusà a Matalena.
Neh?!... E c'aggia fa'?... A me che me ne 'mporta?...
Eppure...
Eppure, che?.. Nun me ne 'mporta niente!..
Nun ce credo...
Tu 'o dice apposta...
(Ride). Ah! Ah! Ah!
Tu ride?... Ma quanno poco fa 'e' saputo ca Tore se spusava a Matalena, 'e' fatto 'a faccia ianca...
Che carugnone!...
Te siente currivo?...
Embè, si!... È overo... 'O voglio ancora be- e me sento...
Pògnere d' 'a gelusia.
Però, Nannì, statte attienta... Tore ha ditto ca s'ha da vendicà... E chillo è n'ommo capace 'e tutto...
Statte attienta!... Chillo te ntacca 'a mpigna! (Ne fa l'atto).
A me?
No, a me...
Tu nun 'o ccride?...
E cu qua' deritto?
'A verità, io iesse ncoppa 'a Sezione, a parlà c''o cummissario.
Io?... Io a fa' 'a spia?!... No!... Maie e po' maie!... Tu 'o ssaie meglio 'e me ca 'e ffemmene comme a nuie se fanno accidere ciente vote, ca fa' na nfamità 'e chesta...
Allora te fa piacere? (Fa atto di chi vuole tagliare la guancia).
'O sfregio è segno d'ammore!
(A Nannina). E 'a bellezza toia?...
Vattenne, ca Tore nun fa niente... Mo penza a ati ccose.
Te sbaglie!... Tore s''a leva 'a preta 'a dint''a scarpa!
Ma pecchè, io nun tengo chi me difenne?... Vuie a don Gaitanino 'o canuscite, e sapite ca a ll'occasione se sape fa' valè... Basta, Rusè: statte bona... Si 'o vide, dincello ca me lassasse 'n santa pace, ca si no lle po venì male.
Ma tu sta sempe all'erta...
Vattenne, ca Tore nun fa niente...
Eh!... Statte cu sta capa...
E va buò... Po' vedimmo... Ve saluto.
Nannì, fatte vedè... Mo avimmo fatto pace.
(La bacia). Te'!... È fernuto tutte cosa... Gennarì, te saluto...
Addio!...
(Con disperazione, ansante per lunga corsa). Pe carità!... L'avite visto?.. Avite visto a Tore?...
Ched'è?.... Ch'è succiesso?...
Ah! Mamma d''o Carmene!...
Ma ch'è stato? Parlate!...
Nun me ne fido cchiù!... Me se chièieno 'e ggamme sotto... Mentre stevemo ienno a' casa 'e donna Cuncetta, nzieme cu Tore, e parlavemo tanto bello, avimmo scuntrato a don Gaitanino, 'o canteniere d''e Virgene...
(Premurosa) Be'?...
Appriesso...
E...?
Tore, appena ll'ha visto, ll'ha sputato 'n faccia..... È succiessa l'ira 'e Dio!... Strille.... mazzate... sanghe... Quanno l'hanno spartute, don Gaitanino, miezo muorto, l'hanno purtato a 'e Pellerine...
Dio! Dio!... (Si mette le mani nei capelli, e fa per andar via).
(La ferma). Addò vuò i', tu?... CHillo, Tore, si te vede, te fa 'a festa!
Tutto pe causa mia!...
E fattenne n'avantamento!...
Ll'e' vuluto tu!.. Nun te sapive sta' a' casa toia?
E Tore è ferito?...
No... Va fuienno...
(Che vede Maddalena). Matalè!... Ll''e' tuvato?
Ll'aggio perzo 'e vista...
Mamma d''e Ggrazie, aiutelo tu!...
Ma pe do' è fuiuto?...
E chi 'o ssape?... Hanno ditto 'a chesta parte...
Ah!... 'O vi' lloco!...
(Si avvicinano a Maddalena). È isso!... E isso!
Mamma d''o Carmene!... 'O secùteno ddoie guardie...
(A Nannina). Fuie! Fuitenne tu!
No!... Io 'o voglio vedè... Ll'aggia cercà perdono. È stata tutta pe colpa mia!...
Tu si' pazza?!... Vattenne!... Tore, int''arraggia, te po accidere!...
Meglio!... Lle vaso 'e mmane, si m''o fa!...
(Lo abbraccia). Ch''e' fatto?
Figlio mio!... (Tutti lo circondano).
(Col rasoio in mano). Lassateme, ca me secutano 'e gguardie!...
(Si avvicina a Tore e con passione). To'!... Perdòneme!...
(L'afferra per il petto). Ah Scellarata!... (La ferisce col rasoio sulla guancia).
Ah! Che m''e' fatto?!...
(Con spavento). Oh!...
(Confusione. Tore fugge. Tutti circondano Nannina).
Madonna mia, aiutalo tu!...
Ah! S'è perduto, e pe sempe!...
(A Nannina). Si' cuntenta, mo?
(Porta la mano insanguinata alla bocca e bacia il sangue della ferita). Io 'o perdono!... 'E ffacce belle se tagliano!... Mo Tore è tutto 'o mio!...
(Con fierezza). Madonna mia! Fammillo vedè muorto, ma nun 'n braccia a sta mala femmena!...
(Due guardie appariscono, irrompendo in mezzo alla folla, che cerca di trattenerle).
A
Matilde Serao
L'unico e solo premio, per la commedia dialettale, è stato aggiudicato a Menotti Bianchi, autore di Rosa Esposito, col motto: « Chi la dura la vince. »
Rosa Esposito è lavoro di effetto, in grazia del quale i tipi, benchè vivi e veri, son ritratti di scorcio. Più curato è il movimento scenico che non il carattere. Il sentimento è giusto, persino nella colpa. Il motivo drammatico è trovato con delicatezza, trattato con maestria. Svelto il dialogo, eccellente la forma.
Napoli, 25 gennajo, 1902.
LA COMMISSIONE: E. Scarfoglio — M. Serao — F. Verdinois — A. Torelli — G.M. Scalinger —Riccardo Forster — F. Russo — F. G. Starace — G. Bellezza.
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Rosa Esposito.
Vito.
Taniello.
Margarita.
Matalena.
Nannina.
Filumena.
Venditore di lupini.
Popolani.
Il « basso » di Rosa Esposito, d'una pretensiosa e banale ricercatezza. Nel fondo, una porta a vetri, che dà sulla via Anticaglia, antica e lurida via che nemmeno il sole meridiano riesce ad illuminare. A sinistra, un maestoso letto di ottone lucente, coperto da una ricchissima coltre di seta damascata; sulla parete, a capo del letto, alcune imagini di santi, una piletta di porcellana, un ramoscello d'ulivo, ed una candela istoriata, con un rosario di madreperla. Dall'alto del soffitto pende un ricco candelabro, con lume a petrolio e candele. A destra, un panciuto cassettone di mogano antico, sul quale spicca una statuetta della Madonna Addolorata, chiusa in un'alta campana di vetro. Innanzi alla sacra imagine arde una lampada rossastra.
E un meriggio autunnale, un po' oscuro, in quella cameretta popolare, ove è diffuso un senso di tristezza e di sconforto.
In un angolo della camera bolle una pentola con legumi, su d'una fornace di tufo.
Rosa è seduta dietro i vetri. È pallida. Si alza e va lentamente a rimestolare i legumi; poi ritorna a sedere e a guardare nella via.
E che sarrà? (Lungo silenzio).
(Dà la voce a distesa, quindi passa davanti il basso di Rosa. Sul capo ha il catino col lanternino acceso):
Io songo 'o lupenaro 'e ogne ghiuorno!
Salatiè!...
'O lupenaro!... Nientemeno, l'avummaria!...
(Soffermandosi davanti il basso di Rosa): Maè, 'e lupine?...
(Fa segno di no. Il venditore scompare). E nun vene ancora! (Pausa). Ah, Madonna mia, a te mm'arraccumanno! (Prega).
(Entra, con un scialle sulle spalle, e con affanno dice a Rosa): Ah! Nun ne pozzo cchiù! So' curruta comm'a na pazza!
Ch'è stato?... Assettateve... Ch'è succieso, neh, Matalè?... Taniello?...
(Ansimante) Mo...
(Tastandola) State tutta nfosa... Ma ch'è, ch'è stato?
'O marito vuosto...
Vito?...
È asciuto d''e ccarcere!
Maritemo!... È... asciuto d''e carcere?!.. (Cade a sedere).
S'è ncuntrato cu 'a siè Carmela, 'a mugliera d''o ferracavalle...
Ah, Matalena, e che me dicite! Che me dicite!...
Isso stesso ha fermata 'a siè Carmela, sott'a ll'Arco d''e turniere... Dice: « Neh, siè Carmè, si vedite a muglierema, facitele assapè ca so' asciuto 'a Niseta » ...
Accussì... ha ditto?
E c''o sango a ll'uocchie, 'onna Ro'!
Ave ragione!... È giusto!... È troppo giusto!...
Io po', 'a verità, pe ve di' comme 'a penzo, nun mme mettesse tutta 'sta paura. Cierti bote — comme se dice? — sò cchiù è nnoce ca 'e vvoce.
Chi?... Vuie che dicite? Ma vuie a Vito nun 'o sapite, Matalena mia!
E nun ce penzate, ca po essere ca s'acconcia tutte cosa...
(Come a sè stessa). Ah, Taniello, Taniello, e che m''e' fatto fa'!
Ce vo' curaggio...
Ah, povera a me, povera a me!... E si vene Vito?!... E si trova a chill'ato?!...
E, pecchesto, nun ve perdite 'e curaggio.. Facite quacche cosa... penzate a nu sottarfuggio... Comme v'aggia di'?...
(Con sconforto). E che pozzo penzà?.... Venesse... So' priparata a tutto... Io ll'aggio vuluto, e ben a mi sta!
Uh, mamma mia! E pecchè ve perdite 'e curaggio? E a chella figlia ca tenite ce penzate, o nun ve mporta cchiù manco d'essa?
Povera Margaretella!
Figlia 'e Taniello, è ovè? Eh! E mo vedite che succede, quanno 'o marito vuosto 'o vvene a sapè!
(Con dolore) Povera Margaretella! (Piange).
che chiagnite a fa'?
Fosse na cosa ca se putesse annasconnere!... Margarita m'è figlia e ll'aggia tenè cca, vicino a me. Vito l'ha da sapè pe forza. E Vito, po' vedite Matalè... Vito m'accide!
Giesù! Arrassusia! A che ghiate penzanno!
E po' vedite! Po' 'o vedite!
E che vulite fa'? Penzate ca 'o tiempo passa...
E c'aggia fa'? Dicite vuie stessa... che pozzo fa'? Comme mme pozzo revulà? Io me veco perza... 'O curaggio m'abbandona!
(Come vinta da un'idea). Ah!... Aspettate!.. Aggio truvato...
Matalè, aiutateme!... Aiutateme vuie!...
'A piccerella addò sta?
Che bulite fa'?
Addò sta?
Cca bicino: addo Cristina, 'a cummarella...
Mannatela a piglià.
E pecchè? Dicite...
Uh, mamma mia! E bi' si se persuade!
'A vulite mannà a piglià?
(Corre alla porta e chiama ad alta voce, a distesa, una ragazzina di dodici anni, per istinto molto pettegola). Neh, Nannì!... Viene cca... Siente...
(Entra) Che v'aggia servì?
Viene cca, siente...
Siente chello ca te dice Matalena...
Siente... Tu saie 'a stalla d''o si' Taniello? Cca bicino, a San Paolo... Va llà, chiàmmete 'o si' Taniello 'e parte e dincello accussì: — Ha ditto 'onna Rosa ca cchiù tarde vene essa addo vuie, e nun ve muvite 'a cca.
Va bene... E pecchè?
Chiste nun so' affare ca t'apparteneno. Tu 'a mmasciata 'a vuò fa'?
(Indecisa). Io aggio che fa': aggia i' addo mammema...
(Va al «comò» e prende da un tiretto un fazzoletto di seta colorato). Siente, Nanninè, famme stu favore! Te', chisto è nu bello fazzuletto 'e sera. Tienatillo pe ricordo mio.
(Pigliandoselo). Mo vaco...
Aspetta! Siente... Quanno tuorne d''a stalla, va addo Crestina, 'a cummarella 'e 'onna Rosa. Là truove 'a piccerella, Margarita...
Che ll'aggia di'?
Niente... T''a piglie e 'a puorte cca.
Nanninè, tu 'e' capito buono?
Pozzo i'?
Va, va. C'aspiette? (Nannina va via, correndo).
Matalè, io nu' v'abbasto a ringrazià! Chello ca facite pe me, 'o Signore v''o renne ncopp'a chelli ccriature voste!
Sentite, 'onna Ro'. Cca Vito vene certo. E 'o mmeglio è ca nun se truvasse facce affronte cu Taniello.
Vuie che dicite?! Io, si ce penzo, tremmo tutta quanta!...
Be'!... Pe mo, quaccosa s'è fatta. Nannina ghiuta 'avvisà a Taniello. E mo io faccio n'ata funzione: vaco addo Filumena, 'a mamma 'e Taniello, e lle dico ca se tenesse 'o figlio a' casa, pecchè Vito è asciuto da 'e ccarcere, e po succedere n'aggrisso...
E Margarita? Pecchè l'avite mannata a chiammà?
'A piccerella v'è figlia e ha da sta' cu vuie. E po', Taniello nun è ommo c'abbada a 'e figlie. Nun saccio, ma mme pare ch'è meglio c''a piccerella v''a tenite cu vuie... (Guarda verso la porta) Giesù, s'è fatto notte tutto nzieme!... Io me ne vaco...
Mme vulite lassà?
Pe cumbinazione. ... tenisseve na capa d'aglio?
(Prendendo sul cassettone alcuni spicchi d'aglio e dandoli a Matalena): Tenite cca: quante ne vulite... Ve ne iate?... Mme lassate?
Ve lasso 'a bona nuttata. E nun ve mettite appaura, ca tutto s'acconcia. Bona notte.
Bona notte.....
(Rimane pensosa un momento. Poi, come se si ricordasse, corre alla porta e chiama) Matalè!.. Sentite!... Ah!... (retrocede. Vito le sta davanti, entra e chiude la porta). Vito!
(Con violenza). Si, io, grannissema scellarata nfame!
Perdòneme, Vito, perdòneme!...
Perdòneme?! A te, a te ca m''e' fatto addeventà l'urdemo ommo d''a terra?!
(Con dolore). Vito! Vito!
Tu nun m'aspettave, è ovè? È stata na brutta surpresa! Tu te credive ca nun sarria maie cchiù asciuto 'a Niseta, e ca nove anne nun sarriano passate maie? Mo sto cca, invece. Te tengo 'int''e mmane (come per acciuffarla) Addò sta Taniello?
Siente, Vito... Siente...
M'aggia vevere 'o sanghe vuosto, nfame, nfame assassine!...
Siente.. Lassame a stu nfame destino mio!... Nun perdere 'a libertà n'ata vota!... Lasso o i', a Taniello...
(Con ira): Ah, malafemmena!
Accideme, Vito! Ma nun mme di' sta parola! No, nun m'o mmereto!
(Guardando intorno e con ironia). E te lagne d''a vita che faie, cu tutto stu bene 'e Dio int''a casa? Teh! Cummò, lietto 'attone, robba nova. Tiene pure 'o pignato ncopp''o ffuoco... 'O si' Taniello ha da venì; ll'aspiette. Embè, mo ll'aspetto pur io (siede a cavalcione su d'una sedia).
'A nomme è Dio, Vito, siente, nun te ncuntrà cu chillo nfame!
Te miette paura ca 'o faccio quacche cosa? Nun avè appaura.
No, nun è pe chesto...
Te ce sì affeziunata? E giusto...
No, no, Vito! Chillo è nu nfame!... Tu nun saie chello c'aggio patuto cu isso!... È pe te ca io mme metto paura! Pe te, sulo pe te!...
Ricordete c'accedette a Tore pe te! Aggio sufferto nove anne!... Nove anne 'e priatorio!
Vito!
E mo pure a chist'ato!
E tu nun ce pienze a chello che faie?....
Nfame, assassine ca site state tutte quante! M''o mmeretavo io?... Di', m''o mmeretavo?
Nun fuie io, no!... Siente... Quanno tu iste carcerato, io a poco a poco m'avette 'a vennere tutta 'a robba d''a casa. Po' venette 'a miseria... e che miseria!... Iette addo mammeta... e mammeta me ne cacciaie... (movimento di Vito) Sì, mammeta!... Stette diuna duie iuorne, e pe duie iuorne 'e seguito na femmena 'e chelle ca se vanno accattanno l'onore 'e ll'ate runziaie 'a parta mia pe mme fa' fa' chello ca io nun vulevo... Na sera, mentre me retiravo, morta 'e famme, stracqua, disperata, ncuntraie a Taniello...
(Con scatto) E nun era meglio ciento vote ca te fusse posta a fa' 'a mala femmena? Ma tu a Taniello 'o vulive bene! E 'o vuò bene!
No! No!
Taniello, pe me fa' nu sfregio, t'ha vuluto tenè cu isso!... E io l'aspetto cca. Ha da venì!...
No! No! Fuie nu tradimento!... Pe forza!.. Io nun vuleva!
Va, va, busciarda! Io nun te credo!
Nun mme ne caccià, Vito! Fallo pe tutte 'e muorte tuoie! Sienteme, sienteme almeno!
Mammà, che buò? (guardandola con meraviglia) Ch'è stato?
(Rimane estatico) Uh! Dio! Dio! Dio!...
(Abbraccia la bambina) Figlia mia!
Taniello nun ce steva... So' ghiuta primma a' stalla e po' a' casa soia... Nun steva manco a' casa... E chisto chi è, neh, 'onna Ro? 'O marito vuosto?
(Seccata) Va. Va.
Bonanotte (nell'uscire, guarda con meraviglia Vito).
Mammà, tu chiagne?!... E pecchè?... Ch'è stato?...
Niente, figlia mia...
Chi t'ha fatto chiagnere?... Papà?... Chillo te fa' sempe chiagnere!
(Cupo) Figlia a Taniello?!.. E nun era meglio ca fosse muorto ngalera?!
(A Rosa) Ma pecchè chiagne?
Vito, tu aie ragione, sì, ciente vote e no' una! Ma io te giuro ncopp'a st'anema 'e Dio ca sulo a te aggio vuluto bene! E te ne voglio ancora, sempe, sempe! T''o giuro!... Crideme! E, si nun mme cride, accideme, ca te vaso 'e mmane!
(Con spavento, si gitta nelle braccia della madre) Mammà! Mamma mia!...
(Indicando la bambina) Chella... chella parla pe tutte!
Ah, si sapisse comme ll'aggio mparato a vulerte bene!
(Mordendosi il pugno) Ma quanno mme pozzo vennecà? Maie?
No, Vito! No! Tu a Taniello nun l''e' 'a tuccà! Che buò fa'? Vuò fa' n'ato riato!?
E mo 'o tuorne a difendere?! 'O difiende n'ata vota?!
No! Io nun 'o pozzo vedé, nun 'o pozzo suffrì!... Ma è pe te ca me metto paura! Pe te!
Mammà, tu che dice?! Nun vuò cchiù bene a papà? E che t'ha fatto? T'ha vattuta? Ah, chillo papà!
Taniello è n'assassino!
Chi? Papà?!... E pecchè?... E vuie chi site?
Vito! E st'anema 'e Dio che peccato ha fatto?
Mammà, e chi è stu Vito? Nun è chillo c'arraccumannammo ogne sera a' Madonna? (a Vito) Vuie site Vito? E pecchè chiagnite? (gli si avvicina con dolcezza, e con la mano gli terge una lagrima).
(Dolcemente commosso) Va... va addo mammà...
(Non si muove). Nun chiagnite! (Guarda sua madre) Site stata vuie?... Pecchè?... Nun m'avite ditto ca era tanto buono? E mo... pecchè?... (A Vito) E vuie pecchè facite chiagnere a mammà?... Che v'ha fatto 'e male? Me'... facite pace... dateme sta mano... (gli prende la mano) Mammà, dateme 'a mana vosta... (cerca di far avvicinare Vito a Rosa).
(Ha uno slancio; carezza Margherita, poi bacia Rosa e se la stringe tra le braccia) Te perdono! Mme voglio scurdà 'e tutto!
Vito! Iammuncenne 'a dinto a sta casa... Nce aggio patuto nove anne!... E Margarita?
Vene cu nuie, Ro'. Penza ca io mme so' scurdato 'e tutto. Ricòrdete ca io nun voglio fa' ridere 'a gente ncuoll'a me! Tu a chill'ommo 'e' 'a fa' comme si nun l'avisse maie canusciuto! Ca fosse muorto...
Porteme, porteme cu te!...
Iammuncenne... Pigliete 'a piccerella...
(Azione) Iammo.... Mo nchiudo, e lasso 'a chiave a Nannina... (Sulla soglia appare Filomena, poi Matalena).
(Con grande sorpresa) Vuie, donna Filumè?
(Ironica) Ched'è, ve disturbo? (a Matalena) E tu ca dicive ca nun era overo!...
E chi ne sapeva niente?...
(Risoluto) 'E che se tratta? Che bulite?
(Supplichevole) Vito!
Io songo 'a mamma 'e Taniello.
Tanto piacere!... Me dispiace sulo ca nun aggio visto 'o figlio vuosto.
Pe rèula vosta, figliemo nun è tanto doce 'e sale...
Sì? Tanto meglio. Po' se vede!
(Supplichevole) Vito!
Ma io so' mamma, e spero e nun le fa' passà ati guaie pe chesta bona cristiana.
Chi? 'O figlio vuosto? Ma io me n'avarrie 'a vevere 'o sanghe!
(Sottovoce) Uh, mamma mia!
È stata 'a mugliera vosta. Essa 'o ssapeva o nun o ssapeva ca aviveve 'a turnà da 'e ccarcere?
Sentite, 'onna Filumè: ragiunammo: 'o figlio vuosto ha fatto comme a chillo ca se pigliaie 'o cane c'aveva perzo 'o patrone. Primma l'accarezzaie e s''o purtaie 'a casa. Po' l'accumminciaie a vattere ogne ghiuorno.
E chesto mo che vo' dicere? L'aie cu Taniello?
Sì! Cu isso. Ca 'e me, ca ero na bona femmena, n'ha fatto peggio 'e na....
(Con scatto) Statte zitta!..
Ma chella 'o ssape, 'onna Filumena! Mo fa vedè!... Ched'è? Nun 'o ssapite ca Taniello mme pigliaie a trarimento? Ca mme mbriacaie? Ca io nun vuleva?.... Ve site scurdata 'e prumesse ca vuie mme facisteve?
Nun saccio niente... Nun è overo...
(A Matalena) Neh, Matalè?... Parla tu!..
'Onna Filumè, vuie avite tuorto... 'O ssanno tutte quante, 'o ssanno! Sentite... Facite na cosa bona... Vedite 'e truvà e Taniello, e si 'o truvate v''o purtate a' casa... Si 'o trovo, io lle dico ca state malata... Accussì chillo piglia e corre a' casa...
'Onna Filumè, chesta è 'a chiave... Tutta sta rrobba è d''o figlio vuosto...
Ve site fatto cuscienza!...
Iate! Si no, comm'è overa 'a iurnata ch'è ogge, accummencio 'a vuie!...
Iate, iate, 'onna Filumè....
Si 'o vedite, mannatemmillo...
(L'accompagna dolcemente verso la porta) E ghiate mo! (Quando sarà uscita): Puozze passà nu guaio! È bona sulamente a dà 'e renare c''o nteresse e se zuca 'o sanghe d''a povera gente!
Nfame! Assassine!...
Vi', iammuncenne!
E ve ne iate accussì? E nun ve pigliate ll'oro, quacche poco 'e rrobba?...
Niente! Ll'oro nce 'o torno a fa' io... Iammo!... (fa per partire).
Addò iammo, neh, mammà?...
A n'ata casa cchiù bella... Matalè, addio... Stateve bona...
Dateme nu vaso... (si baciano)
Pe vuie 'a casa mia è sempe aperta.... Iammo, Ro'!... Margarì, damme 'a mano. (prende per mano Margherita. Mentre stanno per uscire, si odono le campane delle capre, poi il fischio di Taniello).
(Soffermandosi) Taniello?!
Ch'è stato?
(Tremante) 'On Vì!... È Taniello!... (si fa alla porta).
(Tenendo in mano una lunga mazza, vede Maddalena e le dice): Vuie?!... E che facite cca? (vede Vito) Tu?!... Vito!
Embè... io... saccio 'o duvere mio... So' venuto pe ve ringrazià 'e tutto chello c'avite fatto pe muglierema... Pe ve di' ca so' asciuto vivo da 'e ccarcere!
(Confuso) Io.... (Rosa prende per mano Margarita e fa per andare) Addò iate?...
Sentite, Taniè: 'a mamma vosta ve vo'... Sta malata... Iate, iate, ca ve vo'!
Nun di' buscie!
(Minaccioso) E quanno 'a fernimmo?
Ma ched'è, mme vuò fa' mettere paura?
Mo no... Chisto nun è 'o mumento... Ma tu saie addò me può truvà... (a Rosa) Iammo!
(A Rosa) Tu 'a cca nun iesce! (rivolgendosi a Vito) Sta femmena m'appartene!
A chi? Meglio 'a morte, mille vote!
(Piagnucolosa) Mammà, mme metto paura!
Facitelo pe chell'anema nnucente
Margarita m'è figlia!... Lassa sta criatura!
(Si mette davanti a Margherita) È figlia a te nnanze a Dio! Nnanz''a legge, è figlia a me!
Scòstete! Sanghe d''a ... (alzando la mazza).
(Trattenuto da Rosa) Nun te movere!
Taniè! P'ammore 'e Dio! Vuie che vulite fa'?!
(A Rosa) Tu mo mme vuò lassà?!... Doppo ca t'aggio sfamata! Va, ca tu si' una 'e chella 'e Porta Capuana!...
(Viene trattenuto da Rosa e Matalena, che si vuole slanciare contro Taniello. In questo, avrà aperto il coltello che nasconde nella saccoccia) E tu si' nu carugnone!... Iesce!...
Vergine Santissima!
Iesce! (esce dal «basso». Vito, dopo di essersi svincolato dalle braccia di Rosa, impugnando il coltello, si precipita fuori).
(Fermando Rosa, le dice): Addò, addò vulite i'?...
È maritemo! Lassateme!
(Corre alla porta; ma s'incontra col marito, che, senza cappello, terrorizzato, stringe ancora il coltello nella mano; avvedendosi dell'arma, con ribrezzo la gitta a terra, poi con disgusto si pulisce la mano insanguinata) Ah, Vito! Ch''e' fatto?!..
(Quasi per scusarsi dell'operato, dice): Io nun vulevo!... Isso ll'ha vuluto!...
(Si precipita fuori, gridando): Papà mio!
Papà mio!... Me ll'hanno acciso!...
(Al quadro dell'Addolorata) Ah, Madonna Addulurata! Tu nun mm''e' vuluto perdunà!... (Al di fuori si odono le voci continue del popolino).
(Si precipita alla prota e la chiude; poi con spavento): Annascunneme!... 'A galera mme fa paura!...
(Il popolino, dietro la porta, bussa con chiasso. Un vetro va in frantumi. Si grida): Assassino! Assassino!
(Vito cade tra le braccia della moglie e prorompe in singulti).
Napoli, 6-7 Nov. 1888.
A
Giovanni Verga
Amalia.
Gaitano.
'Nnarella.
Furtunato.
Catarina.
'O Pezzecato.
Nannina. | giovanette della sartoria |
Milia. | |
Cuncettina. | |
Teresina. | |
Peppenella. | |
Giuvannina. |
Nel basso di donna Amalia, in un tiepido mattino di primavera, le giovani della sartoria si affaticano a finire un abito da consegnare.
Nel fondo della camera, si apre la porta d'ingresso, con invetriata e portierine, che dà nel larghetto di SS. Apostoli.
Sulla sinistra, un tavolo ingombro di scatole, stoffe e modelli di carta; poco discosto la pupa (il manichino) e una porta che mette nella camera da letto di donn'Amalia. Sulla destra, un armadio con luce di Venezia, un divano, due poltrone. Sul davanti, una macchina da cucire,
Nella camera è un po' di disordine e di confusione; ma il tutto è decente, pulito.
Le giovani, sedute in giro, si affrettano a finire un abito che devono consegnare. Parlano, ridono, cinguettano fra loro.
(Cuce e canta sottovoce):
Da lu cielo cadette na stella,
Mmiez'a l'acqua de Santa Lucia;
Io currette, nciampanno p''a via,
Chella stella pe ghire a piglià.
'O mare e ba!
'O mare e ba!
Sienteme, sienteme,
Sienteme cca!
(Interrompe il canto) Auff!... Nun me ne fido cchiù!.... M'abbrusciano ll'uocchie! (Va allo specchio e si ravvia i capelli).
Emì, viene a faticà, ca si vene 'onn'Amalia...
Ma che te cride che songo 'e fierro?...
Neh! E pecchè mme faie 'a cianciosa?...
Ma chi t''o fa fa'?...
I' nun songo avvezza a faticà comm'a nu cavallo!... Ll'uocchie m'abbrusciano, e nun ce veco cchiù.
Si ll'uocchie te fanno male, sciacquatille cu nu poco d'acqua.
(Che ha finito di guardarsi nello specchio).
E mo, se mmarita pure 'Nnarella!... E bravo! Zompa chi po, dicette 'o granavuòttolo!
Che d'è, te dispiace? 'O dice 'e na manera...
Io?
Quase comme si te dispiacesse.
Si' pazza!... Sulamente...
Sulamente?
Che cosa?... Di'! Di'!...
Niente... Dicevo ca tutte sti ffiglie 'e... tèneno 'a bona sciorta.
'Nnarella è na bona figliola, e po' sape l'arte meglio 'e te e meglio 'e me.
'O ssaccio. Ma si nun truvava a donn'Amalia...
overo; ma tu saie pure ca, si s'è fatta ricca, 'onn'Amalia, è stato pure pe l'abilità 'e 'Nnarella.
Ma...
Ma che ma e ma!... 'Nnarella è 'a penna 'e tutte 'e ffigliole, e tutte quante nuie nun lle putimmo purtà manco 'e scarpune!
(Con risentimento) Pe rèula toia, i' nun porto 'e scarpune a nisciuno. Io tengo na mamma e nu pate... mentre essa è figlia d''a Madonna!
E s'ha da rispettà, pecchè è na povera disgraziata ca sta sotto 'o manto d''a Madonna. Emì, vuò sapè na cosa? Tu me pare comme si n'avisse 'mmiria.
A me?! Manco p''a capa!... È pecchè essa vo' fa' troppo 'a saputa!...
E pecchè, che lle vuò dicere?...
Comme! Nnarella fa 'a saputa?! Siente a me, Emì: tu ne vuò di' a forza male.
E va buono, mo; vuttàmmela a fenì 'sta veste, ca sta pe venì 'onn'Amalia.
Nun credo. È asciuta cu 'Nnarella p'accattà l'oro.
E sposa sùbeto?
Ogge danno parola. Furtunato nun ce sta 'int''e panne!... Va, vene, zompa, abballa: pare che tene 'argiento vivo!...
(Che ha udito le parole di Teresina) Eccoce cca!... (Tutti si voltano).
Stèvemo parlanno male 'e vuie.
E i' ve ringrazio! (Rivolgendosi a Nannina) E 'Nnarella?... 'Onn'Amalia?
Songo asciute. So' ghiute a fa' cierti spese....
Ll'avevo capito.... Quanno nun ce sta 'a gatta, 'e sùrece abballano!
Furtunà, chesto nun 'o putite dicere...... Pecchè, nun ce avite truvate faticanno?
È giusto; ma 'a lengua nun steva a 'o pizzo suio.
(Insinuante) Nun dicevemo niente 'e male... e particularmente, po', 'e vuie e de chella preta 'e zucchero d''a spusella vosta.
(Guardando con significato Emilia e le altre ragazze) Già ch''o dicite vuie, nun ve credo!... Tenite na lengua ca 'o Signore v''a pozza benedicere!
Pe di' bene sulo d''o prossemo, sì...
(A Nannina, sottovoce): Che faccia tosta!...
(A Cuncetta) È ffenuta!.. Ancappa, ancà!... Cùsece 'e bettune... (Tutti si alzano. Chi mette le sedie a posto, chi si toglie dalle vesti i fili di cotone, chi si ravvia i capelli. Peppenella, con la granada, pulisce il pavimento, ingombro di ritagli).
(A Peppenella) Tiene mente là.... Piglia chill'aco e chelli spìngole...
(A Peppenella, con mal garbo) Nun si' bona proprio a niente!...
E già, nisciuno sape fa' niente cca!... Sulo essa sape fa' tutte cose!
(Dandole uno scapaccione) Scopa, sco'!
(Risentita) Stateve cuieta cu 'e mmane!
Emì, lassa 'a i'!
(A Nannina) Io me ne vaco.
Ve ne iate senza vedè 'a sposa?
Vengo cchiù tarde. Quanno torna 'Nnarella, le dicite ch'aggio accattato 'e pperne....
Uh, 'e vulimmo vedè!....
Oh!... Chesto, no!
È giusto! L'ha da vedè primma 'a sposa...
Nun è pe chesto.... È ca me pare comme si facesse na cattiva azione.
(Insinuante) 'I' quanto 'a vulite bene!...
Sì, è overo ca 'a voglio bene... e ve giuro ca nun mm''a sposo p''e denare ca tene!...
È overo! È overo!
Ce ne stanno poche 'e figliole comm'a 'Nnarella!
Dico ca sì! Ma vuie parlate comme si se fosse perduta 'a semmenta d''e boni ffigliole!
Pecchè, nun è overo?... Ogge 'e ffigliole penzano sulo a s'alliscià, a se 'mpupazzà e fa' 'ammore... Già, vuie nun capite chello che voglio dicere...
Nun tutte 'e ddete d''a mano songo socce!
Ve saluto! (Sulla porta di uscita, si rivolta e dice a Nannina): Nun ve scurdate 'a mmasciata... E dicitencello ca vengo subeto.
Nun dubitate: ve servo. (Alle ragazze) Mo ve ne putite i': nce 'o dico io a donn'Amalia... Nun ve scurdate 'e venì 'a cca a n'at'ora... 'Nnarella dà parola, e si venite lle facite piacere.
Ve pare! Nuie avimmo 'a essere 'e pprimme!...
(Allegre) Iammo, iammuncenne!...
(Con ironia) Salutateme 'a maesta... e nun ve scurdate 'e dicere a 'Nnarella ca Furtunato l'ha purtato 'e pperne! Ah! ah!.... (Ride ed esce).
Che faccia 'e cuorno! (Va alla porta, come per dirle qualche cosa; ma s'incontra con la maestra e 'Nnarella).
Pe ne mannà 'e ffigliole, 'a veste è fernuta?
Sissignore.
E Furtunato è venuto?
Nun l'avite 'ncuntrato?
No.
Nun so' manco diece minute ca se n'è ghiuto.
Sulo o cu 'a famiglia?
Sulo. (Rivolgendosi a 'Nnarella) Furtunato v'ha purtato...
Che cosa?
Nun 'o ssapite?
No.
'O rialo p''a parola.
Si, e m'ha ditto: « Di' a 'Nnarella che l'aggio accattato 'e pperne ».
E te l'ha fatte vedè?
No. Milia 'e buleva vedè; ma isso l'ha ditto ca no, pecchè l'aviveve 'a vedè primma vuie.
(Con gioia). Quanto me vo' bene, quanto!...
Può essere cuntenta, figlia mia. Furtunato te vo' bene overamente.
Ogge ll'uommene vanno caro!... Nun te dico po' 'e buone!... Se contano ncopp''e deta!
(Fermandosi sulla porta, col cappello a cencio in mano; ma con aria spavalda). È premmesso 'e salutà a don'Amalia?
M'avite 'a dicere quacche cosa?
Vuie 'o ssapite chi me manna, e bularria... (indica 'Nnarella).
(Che ha capito). Parlarme 'e chill'affare?
Si nun ve dispiace...
No. Assettateve.
Mille ràzie! So' stato assettato fino a mo dint''o «Cafè degli amici... »
A piacere vuosto... Nannì, tu curre a purtà 'a veste a' signora..... e ricordete 'e venì subeto, ca ce divertimmo nu poco... ('O Pezzecato fa nu sorriso quasi d'incredulità). Nun te scurdà, sa'...
(Che avrà di già preso e messo l'abito nella scatola). Nun ce penzate: sarraggio 'a primma a abbraccià sta sora bella! I' vaco... (Sottovoce, indicando 'o Pezzecato) Ma che bo'?.... Tene na faccia nun saccio comme...
Nun ce fa' caso... È venuto a parlà cu maritemo.... Va, vattenne.
Allora me ne vaco? (Rivolgendosi a 'Nnarella) Ce vedimmo subeto?
(Salutandola con la mano) I' t'aspetto.
Tu, figlia mia, vatte a mettere n'ata veste.
Fa ampresso, e vieneme a fa' cumpagnia.
Mo stammo sule: putite parlà... Che v'aggia servì?
(Sottovoce) Catarina, 'a mamma 'e 'Nnarella...
Che bo'?
Comme, nun capite?
Si nun parlate, comme pozzo capì?
Catarina nun bo' stu matremmonio, pecchè dice ca 'a figlia soia se l'ha da mmaretà essa.
(Con uno scatto) Essa?!... Essa?!... E chi è sta femmena ca vene a mettere pede avante a me?
Comme, chi è?... È 'a mamma. Ve ne site scurdata?
Io, i' songo 'a mamma!... I' che l'aggio tenuta 'int''e braccia meie! I' che l'aggio dato 'o latte mio! I' ca mme l'aggio crisciuta comm'a nu sciore! I ch'aggio perzo 'e notte sane sane vicino a 'o letticciullo suio, si teneva nu dolore 'e capa! Io, i' sola songo 'a mamma, pecchè l'aggio data 'a vita, cu 'e vase mieie!...
Ma Catarina....
Ma addò steva 'sta Catarina, quann'io, c''o parpeto 'mpietto, cu l'uocchie chine 'e lacreme, 'a sceppava 'a dint''a ll'ogne d''a morte?.... Mo nun 'o ssaie, mo?... Catarina, 'sta Catarina... sta... (Movimento del Pizzicato) mala femmena ieva p''e strate cchiù zuzzose a vennerse, pe te cunzignà mmano, quanno se retirava 'a notte, tutto chello che s'aveva abbuscato... Annieiatello! Annieiatello!...
(Alzando la sedia, minaccioso) Si nun parle buone, te spacco 'a capa!
(Entrando, con una bottiglia in mano, guarda minaccioso 'o Pezzecato) Bravo! Me piace! Faie 'o forte cu 'e ffemmene!... Saie pe quanto nun te caccio 'e stentine 'a fore!
(Spaventata e frammettendosi ai due) Taniè!...
Tu lèvete 'a miezo!.... Vattenne!.... Lassece sule. (al Pizzicato) Stèvemo dicenno...
Ecco cca, 'on Gaità. 'Onn'Amalia, 'a mugliera vosta, m'ha offeso... m'ha chiammato ric.... E vuie 'o ssapite quanto rispetto tengo pe buie e p''a casa vosta.
Allora è n'ato pare 'e màneche.... (A sua moglie) Tu capisce ca nun s'offende chi vene 'int''a casa nosta?
Comme sapite, i' songo ambasciatore e...
(A suo marito, con calore) Ma tu saie ch'è benuto a dicere st'appoialibbarda?... Catarina se vo' piglià a 'Nnarella!... (Singhiozza).
(Con calore) Comme?!... E cu qua' deritto?... (Ironico) Già... Essa è 'a mamma!...
'A mamma!... Ma i' l'affucarria primma 'e nce 'a cunzignà 'int''e mmane soie!
Nun c'è stu caso 'e bisogno. 'A legge sta a' parta nosta. Mo mo, me l'ha ditto 'o cummissario.
Dunque, nun c'è paura?
Nun avè paura. Mo vengo 'a copp''a sezione.
(Entrando, con un sorriso canzonatorio e con le braccia arcuate sui fianchi). Putimmo salutà st'amice?
Vuie, vuie cca?!...
Vedite... i' aspettava a stu mio signore (Indicando 'o Pezzecato) cu 'a piccerella... E siccomme l'ha pigliato a luongo, so' benuta io, pe ce spiccià cchiù ampresso. Aggio fatto buono?
Avite fatto buono, pecchè chello che v'avevo 'a mannà a dicere pe ll'amico vuosto, mo v''o dico a buie.
Accussì me piace! ('Nnarella, non vista, appare sotto la porta) 'A franchezza!
A 'Nnarella nun 'a dongo nè a buie, e manco a 'o figlio d''o Pateterno! Essa spusarrà a Furtunato, pecchè accussì voglio i'!
(Fregandosi le mani) Bravo!... Bravo!... Me piacite!... Chesto significa parlà chiaro... (Rivolgendosi a 'o Pezzecato) E tu che ne dice?... Si' restato 'mpalato lloco, comm'a na mazza 'e scopa?...
(Annoiato) Ch'aggia a dicere?... Significa ca na vota che nun 'a vonno cunzignà c''o buono, nce 'a pigliammo cu 'a forza.
(È per slanciarsi, ma viene trattenuta dal marito). I' te caccio l'anema, a te e a sta femmena!
(Con spavalderia). Iammo: nun facimmo cchiù chiacchiere, e cunzignateme a figliema!.
(Che tutto ha udito, si fa arditamente avanti). Tu me si' mamma tu?!...
Si, io, io! (Fa per abbracciarla).
Nun me tuccate!... (Gittandosi fra le braccia di Amalia, poi fra quelle di Gaetano). Mamma!... Mamma mia!.. Papá mio!
Quanta vuòmmeche!
(Avvicinandosi a Caterina, risoluta). Tu, tu cu qua' deritto viene a minaccià 'sta povera famiglia?... Sta povera gente c'ha fatto tanto pe me! Nun me iettaste 'int''a rota, comme se fa cu na mappata 'e pezze vecchie?... Chi m'ha crisciuta per diciotto anne?. Chi m'ha fatto addeventà na femmena onesta? 'E bi' cca: so' state sti duie, ca tu
ammenacce; sti duie, ca me pigliaieno 'a dint''a Nunziata, e me vuletteno cchiù bene 'e na figlia!... Allora nun te ricurdaste 'e chella mappatella ca iettaste 'int' a chella casa addò 'e ccriature moreno a centenara?... Faciste buono!... Chi sa che n'avarrisse fatto 'e me criatura... 'e me puverella!
(Facendo la voce dolce). 'Nnarè!... Si' tu che parle accussì a mamma toia?!
Sì, mo saccio tutto... I' songo una 'e chelli povere figlie nate pe cumbinazione! E tu te cride ca io te so' figlia?... Ca tu me si' mamma? No, no! Tu nun me può di': «me si' figlia». No! No! 'A mamma nun lassa maie 'a figlia soia: s''a tene sempe astrignuta 'int''e braccia: le dà tutta 'a vita soia: s''addorme 'n braccia, s''a vasa...
Ma tu m'accide! Vide comme me faie chiagnere!
Va, va!... Tu nun saie comme se chiagne, no!
Tu me si' figlia, tu!
E mo che m''e' vuluto fa' sapè che me si' mamma, dimme, dimme pàtemo chi è!
Pàteto?... Pàteto...
Dimmello, dimmello, mo! Nun me fa scuorno niente cchiù... Dimmello: è nu mariuolo? (Indicando con disprezzo 'o Pezzecato) È n'ommo comm'a chisto?
Pàteto...
'O bi' ca nun 'o saie manco tu?... 'O bi' ca nun 'o saie scegliere mmiez a tutto 'accunte tuoie?
Lasse 'a i'! Nun bide quant'è 'ngrata?!
Nun t'abbastava 'e venì 'int' a 'sta casa? Avive 'a mannà pure a chisto?
(Minaccioso). Fernimmela!
(Esaltata, quasi piangendo). Ascite! Iatevenne 'a dint'a 'sta casa!... Ascite! Nfame assassine!... (Sviene fra le braccia di Amalia e Gaetano).
Catarì, mo iammuncenne.
(Sedendosi) Seh! Mo me ne vaco!... Staie lustra!
(Chiama da parte 'o Pezzecato). Fernimmela! A 'Nnarella vuie nun l'avite... Però, si me facite sta' cuieto 'int''a casa mia....
M''o putiveve dicere primma.
Aviveve 'a venì addo me, e nun addo muglierema.
E va bene. A Catarina nce penzo i'... e si nun se fa capace, le faccio nu liscio e busso... Va bene. Restiamo intensi... (a Caterina) Iammuncenne, Catarì...
Avite capito? Cca nun ce avìte 'a mettere cchiù 'o pede.
V'aggio dato 'a parola mia... Ve saluto.
E 'Nnarella?
(Minaccioso, facendola alzare dalla sedia) Te vuò sta' zitta.
I' nun me movo 'a cca!
(Sottovoce). Mannaggia 'a... Nun 'e' capito!
(Al marito, indicando la bottiglia che questi aveva in mano e che ha poggiata sopra un mobile). È acito, chello?
No, è spireto 'e sale.
Va piglie nu poco 'acito
(Prende la bottiglia dello spirito di sale, ed entra nella camera; poi ritorna con l'aceto) Nun avè paura. E' cosa 'e niente. (Fanno odorare l'aceto a 'Nnarella, che rinviene a poco a poco).
Mamma mia! Che paura!
Ringraziammo a Dio ch'è fernuta accussì... Cu chella gente, bella mia, nun se sape maie chello ca succede.
Zitto. Lle sta passanno...
(Guardando intorno) Me vulevano purtà cu' lloro?! (Scoppia in un pianto dirotto).
Nun chiagnere, core mio!... Che nce azzéccano mo sti llacreme?
Io, io, figlia a chella femmena?!... Madonna! Madonna mia!... E che diciarrà Furtunato?!... I' nun m''o pozzo spusà cchiù!... No, no! Nu giovene onesto nun po... nun s'ha da spusà 'a figlia 'e na... Dio!... Dio!... (Con le mani sul viso, piange).
(Cerca di persuaderla) Furtunato 'o ssape ca tu si' figlia a' Madonna, e...
Ma nun sape chi è màmmema!... No, no! Nun 'o pozzo 'ngannà! Sarria na 'nfamità!... E 'a famiglia soia? No, no!...
Scemona!... Aiza st'uocchie... Guardece... Nun simmo nuie mammà e papà tuio?...
Nun faticammo pe te?..... Pecchè ce vuò 'ntussecà sti poche anne che ce resteno?
(Abbracciandoli e laciandoli) Avite ragione... Si. Io tengo sulo a vuie, sulamente a vuie!... Camparraggio sulo pe vuie.
Cu nuie e cu Furtunato...
No no! Io nun 'o pozzo, nun l'aggia 'ngannà.
Asciùttete st'uocchie, ca mo 'o vide 'e venì.
(Esegue) Meglio accussì. Ce parlo; e le dico tutto.
Ma...
Ave ragione, povera figlia! Tanto, nu iuorno o n'ato l'ha d''a sapè.
(Ode un fischio) O vi' cca.
(Alzandosi dalla sedia) Lassateme sola cu isso.
Io vaco a' puteca e torno subeto.
E a chi nc''e' lassato?
A Tore, 'o lavurante.
'E' fernuto 'e cummiglià l'asteco d''o Marchese?
Ce vo' tiempo ancora. Perciò aggio pigliato l'ato spireto 'e sale. I' mo torno.
E nun te puorte 'a butteglia?
No; pe mo pozzo arremedià...
Viene ampresso.
Sì, venite ampresso, papà... Tengo nu brutto presentimento.
Oi ne', si' pazza?!
(Allegro) Eccome cca. Aggio anticipato, e so' venuto 'n cumpagnia cu l'amico.
Qua' amico?... I' veco sulamente a te...
L'ato 'o tengo 'int''a sacca.
Che cosa?
'O rialo.
Mo aggio capito. Addio. Io vaco a' puteca.
E nun vulite vedè 'o rialo?
(Uscendo) Mo che torno...
Casa e puteca!... Che ommo!
Furtunà, i' vaco nu mumento add''a cummara Rosa. Ve lasso nu mumento... Mo ve pozzo lassà...
Iate. Nuie v'aspettammo.
(A 'Nnarella, uscendo) Curaggio, core mio!... Ah!...
(Accompagna Amalia alla porta, poi corre a dare un bacio a 'Nnarella, che lo allontana) E pecchè?... Pecchè nun me vuò dà nu vaso?... Tu 'e' chiagnuto?!... Ch'è succieso? Dimme, dimmello!... Che t'è succieso!
Furtunà... (Soffocata dai singhiozzi)
Ma che te siente?... Parla!
Io so' na disgraziata! Io nun so' degna 'e te spusà!... No, no! Nun te pozza spusà!...
(Con sorpresa) Tu?!... No, no!... Tu si' na pazza!...
Io fino a mo sapeva ch'era d''a Nunziata; ma nun sapevo che màmmema era viva.
E chesto te fa chiagnere?!... Che scemona!... Scemòna!...
Ma tu saie, tu saie chello che fa màmmema?
No.
Allora nun m''o dimannà!
Mammeta?! Parla, dì!...
Fa 'a malafemmena!... (Prorompe in pianto).
(Si copre il volto) Dio!... Dio mio!...
È stato nu suonno!
(Cade sulla sedia) E che diciarrà 'a famiglia mia?!...
Io t''o dicevo... io... Tutto, tutto è fenuto!
Fenuto! Fenuto!
Sì, è fenuto... Va, curre add''a famiglia toia primma ca vene cca, còntele tutto, nun l'annasconnere niente... Ièttete a 'e piede 'e mammeta, e dille: i' voglio bene assaie assaie 'a figlia 'e na...
Zitta!... Tu nun ce aie nisciuna colpa, tu... Ma 'a famiglia mia?!... (Con disperazione) Madonna! Madonna mia!
(Sofferente) Nun te disperà... Guarda.... I' avarria bisogno 'e curaggio... Invece t''o dongo io a te... Siente... Curre a' casa toia, conta tuttecosa a' famiglia toia, ca... forse... nun sarranno tanto 'nfame 'e ce spartere!
No, no! È inutile! Io canosco a màmmema...
(Con amarezza e dolore) Allora... tutto è fenuto! Io 'o ssapevo.
(Dondolando la testa) Fenuto!.... Tutto è fenuto!... ('Nnarella profitta del dolore di Furtunato ed entra nella sua camera. Silenzio)
Siente, 'Nnarè!... Cunziglieme... tu... Forse... (Vedendo che la giovine non c'è, si alza, va alla porta d'ingresso e guarda per ogni lato; indi fa per entrare nella camera di 'Nnarella. S'incontrano). Addò si' stata?... Tu... nun te mantiene all'erta!... Ch''e' fatto?!
Tu ll''e' ditto: «Tutt'è fenuto!»
(Con disperazione) Ma ch''e' fatto?!... Parla!...
(Perdendo le forze) Niente... È fenuta!...
(Corre alla porta e chiamma) 'Onn'Amà!... 'Onn'Amà! Currite!... 'Nnarella more!...
(Accorre, spaventata) Figlia! Figlia mia!... Ch''e' fatto?...
'Nnarè?!... Ch''e' fatto?!... Sora mia bella!...
(Che già è caduta su di una sedia, con un filo di voce) Perdoneme, mammà! M'aggio vìpeto 'o spireto 'e sale!...
Dio!... S'è mmelenata!
(Entra, tutta allegra, con le amiche, ridendo) Ah, ah! Comm'era curiosa!
(Con rimprovero) Te staie zitta?
Pecchè?
Nun vide?
Madonna!... 'Nnarella?!...
Zitta!
Ch'è succiesso?..
(Alle ragazze, che l'hanno circondata, sulla porta) S'è avvelenata!
(A Peppenella) Curre! Chiamma na carruzzella!
Subeto! A ll'Incurabele... (Peppenella esce).
Perdunateme, mammà! Io 'o vulevo troppo bene e nun me fidavo 'e l'abbandunà... Isso nun me puteva spusà cchiù, e io...
Disgraziata!... Io nun t'aggio ditto chesto...
(Sempre perdendo le forze) No! Nun putive! tu si' nu giovene onesto!... I' songo 'a figlia...
(Facendosi largo tra la gente) Ch'è succiesso? (Vedendo 'Nnarella) Figlia!... Figlia mia!
S'ha vippeto 'o spireto 'e sale!
(Dà un grido d'orrore) Dio!... È perduta!
E so' stato io, io, l'assassino!... Ma, pe carità, chiammate na carruzzella! Purtammela a ll'Incurabele!...
È inutile! Chesto è beleno ca nun perdona!...
(Chiama Furtunato, con un segno della mano. Furtunato s'inginocchia ai suoi piedi) Perdoneme! Io nun te putevo essere mugliera...
No, no! Nun 'o dicere!
(Sempre indebolendosi) Dio nun ha vuluto... Chisto è 'o destino 'e tutte 'e ffiglie d''a Madonna!
Ah! Che m'accedarria!
Ma che vulite fa'!...
Accuiètete, Furtunà! Accuiètete!...
(Con disperazione) Dio, Dio mio! Ma 'sta carruzzella nun vene?!...
(Guardando la madre) Addio, mammà!... (Amalia la bacia) E tu... nun me perduone, papà? (Gaitano le si avvicina, piangendo).
E quanno maie tu 'e' chiagnuto accussì?!... (Gaitano, che non può trattener le lacrime, fugge in fondo). Puveriello!... Addio Furtunato...
(Che ha sollevato la testa di 'Nnarella dalle braccia di Furtunato, ha un grido di dolore straziante). Morta!... Morta!...
(Le giovani della sartoria s'inginocchiano, in atto di preghiera).
Napoli, 21 agosto 1890.
A
Roberto Bracco
Matalena.
Tore.
Vicienzo.
Emilia.
'Gnesa.
Nannina.
Peppenella.
Ciro.
Totonno.
Nu lampionaro.
Nu guardiano.
Duie facchine.
Nu surdato 'e fantaria.
Na serva.
Na vecchia.
Na piccerella.
Femmene, gente 'e strata, guagliune.
È una triste giornata grigia di dicembre. La pioggia vien giù a pulviscolo, continua, monotona. Una zampogna miagola in lontananza. Alcune voci di popolani e di venditori s'incrociano, salgono dal Borgo dell'Annunziata, stendendosi fino a «S. Nicola dei Caserti.»
Nella via dei Tribunali, fino a pocchi anni fa, trovavasi la «Sala di riconoscimento» (la morgue) sottostante alla strada e scavata sotto il terrapieno di Castelcapuano, ove ogni mattina e ogni sera ruzzolava il carrozzone de' carcerati.
La sala era umita, oscura come una tomba.
Un vecchio e arrugginito cancello a sbarre di ferro ne chiudeva l'ingresso.
Il fronte dell'antica «Sala di riconoscimento» è illuminato dalla luce sanguigna di un tramonto invernale.
Si ode venire di lontano un vivo clamore di voci confuse, grida di popolani, il bando dei venditori. Una zampogna manda gli ultimi suoni d'una novena.
— Voce di donna: — (prolungata, stentorea) Carmeniè... e... e!... Carmeniè... e... e!... Vien''a cca!... 'O vi' ca chiove!...
— Voce del ragazzo: — Oi mà!... Mo, mo!... Schizzechea!...
— Voce di venditore: — I' comme canta a ragosta!... A trentadoie 'e vive e gruosse!!...
— Voce di venditrice: — Pigne mullise' grosse!...
— Voce di vecchia: — Nannì...i...i!... Trase 'e galline!... Tu ce siente?...
— Voce di venditore: — È venuto Natale, è ancora fresca, 'e mmele, 'e sovere e l'uva fresca!!...
(Al soldato che le sta vicino) Ma tu si' pazzo?... T'è ghiuto 'o liccese 'n capo?...
No ghe xè nissun! No ti sa, che xè do anni, che mì ghe parlo?...
Cca t'è caduto 'o ciuccio?... (Vede la sala di riconoscimento ed ha paura) Iammuncenne!... Me metto appaura!...
Lassè veder mì!...
(Trattenendolo) Là, là!... (Il soldato fa per vedere) No, no!... Tu si' pazzo?! Là ce sta 'o muorto.
Cossa diavolo gh'aveu?... Mì, siora, no gh'avè paura! Son soldato, ostregheta!...(Nuovamente fa per avvicinarsi al cancello).
No, nun nce i'! (Lo trattiene per la manica della giubba). Quanta gente! (Indica in fondo) Che sarrà succiesso?... Iammo a vedè!...
Marche!... Anderemu anche nu,
(Infila il braccio del soldato) Me mette paura; miettete nnanze!...
(Passando davanti la « morgue » dice, con entusiasmo): Ostregheta! che bella putea!!... (Escono).
Una folla cenciosa di uomini, di donne e di ragazzi vien fuori a precipizio, gesticolando, facendo ressa presso due facchini, i quali trasportano, su una barella, il cadavere di un uomo il cui volto è coperto da un ruvido sacco.
(Che sta sotto l'ombrello dell'amica Nannina facendosi largo e rivolgendosi ai facchini con curiosità) Faciteme vedè... voglio vedè...
(Trattenendola) Che curaggio ca tiene, Miliè!
(Ansioso di sapere qualche cosa, si rivolge ad Emilia) Vuie 'o canuscite?
Io? Gnernò, 'nun 'o canosco.
E allora chi t''o fa fa'?
È pe nu sfizio!
Che sfizio 'e cane arraggiato.
(A Nannina) Chiude stu 'mbrello.
Chiove piccio piccio, me pare nu funerale.
Pover'ommo! Chi sa comm'è muorto?
Aggio 'ntiso dicere ca s'è acciso p''a famme.
È na buscia! L'hanno data na botta sotto 'o core!
E vuie, comme 'o ssapite?
Me l'hanno ditto!... E po' nun avite visto 'o sanghe?...
(Con tristezza) Giesù! Giesú! Che curaggio! A nun rispettà manco sti sante iurnate! Iusto ogge ch'è Natale.
(Sempre curiosa) Ma è giovene? È viecchio?
'N faccia 'a trentina...
(A 'Gnesa) Ma pecchè, 'o canuscite vuie?
Addò?!...
E pecchè 'o metteno cca?
Appunto pecchè nisciuno 'o canosce, 'o metteno dint''a sala 'e ricunuscimento.
Ma è de Napole? È de fora? Cca nun se pò appurà propio niente!
Hanno ditto ch'è cafone...
Ma, pe sapè, addò l'hanno truvato?
Pe ditto d''a gente, vicino 'a «Funtana d''e Sierpe.»
Io, mmece, aggio 'ntiso dicere, ch'è stato truvuto nnanz'a na casa malamente!.. Vuie me capite?
(Con disgusto) Ah! era n'ommo veziuso? Ce l'ha vuluto isso!...
Ecco cca, hanno cacciata 'a sentenza!..... « Ce l'ha vuluto isso!! » (A 'Gnesa) Ve mettite subeto a parlà, quanno nun sapite 'o riest''e niente!
Chi sa quanta botte ll'hanno date?
No, pecchesto, è stata una e bbona! Quanno se pogne 'o core, felicissima notte! Se va deritto deritto 'o criatore!
Chi sa si nun era pure nzurato, e ha lassato 'e figlie!
E chi 'o ssape!...
(Facendosi largo ed avvicinandosi ai facchini) Lassateme passà!... Facite largo! (Con una chiave apre il cancello, mentre la folla si accosta, curiosa, alla camera mortuaria) Iammo, scennite... (Rivolgendosi ai facchini) e stateve attiente... (I due facchini discendono il cadavere, ed il guardiano, respingendo la folla, dice:) Nun capisco che sfizio ce truvate a guardà nu muorto. (A Emilia, che gli sta per chiedere che cosa è successo) Gnorsì, se tratta 'e na disgrazia, ma a vuie che ve ne 'mporta? 'O canuscite? Sì? E allora pecchè nun parlate? Nun 'o sapite? E allora pecchè nun ve ne iate? (Scompare nell'interno della camera).
I' che bella ràzia ca tene!... Fusse acciso!...
Nu facchino 'e chille m'ha ditto ca 'o muorto veramente è stato truvato vicino 'a funtana d''e Sierpe. 'O giurece, secondo 'o soleto, s'è fatto aspettà nu bello piezzo, e po' ha ditto d''o purtà cca.
Ma mo che l'hanno esposto se venarrà subeto a capo 'e quacche cosa.
Guardate! L'hanno situato ncopp''o marmolo.
Comme te vene tantu curaggio? 'A verità i' nun me fidarrìa.
E io? Nun voglia maie 'o cielo e m''o sunnasse... sa che paura!..
Ve mettarrisseve appaura 'e ve sunnà nu muorto?
E se sape!... Vuie no... Vuie site ommo.
A me, chille ca me fanno paura so' ll'uocchie vuoste!...
(Lusingata) Overamente? Embé! me crerite? I' mo stu fatto nun 'o sapeva! (Al tramonto è succeduta la sera e la via incomincia ad oscurarsi).
(A Peppenella, parlando di Nannina) Vuommeche... vuò! Te fanno avutà proprio 'o stommaco!...
Totò, pecchè ce vulite fa disturbà cchiù 'e quanno stammo disturbate?
(A 'Gnesa e Peppenella) Ma pecchè? Ve dispiace 'e me sentì?
No, ce dispiace 'e smucculià stu cannelotto!
(Sorridendo) È stato pe spezzà nu poco 'sta munutunia!
E già! Chillo, Totonno é giovene, s'ha da divertì!
(Che non lascia mai di guardare nella cella) Hanno appicciata 'a lampa... (Alcuni corrono a vedere; la cella si è illuminata d'una luce rossastra).
Mamma mia, che faccia ianca... Fa paura. (Sempre con tristezza) Puveriello!
(Con interesse) Vuie 'o canuscite?
Gnernò!... Gnernò!...
Che brutto destino! Che brutta morte c'ha fatto!
'O signore ce ne libera e scanza!
E pure, quanno 'e' scavato buono buono, ce truove sempe 'a femmena p''o miezo!
Ma comme, nun se po appurà chi è stato ca l'ha acciso?
Pe chesto ntanto 'a Quistura, a chest'ora, già avarrà appurato tutte cose!
E 'o mettevano cca? Pare nu faticatore.
Sarrà 'e quacche paese 'a cca attuorno.
Già, proprio!... Ha da essere 'e quacche paisiello 'a cc''attuorno! (In questo punto compariscono i due facchini e il guardiano che chiude il cancello).
(Rivolto alla folla) Guardate, guardate! Ancora nun ve ne site saziate? E comme, nuie aute napulitane avimmo essere accussì curiuse!... Tenimmo 'e guaie fino a' cimma d''e capille, e ce iammo sempe 'ntricanno d''e fatte ca nun ce riguardano! È inutile, chisto è 'o paese d''a curiusità e d''a sciampagnaria! (Si allontana con i facchini).
(Al guardiano) Si' ghiuto overamente 'a penna! e t''a mmierete na sbattuta d'ogne! (Rivolgendosi a Nannina) Me ne vogl'i'. Me sento venì meno!..
E tu, pecchè te si' appricata tanto a guardà?! Nuie nun t''o dicevamo? Iammo, ca te tengo cumpagnia... (Fanno per allontanarsi).
Che d'è, ve ne iate?
Chell'Emilia...
Allora me ne vengo io pure.
(Con galanteria) Vulite che v'accumpagno?
Grazie!
Me parite 'o gallo mmiezo 'e galline!
'O parlà chiaro è fatto p''amice!... E io ve ringrazio.
È ca tengo nu frate ca le prore 'a capa.... e nun vularrìa...
'E frate, se persuateno subeto... E po' che ce sta 'e male?...
Ma vuie nun avite che fa'?...
Comme site ntussecosa, nennè! (A Nannina) E vuie state assaie luntana? 'O Vasto?
No, cca vicino, 'o Buvero.
Nannì, ma che avimmo 'a sta' cca?... Iammuncenne!...
Iate 'e pressa? Che tenite 'a neva 'int''a sacca?...
(A Nannina) Si' sempe tu!
Che ce sta 'e male?... Me ne leva nu piezzo?...
Ve pozzo accumpagnà?...
Ma, vuie, che bulite?
Ve voglio dà na preghiera...
Madonna! Parite na zecca cavallina!
(A Nannina prendendola per un braccio) Ma v'è sora?...
Amica. E lassateme...
E sientelo... Vi' che bò!
Ma che ha da vulè? (a Nannina) Iammuncenne!...
(Infastidita) Ma tu si' scucciante!
Ah, mo me so' addecriato!
(A Peppenella) Nun nce esco cchiù cu tico. (Si avvia).
(Correndole dietro) Sentite, sentite!... (Escono).
(Ad Emilia) E nu bello giovene.
Te piace?
Assaie!...
Aggio capito...
Che 'e' capito?...
No, niente!... (Escono).
(Sotto voce a 'Gnesa che trae in disparte) Dicite 'a verità, ve fusseve vuie pure vestuta 'a scema? L'avite o nun l'avite canusciuto?
A chi?
Comme? 'o muorto!...
'Ncuscienzia mia! nun 'o canosco.
Me faccio maraviglia! E dicere ch'è d''o stesso quartiere nuosto (Man mano la folla si allontana per diverse vie).
E chi è?
(Sempre sotto voce) Vicienzo, 'o nnammurato 'e Matalena, chella ch''a chiammano, 'a Russulella!
'A Russulella?...
Comme, vuie nun canuscite 'o nnammurato 'e Matalena? Chella bella figliola 'e San Giuvanne a Gravunara? Chella c''a faccia tagliata?
(Con grande meraviglia) Overo! Isso!?
E ghiate, riflettitelo! ('Gnesa va a guardare il morto).
Isso! Propio isso! Avite ragione! Già, sarà stato 'o marito.
E chi puteva essere?... Parlate cchiù chiano (Sottovoce). Nce 'o prumettette, e appena è asciuto d''e ccarcere, ha mantenuta 'a parola!
Che curaggio! Che 'nfamità!
Ma isso pure è stato malamente; pecchè nun ha rispettato 'e cumandamente 'e Dio! L'è piaciuta 'a mugliera 'e ll'amico? e mo ben gli sta! Cheste so' cose ca nun se fanno!
E va bene, nun se fanno; ma è sempe 'a femmena che nce àve cchiù corpa. Si Matalena se fosse saputa riguardà, si se fosse mantenuta aunesta, tutto chesto nun sarrìa succieso! Se capisse, ll'ommo è cacciatore, vede 'a quaglia e 'a spara.
Ma Vicienzo, pozz'essere beneritto, nun aveva tradì l'amicizia... L'ha traduta? e vedite che ll'è succieso!
'O munno s'è cagnato... s'è fatto malamente! Se ne sentono, ca se ne sentono! E
tutto pecchè? pecchè nun se crede a niente cchiù! Va, iammuncenne, se ne so' ghiute tutte quante; che ce facimmo nuie sule cca?
Si, iammuncenne, s'è fatte pure notte. (A questo punto viene in iscena nu lampionaro. Indossa un abito azzurro ed ha la placca di ottone col numero sul petto, e la solita asta per accendere i fanali.
(Al lampionaro) Cumpà, pecchè currite? Chi ve secuta?
Nun me facite perdere tiempo, l'aggio fatto tarde...
Mena mo, ca nun è pena 'e morte! Guardate llà... (Indicando la sala di riconoscimento).
(Con indifferenza). Quacche muorto! Nun è na nuvità.
È nu fatto! Ma sapite vuie chi è stu muorto?
(Con interesse). Chi è?
Vicienzo... 'o nnammurato 'e Matalena 'a Rossa!
(Con viva impressione). Vuie che dicite? Pussibile?! Appunto aiere ce simmo 'ncuntrate! (Andamo a guardare) 'On Vicienzo! Che peccato! Io 'o ddiceva.... E accussì è stato.
Ma vuie 'o fatto 'o sapite? Avite capito?
Ma che ve pare, ce vò 'a zingara p'addivinà 'a ventura? (Abbassando la voce). È stato Tore! 'O marito.
'On Vicienzo nun teneva ati nemice!
Chella povera mamma nun saparrà niente ancora, si no 'a quanto tiempo sarrìa venuta cca.
Povera femmena! Starrà aspettanno ca se retira, e chillo....
E Iammuncenne pure nuie. Da nu mumento a n'ato po venì Matalena, e chi se fidarria d'assistere a chillo sparpetuo (Escono).
(Mentre va via). Povero Vicienzo! Requie a ll'anema soia. (La scena si oscura di piú).
(Spaventata, con gli occhi rossi dal lungo e forte piangere, con la disperazione nel cuore, vestita di nero, vien fuori come una forsennata. Fa per correre al cancello, ma con terrore indietreggia, ansante. Vinto il primo spavento, si precipita al cancello. Emette un grido straziante, forte, terribile e cade a terra. 'Gnesa corre per rialzarla. Matalena alzandosi non bada a 'Gnesa e tendendo le braccia attraverso le spranghe dal cancello). Vicienzo! Vicienzo mio!... Chi me l'ha acciso, chi?! Tu ire accussì bello! Forte, buono! Nu core d'oro! N'angelo 'e buntà!! Viciè,
Vicienzo, guardame, i' sto cca!.. Cca, vicino a te! È nu suonno! No, no! nun po essere no! nun po essere!!.. Tu si vivo. No, no, nun pazzià!! (Con disperazione) Veciè! Vecienzo!...
(Fa per tirarla dal cancello) Matalè! Matalè! Vuie che facite? Arraggiunate!.. Si 'a gente ve vede... 'O marito vuosto...
(La fissa come una forsennata) 'O marito mio?... E vuie chi site?.
'Gnesa. Chè? nun m'avite afficurato?
(Indica il morto). Me l'hanno acciso! Me l'hanno acciso!..
Venitevenne... Mò che vulite fà? 'A gente po' parla e taglia.. E vuie avite 'a dà cunto.
Me l'hanno acciso! L'hanno acciso!
Curaggio, Matalè, dateve curaggio!....
(Svincolandosi). Lassateme, Lassatem''o vedè!.. (Corre al cancello). Vicienzo! Vicienzo! (Si rivolge al cielo). Ah Madonna, muòvete a compassione! Io sto suffrenno tutte 'e ppene 'e ll'inferno! Muòvete a pietà! (Con un visibile crescente). E tu, Madò, aie pututo permettere stu scenufleggio, 'sta 'nfamità?! No, no!... Tu si' senza pietà, si' senza misericordia!
(Terrorizzata) Ma tu si pazza!? Tu iastimme!
(Seguitando). Io nun te crede cchiù si nun m''o faie sosere 'a llà ncoppa!... No, no, nun te credo cchiù!!...
(Tappandole la bocca). Nun fa' peccato! Tu iastimme!!...
(Come svegliandosi da un letargo chiede ad a 'Gnesa). Che aggio ditto?... Io nun ragiono, no!... Madonna, perduoname! Io nun saccio chello ca dico, nun saccio chello ca faccio! Io me sento ascì pazza! Pietà, pietà, Madonna! Pietà 'e 'sta povera scunzulata!!.. (Dà in un pianto dirotto e si avvicina nuovamente alle
spranghe del cancello). Vicienzo mio! Susete 'a lloco! Sienteme... Mariuccella, 'a piccerella, te sta aspettanno ch''e braccelle aperte... E chiagne, pecchè nun te vede turnà... Vicienzo mio, me siente!? Susete 'a copp''a stu marmolo 'e morte! Viene vicino a stu canciello, damme nu vase! Uno surtanto, l'urdemo! (Al colmo della disperazione) Chi t'ha acciso ha da suffrì 'o carcere, 'a miseria!... L'aggio 'a vedè acciso comm'a nu cane! Senza truvà n'anema ca l'aiuta! Viciè! Vicienzo mio! (cade svenuta).
É na pazza! È na pazza!... (Cerca di farla tornare in sè) Matalè!... Matalè!... Nun risponne... (Guarda attorno) Nun vene nisciuno... (Si ode un fischio che arieggia una canzone popolare. Dopo poco appare Tore, ubbriaco) 'O marito!!...
Che cauro!... Auff!...
Tore! Tore!... (Indica Matalena) Cca sta 'a mugliera vosta...
Chi mme vò?...
Llà, vedite...
Auff!... che cauro!...
(A Tore) Io me ne vaco!... (Chiedendo a sè stessa) Ma a me chi m''o fa fa'?.. (Esce).
(Ubbriaco com'è, con gli abiti in disordine, barcollando va ad appoggiarsi al muro). Bona chesta, nun trovo cchiù 'a purtella. (Arrivando al cancello). Ah, sta cca! Ll'aggio truvata. Matalè! Matalè, arape!... Matalè! e che d'è, si 'nzurduta? Mo nun m''a faie cchiù, mo!... (Con una risata sguaiata e ributtante). L'aggio stutato... (Ode i singulti di Matalena). Che d'è? Tu chiagne? È inutile! nun po turnà cchiù... Te piaceva, te piaceva? E quanno arape? (Nello scuotere il cancello, guarda nella sala di riconoscimento). E tu che faie cca dinto? Chesta è 'a casa mia... Arapeme! Ce siente? (A questo punto, Matalena, man mano è andata rinvenendo, guarderà Tore). Arape, carugnone!... (Matalena si alza di scatto e corre ad afferrare Tore pel braccio, gli fissa in volto gli occhi che hanno lampi di fuoco).
(Riconoscendolo). Tore!.. Tu! tu si' stato, tu!
(Sempre barcollando) Me canusce!? E tu chi si'?
(Fissandolo ancora con sguardo terrificante). Tu! tu l'è acciso! Si' stato tu!
(Come sopra) E chi t''a ditto? Tu chi si'?
Nun me canusce? Staie 'mbriaco?
Matalena!...
(Scuotendolo forte) Assassino!.. Assassino!..
(Barcollando). Statte, ca me faie cadè!
Assassino!.. (costringendolo poi a guardare il morto) Guarda! Guarda ch''e' fatto!
(Con rabbia, come per svincolarsi) E lasseme!...
Cunfessa, 'nfame!.. Cunfessa!
(c. s.) E quanno me lasse?!
Si' stato tu che l' 'e' acciso, tu!...
E ssì! So' stat'io, che buò?
Ah! si stato tu?!... (Risoluta tira dai capelli la «spadetta di Genova» e con movimento fulmineo colpisce ripetutamente Tore alla gola, sul volto e sul petto). E teh!... Chesto è pe Vicienzo, chesto pe me, e chesto pe Dio! ca pure isso l'ha vuluto! (Tore gira su sè stesso e cade morto. Maddalena gitta attraverso il cancello la «spadetta», indi si rivolge al morto della morgue). Teh! chesto è sanghe suio!
(Con ribrezze si guarda le mani intrise di sangue, poi, nasconde la faccia nello scialle e fugge perdendosi nell'oscurità della notte. Dalla «Vicaria» giunge il canto d'un carcerato, interrotto dal suono ferreo delle inferriate, «visitate» dai secondini).
Ah, quant'è bello lu murire acciso,
mmocc' a la porta de la nnammurata!
L'anema se ne saglie 'n paraviso,
e 'o cuorpo se lu chiagne la scasata!...
(A metà del canto, passa una donna vestita di nero imbacuccata in uno scialle nero; conduce per mano una bambina vestita a lutto. Guarda verso la «sala di riconoscimento», si segna ed affretta il passo. Il carcerato riprende il canto malinconico).
Ah, quant'è bello lu murire acciso,
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
(La tela cala lentamente durante il canto).
Napoli 15-16 Marzo 1891.
A
Renato Simoni
'Onna Carmela.
Trezza d'oro.
Biasiello. (*)
Paolo.
'On Giuvanne.
Nannina.
Nu viecchio signore.
Aniello.
(*) La parte di Biasiello può essere sostenuta dalla prima attrice giovane.
In portineria. Una piccola camera con una porta a vetri nel fondo. Dietro i vetri si vede una breve corte e lo svolgersi delle scale marmoree che s'innalzano fino ai piani superiori. A destra un quadro di legno con cinque portavoci di ottone giallo e lucido, allineati. Un po' più alto la rastrelliera per le lettere con qualche lettera e qualche giornale. A sinistra una vecchia cristalliera con stoviglie rustiche. Nel mezzo della camera un tavolo grezzo con un tappeto logoro e sfuggente. Intorno, alcune sedie impagliate. Le pareti sono ornate del ritratto del Re e della Regina in oleografia volgare. C'è anche l'immagine di un Santo e qualche figura tratta dalle pagine della Scena Illustrata o da altra rivista a colori.
C'è anche una mensoletta di gesso con un mezzo busto di Garibaldi pure in gesso. Sulla sinistra della prima quinta una porta che dà nell'unica stanza che fa da camera da letto.
E un mattino di state, ambiguo e quasi oscuro in quell'ambiente sottomesso.
Donna Carmela, è seduta vicino al tavolo e sorseggia il caffè, che versa da una piccola caffettiera di latta nel coverchio. È pensierosa. Dalla camera da letto giunge il canto della ninna-nanna che Trezza d'oro canta alla sua creatura. La vecchia si commuove e si asciuga una lagrima.
— Vienece, suonno; vienece da li monte
Viene, palluccia d'oro, e dàlle 'n fronte!
— E dalle 'n fronte, e nun mme la fa' male!
Ca è piccerella, e 'a nonna mo vò fare!
— E nonna, nonna — nonna, nunnarella!
Lu lupo s'ha mangiata 'a pecurella!
— Ah, pecurella mia, comme faciste,
Quanno mmocca a lu lupo te vediste?!
(A Trezza d'oro che cammina sulla punta dei piedi, e volge la testa indietro per assicurarsi che la bambina dorme) S'è addurmuta?... I' che nziria c'aveva pigliato! Vuleva afforza 'a pupata d''a figlia d''a maestrina.
Aviv''a vedè cu che preputenza ci 'a sceppava d''e mmane, alluccanno: «È 'a mia!... È 'a mia!...» Ce n'è vuluto p''a fa' capace! Si nun era pe Biasiello, ca s'è truvato a tiempo, t'assicuro ch''a pupata se sarrìa fatta tant''o piezzo!
Site vuie che l'avvizziate malamente...
È piccerella...
A sett'anne, se capisce chello ca se fa...
Già!... Comme si tu a sett'anne nun ire cchiù verrezzosa d'essa... Nun te parlo 'e chillo lazzarone 'e Biasiello... Chillo, è stato sempe 'a disperaziona mia...
Ma però tene nu bello core!...
Nun t''o nego; ma ten''a capa sciacqua.
È nu guaglione ca nun se fa fa' scemo. È nu poco manisco, ma è nu buono figlio.
A quinnece anne 'a capa s'ha dda tenè 'o pizzo suio. Ma quanno, quann''o purtarrà nu sordo 'int''a casa? Maie?...
S'aveva 'mparà n'at'arte?...
Se 'ncapricciate ch'aveva fa' 'o pittore, l'artista, 'o nguacchia tela... Ma aggio paura ca Biasiello nun sarà buono manco a ianchià na cucina...
'O ccride tu!
Pecchè, m''o vuò chiammà artista?.. Pulecenella saglienno 'e scale d''o Tribunale dicette ca era avvucato.. Accussì figlieto. Pecchè va a ll'Istituto 'e Belle Arte è addiventato artista... Comme si p'essere artista, bastasse 'e purtà 'o cascettino d''e culure e 'o ciuffo 'a malandrino!.... Comme va ca nun ll' 'e' chiammato addirittura prufessore?...
Nun esaggerà... Biasiello s'è purtato buono, e 'st'anno, certamente farrà na bella figura. 'O quadro suio...
Ha fatto nu quadro?...
E quanto è bello!... E ce ha miso 'o titolo: «I lazzaroni».
Ha saputo scegliere!... 'E cumpagne suie...
Mammà, tu si' malamente a parlà accussì.
Vattè... ca chillo è nu scugnizzo!... Ha pigliato tutto d''o pate. Da chillo... (Si batte la mano sulla bocca).
(Con risentimento) Mammà!...
'O difienne?.. Faie buono!.. Che se n'è fatto? Te lasciaie accussì...
Chi sa, se nu iuorno...
Io tengo 'e capille ianche... e l'uommene 'e ssaccio 'a dinto e 'a fora...
Ma Pauluccio nun n'avete colpa; fu 'o pate. E tu 'o ssaie, ca 'o mannaie fora...
Che me vaie cuntanne tu... Già, 'a colpa fuie tutta d''a toia.
È overo, 'a colpa fuie tutta d''a mia... ma, io ero na guagliona,.. tenevo appena dicessette anne.. e a chell'età manca 'o iudizio... Dio accussì ha vuluto! E po'... che pozzo pretennere cchiù 'a Pauluccio?..... (Indicando la camera da letto) E chella peccerella? Comme farrìa nu iuorno a dirle: Saie.. patete fuie n'assassino... Saie, patete.. è muorto 'n galera?... Me fa scuorno d'essere stato 'a mugliera 'e chill'ommo T''o giuro!... Sarria stato cchiù cuntenta d'essere stata 'a femmena 'e tutte, ch''a mugliera 'e n'assassino...
Ma, Assuntulella, tene nu nomme...
Bello nomme!.. Ne po i' superba...
Ma 'o tene. Mentre Biasiello, è nu bastardo...
(Con scatto) Mammà!. Biasiello s''o farrà nu nomme, e nu nomme annurato... (Lungo silenzio).
(Fa capolino e resta sulla porta stringendo sotto il braccio la chitarra avvolta in un cencio colorato) Se po trasì?
Site vuie, 'on Giuvà...
Si, songh'io... (Si avanza).
(Lo guarda) Ma ch'è!. Stat'arraggiato?..
So' venuto pe' ve di' ca 'o nepote vuosto è assassino!
Pecchè, che v'ha fatto?
'O ssoleto... una d''e ssoie...
Chillo guaglione fernarrà malamente.... certo 'n galera.
'On Giuvà, abbadate comme parlate!...
Avite ragione... Vuie site 'a mamma e cierti parole ca se diceno 'int''arraggia fanno male... Ma, quanno io me veco sfracassà 'o strumento... (Svolge la chitarra dal cencio) Guardate, guardate cca che m'ha fatto...
Ma, nun sarrà stato Biasiello...
Isso!... Isso!. L'aggio visto proprio io quanno m'ha menata 'a preta...
Pecchè 'o difienne? Nun 'o canusce, tu, a figlieto...
Mammà, avite pacienza... No, io, nun ce pozzo credere....
Facite malamente a pigliarne 'e difese... Si vuie sapisseve cu che razza 'e cumpagne s''a fa... 'O signore ce scanza e libbera... sarriano capace 'e ve passà 'a revista pure 'int''e sacche...
'On Giuvà, fernitela! A figliemo io 'o canosco.... (Don Giuvanne fa spallucce)
E guaie a vuie, si Biasiello ve sentesse.
E se sape!. Ll'avarrìa dà 'o riesto appriesso...
'E' visto comme se retiraie aiere ssera? Ch''e panne stracciate e senza cappiello. E dicite, 'on Giuvà, 'sta preta pecchè v''a menaie?...
Avit''a sapè ca io passavo nzieme c''o cumpagno mio, don Alessio, nnanz'a ll'Istituto 'e Belle Arte, ca s'avarrìa chiammà invece delle brutte arti, quanno na morra 'e giuvinotte, ch''e cappielle a' sgherra, nce abbistaieno e accuminciaino a sfruculiarce: « Fate largo ai prufessori di S. Carlo! » Nuie zitte, e seguitaieme a cammenà p''e fatte nuoste... Quanno, tutte nzieme, ce sentimmo chiovere ncuollo na tempesta 'e scorze 'e purtuallo e aute purcarie... Nuie alluccàmmo, e chilli figlie 'e gran... (Si tappa la bocca con la mano) a ridere... a fa' ammuina. Alessio, 'o cumpagno mio, se vuleva menà aizanno 'o clarino cumme a nu mazzariello, io 'o mantengo.. e na preta.. puffete.. me sfunnaie 'a chitarra...
E po'?..
E po' che, 'onna Carmè?
No, dicevo... Comme iette a fernì?...
Iett'a fernì ca se ne fuiettero...
E pecchè, avite data 'a colpa a Biasiello?
Pecchè, 'o capo popolo era 'o figlio vuosto...
Ma chesta nun è na ragione pe credere c''a pretate l'ha menata figliemo. A' fine d''e cunte po'... si è stato Biasiello, ve pavammo 'a chitarra... e bonanotte...
Mo iammo buono!... 'A chitarra è overo ca era vecchia; ma vecchia comm'era puteva custà na ventenella 'e lire.
'On Giuvà.. vuie che dicite! Cu vinte lire n'accattate na duzzina...
'E cartone!... E vuie allora dateme chello ca vulite vuie. Che v'aggia di'?
Lassate primma c'addimanno a figliemo. Ma, abbadate 'on Giuvà... ca si nun è overo chello ca m'avite ditto, Biasiello nun se ne sta!.. Vuie 'o canuscite... Penzatece bbuono...
(Resta pensieroso, poi si gratta il lobo dell'orecchio) A me m'è parso...
(Con un sorriso) 'O vedite, comme ve ne venite: «A me n'è parso!» Allora, nun 'o ssapite cu certezza? Iucate a lana pierde....
A me, me l'ha ditto Alessio ch'è stat'isso.
Alessio?... Ma si chillo è cecato?
'On Giuvà, scusate, ma chesto nun è 'a vuie!...
Vuò vedè, ca mo, aggio pure tuorto?...
(A suo figlio) Sceta a chillo galioto.
(Si avvicina alla porta) Biasiè!. Biasiè! Susete!... Viene a cca!...
'O 'i cca! Sto truvanno 'o cappiello!...
S'è scurdato ca l'ha perduto... Che capa! che capa!
Viene cca, ce sta 'on Giuvanne 'o sunatore...
(Raccomandandosi) Ve ne prego, nun le dicite subbeto 'o fatto d''a chitarra... Pigliatelo c''o buono.. Chillo beneditto figlio tene certe mmane longhe, e io, nun mme ce voglio mettere a tuzzo..
Nnanze a me se starrà cu doie piede 'int'a na scarpa!
Sta venenno! V'arraccumanno, pigliatelo c''o buono... vedarrate ca cunfessarrà tutto...
(Senza cappello, con la giubba lacera ad una manica. Esce della porta a sinistra). Mammà, pecchè tutta 'sta pressa? (Vedendo 'on Giuvanne) Ah, pe stu viecchio rimbambito?...
Accuminciammo buono!....
Accussì rispiette 'e viecchie?... Ricordete ca 'on Giuvanne sta 'int''a casa nosta...
(Accostandosi a don Giovanni con atto minaccioso e sottovoce) E va bene!.. e va bene! Po' facimme 'e cunte.... Staie aparato!...
Di' 'a verità: che ll''e' fatto a don Giuvanne?
Io?... Niente!... Chi 'o canosce?
Sì, tu!...
(A don Giuvanne) Ah! vuie m'accusate? (Minaccioso) E tenite pure 'o curaggio 'e venì 'int''a casa mia?... (Alla madre) Oi ma'! Chisto v'ha ditto 'a verità?...
Ha cuntato tutto...
Ma comme vuleva isso?...
Di', si' stato tu a romperle 'a chitarra?...
Io?.. No!.. Fuie n'ato giovane 'e ll'Istituto... Ma, 'on Giuvanne, v'ha ditto ca nce offennette?
Chesto no.
'On Giuvà... 'o sentite?
Mammà, tu 'o ssaie si te voglio bene, e a te na buscìa nun 'a dico... Si, è overo ca lle menaieme 'e scorze, ma isso... (Gli si avvicina e fingendo di prenderlo per la manica della giacca gli dà un pizzicotto da farlo gridare) ma isso, ce chiammaie: Mariuncielle. Allora, uno d''e nuoste, offeso, cu nu caucio lle scassaie 'a chitarra...
Nun fuste tu, ca lle menaste 'a preta?
Qua' preta?... (A don Giuvanne minaccioso e facendo atto di mettergli un dito nell'occhio) Tu 'e' ditto ca so' stat'io?.. Di'?...
(Intimorito) Nonzignore, nun aggio ditto chesto... Ma chisto è nu diavolo scatenato!.
Biasiè, 'e mmane 'o pizzo lloro...
(A don Giuvanne) E mo, sa' che te dico? 'A ll'Istituto non ce passà cchiù... Arricuordate 'e solde che t'aggio fatto abbuscà ogne vota ca tu e chillu ietteco d''o cumpagno tuio veniveve a romperce 'e scatole... Guaie a te!.. Va a fa' bene a 'st'affamato...
Eccellenza!.. scusate...
(Dandosi dell'aria e passeggiando) E va bbuono!... Pe 'sta volta si prumiette 'e nun 'o fa' cchiù, aizammo 'a mano...
Chi te fa fa' 'o ferlocco?.. Quanno 'o miette nu poco e' iudicio?... Maie?...
Quanno chiovene passe e fiche secche!
Mammà, 'o vi'? ch'è isso...
'On Giuvà, a vuie ve piace d''o sentere?
A te po' te l'aggio ditto chello ca t'aggia fa'!... A chill'avanzo 'e spitale d''o cumpagno tuio nce aggia penzà nu poco meglio: V'aggia distruggere... uommene inservibili!
(Togliendosi il cappello) E io ve ringrazio!.. Ha cacciat''a sentenze.
'Nfamà nu figlio 'e mamma...
E già, dire 'a verità, vò di' 'nfamà 'a gente.
E mo sapite ch'avite 'a fa'? Venitece quanno meno putite a' casa mia...
E tu chi si'?... (A sua figlia) 'O siente? È asciuto n'ato patrone...
Biasiè, tu si' 'a disperazione mia!... (Ha uno scoppio di pianto).
Mammà, mammà mia!... perduoname... (Le accarezza i capelli d'oro) Comme so' belle 'e capille tuoie. Hanno ragione 'e chiamarte Trezza d'oro.. Pure papà te chiammava accussì. (Trezza d'oro singhiozza nel cavo delle mani) No... nun chiagnere!... (Minaccioso verso don Giovanni) Tutto pe colpa toia... Ma, guaie a te!...
Biasiè.. no.. nun voglio!... Stu penzà tuio te purtarrà sfurtuna.. Tu si' grussiciello e' è 'a mettere iudicio. . . Cca, dinto 'a 'sta casa manca 'o capo 'e famiglia.. e tutte 'e speranze mie so' mise ncuollo a te!
'O voglio vedè stu iuorno...
(Sicuro e con alterigia) Si, mammà!.. Venarrà stu iuorno, e tu p''a priezza me stregnerraie 'int''e braccia toie... (Si asciuga una lagrima) Io nun songo malamente, comme me credite. Io.....
(Lo abbraccia e lo accarezza) No, no! Nun te voglio vedè chiagnere...
(Quasi commosso) Fernitela!. Mo me metto a chiagnere pur'io.
(Gli calpesta un piede) Cuccutrillo!
(Zoppicando con dolore) No, chisto è diavolo!.. È diavolo...
Bebè è in casa?
Sissignore!
V' è il portavoce?..
(Indica il portavoce) Numero tre...
(Si avvicina al portavoce) Eccolo! (Toglie il fischietto e soffia nel portavoce, quindi rimette il fischietto a posto. Aspetta. S'ode un fischio. Toglie ancora il fischietto e parla) Con chi parlo?... Con Bebè?... Benissimo! Non avete conosciuta la mia voce? Io sono il Marchese del Fiore! (Biasiello si soffia fortemente il naso facendo trombetta! Il signore lo guarda irato) E così?.. Non mi fate comprendere nulla.
(Facendo lo gnorri) Tengo nu catarrone... tengo!
Vuol fare una passeggiata?.. Le manderò la vittoria.. No?.. Ha da fare?.. Come?..
(A don Giuvanne) E accussì che state a fa' llà 'mpalato?
Me ne cacce?. . .
(Nel portavoce) Non sento! Qui in portineria si parla... (Si rivolge a Biasiello) Vi prego un po' di silenzio... Ma questa non è la maniera...
(Con rimprovero) Biasiè!...
Ma ched'è! Manco parlà se pò?... Sto o no 'int''a casa mia?..
(Con risentimento) Allora perchè mettete quì i portavoci?
Ce l'avite 'a dicere 'o patrone 'e casa.
Biasiè, tu nun tiene nient''a fa'?
Vurria pittà nu quadretto; ma cca ce sta poca luce.. Aggio fatto na penzata...
Sarrà certo na penzata d''e ssoie...
(A don Giuvanne) Aspè.. ca te voglio fa' 'o ritratto...
A me?.. Tu? E si bbuono?
Pecchè, nun me faie capace?
Nun dicevo chesto...
(Al signore che aspetta per poter parlare al portavoce) Scusate, signò. Biasiè, 'o signore ha dda parlà. Statte nu poco zitto...
(A don Giuvanne) Vaco a piglià 'o cassettino d''e culure e 'o cavalletto e vengo subeto. (Esce a prendere l'occorrente per dipingere).
(Al signore) È nu diavolo, chillo guaglione..
(Nel portavoce) Perdonatemi; ma non è colpa mia se non ho udito... Dite?.. Ah! Ho capito.. Sarà per un'altra volta.. Posso venire questa sera?.. Grazie!.. Sì, sì, verrò subito... (Rimette il fischietto al portavoce).
(Al signore) Signò, scusate... Chillo guaglione tene argiento vivo...
È abbastanza malcreato.
Ve cerco scusa...
Lo mandi alla scuola. Imparerà ad essere un pò più educato.
(Ritornando) Mammà, ma pecchè pierdo 'o tiempo a parlà cu chisto?
(Minaccioso) Insolente!.. Tu sai con chi parli? Ridicolo!
(Afferrando una sedia) Ve perdono 'a parola, sulo pecchè state 'int''a casa mia..... si no...
Se no?..
Ve l'avarria fatto annuzzà 'n ganna... (Don Giuvanne lo trattiene) Mmece 'e fa' 'o giuvinotto, 'o checco, vedite 'e metterve 'ngrazia c''o Pateterno... Nun 'o vedite ca state cchiù 'a llà, che 'a cca?
Me la pagherai!.. Insolente!.. Scostumato!.
Biasiello! Biasiello!...
(Al signore) Tu vuò nu cunziglio d'amico?... Si me truove p''a via, avota strata....
(Al signore) Sentite a me, avutate strata... Va 'a penna a fa' vulà 'e pprete...
(Il signore esce minacciando) Ci vedremo.
(Gli grida dietro) Quanno vuò tu!.. marchese 'e stu..... stivale.
Tu ce ne farraie caccià d''o patrone 'e casa...
(Alla figlia) Lass''o fa'!.. Chillo ce porta tutte chille solde cu ll'arta soia.. È ghiusto... Mo fa pure 'o rre cumanna scoppole..
Ma comme, io aveva vedè a mammema ca cercava scusa a chillo viecchio pittato?
Si' stato tu! Si' stato tu!
Doppo ca isso m'ha sfruculiato..
(Con calma) Ma tu, nun ragione...
Tu nun capisce 'o riesto 'e niente, e statte zitto!...
(Sempre pauroso) È comme dice tu!... Sissignore, àve ragione Biasiello...
(Alla nonna) 'O vedite c'aggio ragione? (Dispone il cavalletto, vi appoggia una tela e prepara la tavolozza con i colori) E po', a me, me secca 'e vedè a mamma mia suttumetterse. 'A mamma 'e n'artista ha dda essere superba, orgogliosa.. tanto pe nu poco 'e rispietto a ll'arte! (La madre lo bacia con affetto).
Tu 'o 'mpare malamente!
tutt''o pate!.. Tutt''o pate!
(Rimane pensoso) Patemo?... Tu me dicive ch'era tanto bbuono...
Tanto buono!... Sì, è overo.
E murette luntano. In America, è ovè?
Sì...
(Alla madre) Ah, no!.. Nun te voglio vedè chiagnere.. Songo nu 'nfame.. (Si asciuga le lagrime).
(Commosso) Me facite chiagnere pure a me.
Zitto!.. Cuccutrillo!...
Guè, ma ce l'ave proprio cu me!... Mo me ne vach'io...
Te ne vaie? E 'o ritratto?...
I' m'aggia abbuscà 'a iurnata...
Ecco cca!.. (Lo fa sedere) 'Inta n'ora, te prumetto 'e farte 'o capo ritratto!
Vedimmo che sape fa' 'o pittore! (Biasiello si mette all'opera).
Mo esco nu mumento pe vedè d'asiggere chelle poche lire d''a signora 'e de Mari... 'Int''a casa nun ce sta 'a croce d''o centesemo...
Pecchè, nun 'e cirche a ffiglieto? Tanta fummo...
Nonò, venarrà, venarrà, stu iuorno.
Fosse vocca d'angelo 'a toia!
Chi 'o ssa se 'o vedo stu iuorno...
No',.... tu aie da campà cient'anne.... (Si alza e l'accarezza).
Va, ca si' nu ruffianiello!... (L'abbraccia e lo bacia),
'A pace è fatta... Mo so' cchiù cuntento.
Ma io me stanco a sta accussì 'mpalato!
Ancora aggia accumincià...
Vi' che pacienza! (Trezza d'oro entra in camera).
(A don Giuvanne) 'O cumpagno tuio 'a fa tarde?...
Chi sa che lle sarrà succiesso.
(Esce dalla camera avvolta in uno scialletto) Mo torno. Mammà, si 'a piccerella se sceta datele 'o bibberò...
Pe chesto ce penzarrà 'on Giuvanne...
Io?.. E sulo 'a nutriccia aggia fa'! (Trezza d'oro esce. A donna Carmela) 'A piccerella sta malata? Che tene?...
E 'e che manera! Trezza d'oro, nun 'o ssape.. Se penza ca è na cosa 'e niente...
'O miedeco l'ha vista?..
'O miedeco, ca ieva ncoppa d''a maestrina, so' cinche iuorne ca nun se fa vedè... E fuie isso ca me dicette c''a piccerella se ne puteva i' da nu mumento a n' ato.
E chesto, a mammà, ce s'aveva di'..
Sicuro!.. È ghiusto!..
Si nun ato farcelo capì a poco 'a vota... (A don Giuvanne) Statte fermo!... Nun te movere!...
(A Biasiello) E tu, comme iesce accussì stracciato, senza cappiello?..
L'aghe pecchè ce stanne?.. P''o cappiello nce arrangiammo...
Dice tu: ce sta mammema ca ce penza!...
No.. Si venno a' Promotrice te faccio vedè che bello «Bursalino» ca m'accatto. (A don Giuvanne) Te vuò sta cuieto?.. Tu tiene 'arteteca!
Guagliò, io me stanco!.. Fa' ampressa!...
(Con un paniere di verdura) Bongiorno, 'onna Carmè!..
Nannì... si tu?...
Chiammateme ciuccia, 'nvece 'e Nannina! Pe na miseria vonno tenè 'a serva c'ha dda fa' pure 'a cammarera... I' scopo, io faccio 'a casa comme a nu specchio, i' faccio 'a spesa, servo a tavola e accumpagno pure 'a signurina a' passiata... E po' me s'ammenaccia ora e mumento, 'e cacciarme sott''o colpo.
Nannì, nun ve lagnate...
Già, vuie parlate bello, pecchè nun sapite che schiattamiento 'n cuorpo! 'A
signurina se crede 'avè che fa' sempe cu 'e sculare... Ma nu bellu iuorno 'a nchianto, e me ne vaco.. È na schifezza!!... (Va al portavoce e vi soffia dentro con dispetto) Guardate cca, me fa aspettà c''o pisemo che porto...
Si nun sbaglio, vuie 'a cesta l'avite pusata 'n terra!
'On Giuvà, vuie che facite? 'o sunatore?... E penzate a sunà... si sapite sunà!...
Firme 'sta ricevuta!.. Ma comme? t'aie 'a 'ntricà sempe d'affare d''a gente? Abbada 'e guaie tuoie!...
(Impaziente) Uffà!!...
Nannì, avite tuorto!... Nun ve lagnate d''a patrona vosta. 'A maestrina è na bbona figlia, ca se fatica 'a vita soia.
Diece lire 'o mese e nu muorzo 'e magnà... Miseria bella nun m'abbandunà!... (S'ode il fischio del portavoce) Signurì, acalate 'o panaro, o aggia saglì?... (A donna Carmela) Che v'aggio ditto?.. Pozzo saglì cu tutta 'sta robba?...
Nu poco a' vota s'arriva 'mparaviso!
Si na femmena ce trase, chella aggia esser'io...
Cu tutte 'e panne, Nannì?...
E pure cu 'e scarpe, si attocca! (Prende il paniere e fa per uscire) Bona iurnata, 'onna Carmè!... (Ritorna) E .. 'a piccerella, comme sta?...
Sempe 'o stesso!.. Salutateme 'a signurina, e ringraziatammella d''o penziero c'ha tenuto.
Era essa c''o vuleva sapè...
Io l'aveva capito!
Ve saluto! (Esce)
(A Biasiello) Vi' che lengua!.. E na limma.
Fa 'a serva...
Se dice ca tutte 'e femmene 'e servizie so' smaledette 'a S. Pietro...
E 'o pecchè 'o sapite?...
Chesto no. Accussì dice 'a gente.
'A saccio io 'a ragione...
E sarrìa?
S. Pietro, primma d'essere chillo santo ca è, faceva 'ammore cu na serva...
Comme, vuleva bene a na serva?...
Propio! Ma nu iuorno, chesta 'o tradette cu nu centurione, nu surdato rumano, a 'o quale, S. Pietro, lle tagliaie na recchia quanno iette a arrestà Gesù Cristo 'int'a ll'uorto.
Scummunicato!... Statte zitto!... Chesto è peccato!...
Mo capisco!... L'avetta ricanoscere e se vennecaie.
Nun sulo chesto: ma quanno avette 'e cchiave d''o Paraviso, ne cacciaie tutt''e sserve. Ecco pecchè se dice ca 'e femmene 'e servizio so' smaledette 'a S. Pietro...
Vi' che vò di' leggere 'e libbre!...
Bella cosa! S'addeventa turco.....
Pecchè, vuie nun 'o ccredite 'o fatto 'e S. Pietro?...
Una avarrìa essere nu scemo comm'a vuie, pe credere a sti pallune...
(Entra e si toglie lo scialletto e dice alla madre) Niente!...
Niente?... E comme?...
M'ha ditto 'e turnà 'int''a semmana...
Pe na miseria!... Nun te disperà...
Si me dispero è pecchè nun ce sta nu sordo 'int''a casa.. E si a' piccerella le serve quacche cosa?...
Sperammo ca no.
Ha chiagniuto?...
No, mammà. Nemmeno nu strillo...
Mo veco 'e me fa' dà quaccosa 'e sorde d''a mercante...
L'avimmo 'a dà paricchio.
Vaco a vedè 'a criatura...
Povera mammà!.. (A don Giuvanne) Statte cuieto!.. N'ato mumento e aggio fernuto...
Ah, figlia!... Figlia mia!...
(S'alza di scatto) Ch'è succiesso?... (Fa per entrare in camera, ma si incontra con la madre pallida ed agitata).
(Ha uno scoppio violento di pianto) Morta!.. Morta!...
(Portandosi le mani alla testa in alto di disperazione) Figlia mia!.. E comme è morta?. Accussì? Senza nu lamiento?... Figlia mia bella!!....
(Si precipita nella camera e ne riesce subito, esultando) No, mammà, no! È viva. È viva!...
Viva?...
Sì!... Sì!... Quann'io so' trasuto ha apierto ll'uocchie...
(Conclusa, fa per entrare nella camera) Tu nun me 'nganne?.. È 'a verità?...
Ma sì!... T''o ghiuro!... (Trezza d'oro entra nella camera).
(Dondolando la testa) Chi sa, qua' iuorno, ce resta sotto a una 'e sti mosse!.. 'O miedeco m''o dicette..
Sperammo 'e no!
(Con gioia entra) È viva!.. È viva! (Alla madre) Comme me sbatte 'o core! Mammà, valle a dà n'uocchio.. Nun me fido d''a vedè accussì sbattuta...
(S'alza a stenti) Ah, gamma benedetta!.... Me s'è addurmuta... (Entra in camera zoppicando).
Lassammo sta... Sarrà pe n'ata vota... (Toglie ogni cosa e lo depone in un angolo.)
E Alessio nun se vede. Che lle sarrà succieso?...
E tu, nun vaie a' scola?...
(Con imbarazzo) Nun teng''o cappiello... (A don Giuvanne) Me prieste 'o tuio?...
E io?...
(Ha un'idea. Va alla rastrelliera delle lettere e prende un giornale) Ecco ccà! A tutto ce sta 'o rimmedio, sulo a' morte no. (Piega il giornale a forma di cappello, come quello che usono i pittori da camera).
E bravo!... Pitta pittò!...
Nun è cappiello pure chisto? Me pigliarranno pe nu pittore 'e stanze, e che fa?... Sempe pittore songo...
Addò vaie?..
Vac''a scola e torno subeto (Esce di tutta corsa).
È nu buono figlio...
Peccato ca tene 'e mmane pesante...
E vuie, 'on Giuvà, nun me sapite cunziglià nu mezzo pe fa' denaro?...
Sora mia, si 'o sapesse, nun starrìa cca...
Nun pozzo fa' manco nu pigno... Nun tengo manco ll'uocchie pe chiagnere... E si me capita na disgrazia? E si aggia chiammà 'o miedeco?
E chi ve dà tuorto? Ma, 'e denare mancano proprio quanno uno 'e va truvanno... (Appare sotto la porta Aniello).
(Col sacco dei capelli) 'A maestrina sta ncoppa?...
Putite saglì. (Pausa) Pecchè me guardate, aniello?...
Guardavo 'e capille vuoste. Pareno d'oro...
Ve fanno gulìo?... No pe niente, 'o vicinato, 'a chiamma Trezza d'oro.
V''e vulite accattà?... Mo me truvate 'e genio.
Pazziate?... Pazziate pe cient'anne... Ce vonno e miliune, ce vonno.
Quanto m''e pavate?.. Sentimmo.
Nu tesoro!...
Aniè, nun mme tentate. Ca i' so' capace 'e m''e vennere overamente.
Vuie pazziate!...
Vulimmo fa' 'st'affare?...
I' so' sicuro ca nun m''e darrisseve manco pe tutto ll'oro d''o Munno... Ve saluto! (Esce e sale dalla maestrina).
Trezza d'oro!... Trezza d'oro!... Viene, c''a criatura se sbatte... (Trezza d'oro si precipita nella camera).
Nun v'allarmate... Nun v'allarmate!... (Resta a guardare sulla soglia. Rientra Trezza d'oro sconvolta, pallida) 'A piccerella?...
Na mossa!... Madonna e che pena!... Me more!... Nu miedeco!... 'On Giuvà, currite vuie... (Cade su d'una sedia) Figlia, figlia mia!...
(Resta immoto, tenendo in mano un cappello a cencio, sotto la porta) Mammà!...
É Dio ca te manna!... Curre o' spitale 'a Pace... Nu miedeco!.. subeto!...
Corro!... 'O primmo ca trovo, 'afferro e 'o porto cca!...
Curre!... Fa priesto!... (Biasiello esce).
Mammà, calmateve, sarrà una d''e solete mosse. Nun ve spaventate...
Che paura!... Madonna!... Madonna!...
(Vedendo il compratore di capelli che scende lo chiama) Aniè!... Aniè!...
(Sulla soglia) M'avite chiammato?...
Si... Trasite... (A don Giuvanne) 'On Giuvà... iate a vedè 'a piccerella... Mammà è vecchia... Io mo vengo... (D. Giuvanne esce).
Tenite 'a piccerella malata?...
I' campo 'e palpete e paure...
A che v'aggia servì?...
(Risoluta) Ve voglio vennere 'e trezze... Pigliatevelle...
Dicite overo?... Vuie pazziate!...
(Sciogliendosi le treccie) Facite ampressa... Tagliate!...
(Cava dalla saccoccia le forbici) Me manca 'o curaggio...
Ch'ommo site?.. Ve site pentito?
Io?... 'A parola è una...
(Agitata) Tagliate! Facite ampresso!...
Ve dò diece lire?...
E quanno tagliate?
(Le taglia le due treccie) È fatto!... Chesto so' 'e diece lire. (Trezza d'oro si copre il capo col fazzoletto di seta che ha alla gola. Si asciuga una lagrima e cade sulla sedia. Aniello la guarda ad esce, facendo una scrollatina di spalle. Trezza d'oro fa per entrare nella camera, ma s'incontra con don Giuvanne) 'A piccerella?...
Calmateve... Dorme ca pare n'angelo...
aggio fatto 'e sorde p''o miedeco...
Brava!.. E comme avito fatto?...
Po' v''o dico!...
(Rosso, affannato entra in portineria) Sta venenno! Mo vene!...
Addò stà?...
So' venuto 'e tutta corsa pe t'avvisà... E 'a piccerella?
Sta meglio!...
Respiro!.. 'E' 'a vedè che bell'ommo, e che bella maniera ca tene. Appena ll'aggio ditto 'e che se trattava, ha pigliato 'o cappiello è m'ha ditto: Va tu, ca io mo vengo. (Va alla porta) Sta venenno!...
(Dà il cappello ed il bastone a Biasiello). Dov'è la bambina?
(Lo fissa lungamente) Sta cca... (Indica la camera).
È rinvenuta...
Che cosa soffre?...
(Interrompendo) Vedite Duttò... Cca se tratta... (Biasiello lo tira per la giacca) Tu che vuò?
(Sottovoce) Nun te fa' canoscere...
Soffre 'e cunvulsione... Fa paura, se sbatte tutta... Pare che allora allora me mora!
Non vi spaventate... Noi la guariremo.
Vulesse 'o cielo!...
La bambina è di là?... (Indica la camera da letto).
Si.. Ve faccio strada... (Entra nella camera, il medico la segue).
'E' visto, comm'è educato chillo signore?.. Appena è trasuto s'è levato 'o cappiello, mentre tu trase comme a nu ciuccio...
Che vuò dicere?... Cu vuie ce stà 'a cunfidenza...
Ma chi t''a dà 'sta cunfidenza?...
(Vedendo il cappello a cencio) T''o si fatto a' scola?... (Fa il gesto di rubare).
Pe chi m''è pigliato?... Dillo n'ata vota!.. (Con serietà) Quanno piglio e mm'arrubbavo... N'aggio truvato uno ca me ieva buono, e me l'aggio miso...
Aggio capito... Nun te l''è arrubbato, ma te l''e' pigliato... Si nun è zuppa è pane 'nfuso...
(Vedendo venire la madre e il medico) Zitto! Vengono 'a chesta parte.. Eppure chillo signore è tale e quale...
(Curioso) A chi?...
Nun t''o voglio di'... Schiatta!!...
Me l'assicurate Duttò?...
Buona donna, noi medici, possiamo combattere un male, ma, non possiamo mai assicurarne la guarigione. La natura può più d'ogni altra cosa.
Cioè... Dio!...
(Con un sorriso) Propio... Dio può far tutto...
Allora ce sta 'o pericolo?..
No; ma ci vorrà del tempo...
Lassate fa' a Dio... Chillo sape chello ca fa!
Ha parlato 'o filosofo!... (Paolo lo guarda e gli sorride) Che ne capite vuie?... E vò sempe parlà!...
(A Trezza d'oro) Ha dello spirito questo ragazzo... È vostro figlio?...
Si, m'è figlio.
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(A Biasiello) E ti chiami?
Biasiello!
Operaio?...
Mammà nun ha voluto farme 'mparà nu mestiere... Studio 'a pittura...
Bravo! Sei un artista?... Vai all'Istituto di Belle Arti?...
Si. E chist'anno, aggio pure esposto nu quadro...
Ma bravo!... (A Trezza d'oro) Vi raccomando di fare spedire la ricetta..,
Biasiè, lasciace nu poco. Aggia parlà c''o Duttore... Te chiamm'io.
(A don Giuvanne) Avanti!... Marscè!...
Pur'io?..
Pe nu mumento.
È giusto! (Prende la chitarra e dice a Biasiello) Allora vengo cu tte?
Jammo a fernì 'o ritratto... (Prende dall'angolo il cavalletto e la cassetta dei colori, e la tela).
Ma quanno sarrà fernuto, m''o daie?
Se capisce!... Viene!... (Lo spinge nella camera da letto).
(A Biasiello) Zitto, zitto!... T'arraccumanno..
Duttò, permettete!... Quando nun tenite che fa'... ve faccio pure a vuie 'o capo ritratto. Ve dispiace?...
Sì, volentiere. (Biasiello e l'altro escono).
(Lo fissa in volto) Guardateme!...
Perchè vi debbo guardare?
Guardateme! (Gli si avvicina)
(Impallidisce, trema ed esclama) Trezza d'oro!!.. Trezza d'oro!!... Trezza d'oro!!.. (Cade tra le braccia di Trezza d'oro. Lungo silenzio).
(Poi con un gesto rapido lo allontana) No!... No!... Polo, figliemo sta llà...
E che mmale ce sta?..
Po venì... Biasiello nun sape niente. Sa ca 'o padre è muorto...
Biasiello m'è figlio? Ma io so' libero...
Mo vulennolo, nun 'o putarrìa cchiù...
Pecchè?... Chi t''o proibisce?... Ah!... Cchella piccerella?...
No, nun penzà a male... Chella piccerella l'avette cu maritemo...
Maritata?...
Si; ma mo, so' vedova...
(Con gioia) Allora si' libera?
E tu, t''ha spusarrisse 'a vedova 'e nu galeoto?... Diventarrisse 'o pato 'e chella piccerella?...
(Resta pensieroso) Ma Biasiello m'è figlio!...
T'è figlio... Ma quanno l'avarrie ditto: «Saie.. i' te so' pate» l'avarraie ditto pure chello ch'è stata 'a mamma... No!. Paolo, no!. Tu nun 'o può vulè stu sacrificio... Tu nun mm''e' a dà stu scuorno, nnanze a figliemo...
E tu, può rinunzià a non vedermi mai più?...
L'ammore?... L'ammore è muorto. Nun esiste cchiù... Tu, mo' nun spusarrisse Trezza d'oro, no!... Ma, spusarrisse sulo 'a mamma 'e Biasiello.
Non è vero, no!...
No, nun di' buscìa...
Perdonami!... Perdonami!...
Te perdunaie da chillo iuorno ca nascette Biasiello...
(L'abbraccia e la bacia in fronte) Oh! se tutte le donne ti somigliassero... Si' 'n angelo!...
'E' sufferto?
Molto... (La guarda con gioia) Oh! quei giorni!.. Tutto passa!.. (Fa per togliere il fazzoletto dalla testa) Fammi vedere i tuoi capelli d'oro.. Ti ricordi... Quanno te mettette 'o nomme 'e Trezza d'oro...
E me remanette. E mo tutte mme chiammeno accussì.
(Insiste) Famme vedè le tue belle trecce d'oro...
(Con spavento) No!.. No!.. Lassa sta!.. Nun boglio!..
Perchè?..
(Con dolore fa cadere il fazzoletto) Guarda!
Ch'è fatto? Pecchè?...
'A piccerella mureva... e io nun teneva comme pavà 'o miedeco...
Tu si 'n'angelo! 'N'angelo! (Si abbracciano. Trezza d'oro abbandona il suo capo il suo capo sulla spalla di Paolo. Dalla camera da letto giunge la Ninna Nanna, cantata dalla vecchia).
— Stu piccerillo è nato a ll'ora bona:
ora ca 'n cielo la messa se sona...
— Stu piccerillo è nato a ll'ora santa:
ora ca 'n cielo la messa se canta!
(Durante la cantilena, la tela scende lentamente).
(Durante la cantilenal, la tela scende lentamente).
Napoli, 20-25 agosto 1893.
A
G. Antona-Traversi
Salvatore.
Totonno.
Carmela.
Peppeniello.
Aniello.
'On Gennaro.
Gaitanino.
'O piantone
Na guardia 'e P. S.
La camera di sicurezza, umida, oscura e malsana.
In fondo, sulla sinistra, una porta ferrata; sulla destra si stende fino alla parete, il «tavolaccio» sul quale dorme Peppeniello, un ragazzetto di otto anni. Egli nel sonno ha qualche lieve singulto. A tratti a tratti si lamenta anche. Salvatore, che veste ancora l'abito del galeotto, è seduto sulla sponda del tavolato, fuma e guarda con occhio di commiserazione il ragazzo dormiente.
Aniello, passeggia su e giù per la camera, con le braccia incorciate, e con la testa abbassata sul petto; fa le volte del leone e fischia insistentemente.
Da una finestra, in alto, custodita da una forte inferriata, entrano i primi barlumi dell'alba, un'alba uggiosa e triste senza fine.
'E' pigliato l'acqua a passà? 'A fenisce cu stu sisco?
(Con ironia) Scusate: nun sapevo ca 'o sisco mio tuccava 'a nervatura a vostr'eccellenza!
(Scattando) Animale! Nun 'o vide ca 'o guaglione dorme?
Ma che, v''e figlio?
Nun me seccà! (Aniello seguita a passeggiare ed a fischiare. Salvatore s'alza e con impeto l'afferra per la gola) Te rompo 'a faccia, pe quant'è certo Dio!
Chià, chiano!... Tenit''e mane 'e fierro... Che d'é, nun 'o sapiveve dicere 'e n'ata manera?
Accussì se chiacchiarea cu tte.
Embè!... Che v'aggia dì'? Avite ragione!... Stammo cca dinto.. (La chiave gira nella toppa ed apppare 'o Piantone che sostiene 'on Gennaro ubbriaco fradicio).
Trase, e statte zitto! Cca, nun se chiacchiareia.
Felice notte! (Saluta attorno con la mano) 'A primma veppeta 'a dammo a chi ce ha cacciate!... Vevite, vevite sempe vuie!...
'I comme sta accuoncio!...
(Batte con la mano sulla spalla di 'on Gennaro) Amico, tu c siente, ca t'aie 'a sta zitto?...
Ma nun 'o vedite ca parlate cu nu peretto? (Aiuta 'o Piantone a fare sedere 'on Gennaro) Viene cca, assettete... Eh, accussì!.
E mo accuccia, si no te metto 'o taccariello mmocca e bonanotte!
(S'alza e mette un dito nell'occhio d' 'o Piantone) A me?... Io so' nu galantommo! Che vene a dicere stu taccariello mmocca?.... Avite capito ca io so' nu galantommo? (A Salvatore) A buoncunto che vò di' stu taccariello?
Ha ditto, ca te vò mettere 'a mussarola, si nun te staie zitto.
Ma che, so' fatto cane?
Iammo, statte zitto! Nun vide ca 'st'anema 'e Dio sta durmenno?
(A Salvatore) Scusate... Diciteme: chesta è lucanna? E 'o lietto mio addò sta? (Cerca il letto) 'O taccariello! Ma che vò di' stu taccariello?... 'O taccariello mmocca a un galantommo? Voglio vedè!...
Guè! Comme-te-chià?... Tu 'e' capito ca t'aie 'a sta zitto?
N'ata preghiera: 'A tenite na tazza 'e cafè? (Fa atto di recere).
Vide addò 'o ghiette!
Ma che, sto mbriaco? E chill'ato ca me vuleva mettere 'o taccariello mmocca! Io nu sto mbriaco, ma che saccio... me pare comme si avutasseme tuorno tuorno tutte quante. Songo io o nun songo io?... Masto, vevite pure vuie; doppo veve chi ce ha cacciate, e bevo pure io!... E bevo semp'io! (Cade sul tavolato).
Ma chisto overo è na peròccola!
Peròccola siete lei, brigatiè! Basta, nun fa niente; vevite pure ('o Piantone esce).
Embè, che d'è, ve ne iate? Chesta è n'offesa! (A Salvatore) Pe favore, tenisseve nu sicario? (Salvatore gli offre la pipa) «No, questa me disturba; e poi v'ho pregato ca io so' nu galantommo. Voi per chi mi avete preso? Voi mi conoscete? »
'On Giesuè! durmite, si avite 'a durmì.
Ma io ve voglio dicere chi songo io... Sulo Linardo avrei potuto fare quello che ò fatto io mmano a Francisco! Eh, staie lustro! Ogne vota ca me vedeva 'o Re erano pezze!
Ma quale?... Chelle ca tiene 'o cazone?
(Si alza per mostrare che pezze non ne ha) Io so' nu galantommo! Pezze nun ne tengo!... (Nel mostrare il calzone, cade)
E staie buono lloco! (Si apre la porta. 'O Piantone fa entrare Totonno e spinge nella camera Gaitanino, che, non vedendo 'on Gennaro steso a terra, gli cade sopra).
'St'animale è muorto ('O Piantone) E vuie, nun sapite tenè nu poco cchiù 'e maniera? ('O Piantone gli ride sul muso).
(A Totonno) Scusate: dateme na mano... È mbriaco.
Ma che d'è, uno nun se po nemmeno mbriacà, pe se scurdà 'e guaie suie? (Totonno dà una mano a Salvatore per alzare da terra 'on Gennaro, che borbottando si gitta pesantemente sul tavolato. Gaetanino siede a terra, sulla sinistra).
Buon divertimento! (Fa per uscire)
Stanotte è trasuta 'e quaglie!
'E povere figlie 'e mamma, cca, nun mancano maie.
E pecchè nun dicite 'e ribusciate?
E vuie chi site, ca fate 'o zetiello?... Sott'a 'sta scorza, ca tenite ncuolla, ce stanno certi pelle p''o lietto!
Fate silenzio! Canaglia! ('O Piantone esce e gira la chiave nella toppa).
(A Salvatore) Vuie ascite?
Doppo diece anne!...
Vuie ascite e io traso.
'A Niseta?
A Niseta ce sta l'aria bbona.
Durmite, si avite 'a durmì!
All'ubberienzia! (Si addormenta)
Me chiammo Salvatore Merenda. Mammema venne 'a robba vecchia ncopp''e Fuosse.
'A canosco.
'A canosco.
Che n'è 'e mammema?... Parlate...
Che ve pozzo dicere?... È da paricchio ca nun 'a veco.
'A stessa risposta! Tutt'accussì! Ma diciteme, facitelo pe Dio!... Sapite quacche cosa? Fosse... morta?!
Che ghiate penzanno!
Tengo nu core niro niro... Me sento nu brutto presentimento!
E io?... Dimane hanno appuntata 'a causa mia, e chi 'o ssape si...
Ma c'avite fatto?
(Sottovoce) Aggio arrubbato! (Si nasconde il volto nelle mani).
Vuie?! (Si allontana con disgusto).
Ma nun pe me, no; ce so' stato furzato. Guardate, guardate sti mane, so' chiene 'e calle... Aggio faticato sempe tutta 'a vita mia. So' mane 'e mariuolo cheste?... Dicitelo! So' nu sventurato! Chesto songo io e nient'ato (Piange)
'I comm'è longa 'sta nuttata!
Oi mà!...
Povero guaglione!
(Che si è seduto sul tavolato, si volta e guarda il ragazzo) Se more 'e friddo! (Si toglie la giubba e copre Peppeniello) Accussì sta cchiù meglio!
(Si lamenta nel sonno) Papà! Papà! Nun mme accedite!
Parla nzuonno!.. (Guarda il ragazzo) Se sta scetanno.
Madonna mia! Addò sto?
Nun avè appaura!
E addò sta mamma? Addò l'hanno purtato? Teneva na ferita 'n capo... 'o sanghe le scenneva pe ncuollo.
Comme te chiamme?
Peppeniello.
E che l'hanno fatto a mamma toia?
Papà l'ha vattuta!
E a tte, pecchè t'hanno arrestato?
Nun 'o saccio!... M'hanno pigliato e m'hanno purtato cca.
Addò staie 'e casa?
Sott''e Caserte.
Povere figlie 'e mamma!
(Cavando dalla saccoccia del pane nero) Vuò nu poco 'e pane? È ancora chello 'e Niseta.
(Porta il pane alla bocca, ma lo lascia cadere sul tavolato) Nun ne voglio, no... Voglio a mammà mia.
E nun chiagnere. Dimane matina te porto io a' casa toia. Pulèzzete l'uocchie.
E me fanno ascì 'a cca dinto? Io nun tengo a nisciuno cchiù. Papà l'hanno purtato a San Francisco e a mammà 'o spitale d''a Pace.
E va buò, ce penzo io! Nun chiagnere cchiù.
Vuie site nu buon'ommo... Papà mio, nun è comme a buie. (Mostra la giubba) 'E chi è 'sta giacchetta? È 'a vosta? Pecchè m''avite misa ncuollo? (con un sorriso desolato) Nce aggio fatto 'o callo... Quante e quante notte aggio durmuto mmiez''a via, c''o friddo, c''o chiovere... Mammema chiagneva, e pateme me chiammava: «Figlio 'e... » e diceva 'a mala parola!
Che barbarie!
E a mammeta, 'a vuò bene?
Assaie! Chiagneva sempe, quanno papà me vatteva. E certi vote, quanno stevamo sule, diceva: « Perdonelo a papà tuio! Chillo, quanno sta bevuto, nun ragiona! » (A poco a poco si addormenta).
S'è addurmuto n'ata vota! Viato a isso!
'On Salvatò, aiutatelo, si putite, ca facite opera 'e carità.
Uffà!... Mo abboffo!
Che vutamiento 'e stommaco!
Vuie, site gente senza cuscienzia!
Ma vuie ne tenite figlie a 'e ccase voste? No? E allora stateve zitto!
'E figlie?.. Io? Maie, furtunatamente. Io campo d'aria e miseria. 'A state, dormo ncopp''e marciappiede; 'e vierno, 'int'a nu furno. Chi è cchiù felice 'e me?... Manco 'o Re!
E 'sta vita te piace?
A me? Si. Io strascino 'sta vita p''e strate 'e Napole, comme na mala femmena strascina 'a vunnella pe dint''a lota! (Un silenzio) Chella ca vuie disprezzate, a me piace... Campo? Nun me 'mporta comme...
Arrobbo? Embè! È nu peccato, forse? No, pecchè io arrobbo a chi ne tene cchiù 'e me.
Ma, si' sempe nu mariuolo?
Sì, è overo, m''o diceno tutte quante; e cchiù spisso m''o dice chi arrobba cchiù 'e me!
Va buò! Nun ne parlammo cchiù.
E pecchè? Io chello ca dico è 'a verità. Mo, m'aggio fatto piglià d''e guardie pecchè me murevo 'e famme. È l'unica carità c'avimmo d''o Guverno. Arrubbammo? Iammo 'a dinto, e magnammo. Comme vedite, pe gudè 'sta carità s'ha dda arrubbà a forza. E io arrobbo.
Va, ca si' n'ommo perzo!
Eppure, tu nun si' meglio 'e me! Tu viene 'a ll'isola. (Salvatore lo guarda con disprezzo) Tu me guarde? Che mme vuò venì a dicere? Ca forse 'e' acciso p''annore?... Pe na femmena, forse?
E che ne saie tu d''a vita mia?
'A vita toia è comm''a vita 'e tutte quante late. Se fa nu passo, se sciulia e bonanotte.
Io nun so' comm'a vuie...
Nun capisco chello che vuò di'. 'O cert'è ca viene 'a ll'isola. Dunque, quaccosa 'e' fatto, pe te fa' cundannà.
E hanno fatto bbuono! Io nun me lagno.
'A verità, io nun te capisco.
Tu, nun me vuò capì!
(Canzonatorio) Chi 'o diciarrìa ca è nu carcere? Pare na scola, chesta. (Canticchia:)
« Fronn'e vurraccia, »
« si nun te piglie a me te taglia 'a faccia! »
Tu nun si' nu gnurante. Tu si' nu scellarato!... Ma comm'è pussibile 'e nun vulè bene a nisciuno?
Ma, a chi aggia vulè bene, pe sapè?
Io voglio bene sol''a morte ca nun me chiamme.
E 'a morte s'è scurdata 'e te. E tu camparraie pe scuntà tutt''e peccate ch'è fatto.
(A Salvatore) Famme fumà!
(Con asprezza) No!
(A Salvatore) Dimane vuie ascite, e io passo 'o carcere.
Ah! tu pure si' d''e nuoste?
Addio, cumpagnò!
Sì, ma tra me e vuie ce passa 'o mare! Io aggio cercato 'a fatica comme se cerca 'o pane, vuie 'a cantina e 'a mala vita. A poco 'a vota, me vennette fino all'urdemo spruoccolo d''a casa, e na notte, m''o ricordo comme si fosse mo, cercaie 'a lemmosena, si 'a lemmosena; ma nun purtaie niente a' casa. Muglierema, 'e figlie mieie, chelle povere criature, m'aspettavano, allancate, affamate! I' traso, e me guardano. 'O cchiù peccerillo, Vicenzino, cu na faccia ianca comm''a cera, chiagnenno, m'afferra p''a mano e: — « Papà, me moro 'e famma! » Ah! chella voce fuie nu turmiento, na curtellata 'o core! (Un silenzio) Fuiete d''a casa comm'a nu pazzo. 'O primmo ca 'ncuntraie mmiez''a via, lle dicette: «Tengo quatt'aneme 'e Dio ca se moreno 'e famme! Dateme quacche cosa! » Ma chillo me rispunnette: « Si giovene, va fatica ». A chelle parole nun ce vedette cchiù. L'afferraie pe pietto; e lle sceppaie 'a catena. Pe chella sera 'e figlie mieie nun se muretteno 'e famme!... (Cade sul tavolato e si nasconde la faccia tra le mani).
Pover'ommo!
M''a gente 'ha capito pecchè te si' sacrificato?
A me pare ca no, pecchè t'hanno arrestato.
Che maraviglia! Nuie simme nate pe nce arrubbà l'uno cu ll'ato!
Comme 'e vote n'ommo se 'nganna! Cca dateme 'a mano!
Io ve ringrazio, 'on Salvatò. Sti parole so' parole sante!
E giudece però nun 'a penzano accussì!
'A gente 'e core po giudicá, no chille c'arapeno 'o libro da legge e sputano sentenze!
(A Totonno) Curaggio. Vuie che pena putarrate avè? Ve ponno cundannà a tre, a quatto mise, a n'anno, si pure! Io aggio sufferto diece anne. So' stato diece anne 'n galera. Pecchè me cundannaieno? me cundannaieno pecchè io m'avevo fatto giustizia! «Avite 'a sapè ca 'e genitore mieie, pe ve fa' capace a vuie, erano gente 'e basso ceto, ma ricche, e penzaieno 'e me mannà a' scola fino a strappantiello. Me vulevano fa' sturià pe farme addeventà nu piezzo gruosso; ma nn poco 'e cumpagne, nu poco 'a capa, ca nun steva a segno, svugliato, distratto, tutto nzieme cagnaie vita e bonanotte! Ah! Si m'avessero 'mparata n'arte, quanto sarria stato meglio!... Si, pecchè chello poco 'e leggere e scrivere m'ha fatto cchiù male ca bene... Io aggio acciso a muglierema, ma no comm''a femmena ca 'nganna 'o marito, ma comm''a femmena ca tradisce 'o bene, 'a passione, 'ammore! (Ai due ladri) Vuie ridite?... Già, vuie nun capite niente; pecchè nun avite mai vuluto bene a nisciune! Io aggio vuluto bene a chella femmena comm'a nu pazzo, e 'a voglio bene ancora, doppo diece anne ca l'aggio accisa. E me ricordo 'e rose 'e chella vocca... me ricordo 'e capille nire comm''a pece... ne tengo ancora nu cierro astipato, annascuosto dint'a 'st'abbetiello. Si sapisseve quanto aggio sufferto! Me credite? Io ne parlo e sudo friddo tutto quanto! (Totonno gli tocca la mano). Nun avite paura: è niente. Dunque, dicevamo? Se chiammava 'Ntunetta. Era na bella figliola, sempe allera, sempe... Pareva na rosa. E io l'aggio accisa! 'Ntunetta era na femmena perduta, e io, c''a vuleva bene, nun abbaraie nè a pregiudizie, nè a niente, e m''a spusaie, cu tutto ca 'e genitore mieie nun vulevano. E patemo, salute a vuie, ne murette p''o dispiacere. Pecchè m''a spusaie? Nun 'o saccio io stesso. Forse pecchè, spusannela, me pareva ca nun avesse avuto 'o core 'e me ngannà; e mme ngannaie! IO l'accidette, cu na botta 'e curtiello! Una! Una sola! 'A colpa nun fuie d''a mia... Io nun arragionavo cchiù... Io vedette tutto russo. Mme se cummigliaieno 'e sanghe! E nu zampillo 'e chello sanghe me schizzaie 'n faccia, Dio! che mpressione! So' diece anne e 'o sento ancora cca! (Si tocca la guancia destra) Io l'avevo già perdunato, crediteme, e quanno 'a vedette stesa longa 'n terra, cercaie 'e l'aiutà, chiagnette; ma 'Ntunetta era morta! Allora fuiette. Ma pecchè? Io m'aveva accidere vicino a essa. Nun l'avevo accisa forse p''ammore? Po' m'arrestaieno, nun me ricordo doppo quanta iuorne. E dint''o carcere, me menaie ncopp''o tavulaccio e m'addurmette. Pare ancora nu suonno! Po', comme v'aggio ditto, me cundannaieno a diece anne. Nun me ne so' lagnato, nè me lagno; m''o mmeretaie pe tanta ragione. 'E femmene comm'a chella nun se sposano. Pecchè, essa, tradenneme, facette 'o mestiere suio. (A questo punto bacia l'abitino e si asciuga una lagrima. Totonno gli si avvicina e lo conforta).
E chesto è chello ca s'ave doppo avè voluto bene a na femmena! Traruto, 'ngannato e pazzo! Ma, chisto, è nu pazzo che ragiona!
(Ad Aniello) T'è maie capitato 'e vedè na femmena pazza p''ammore?
No. 'A femmena fa uscì pazzo! (Peppeniello si lamenta nel sonno).
Stu povero disgraziato se sta lamentanno
Madonna! Chi site vuie? (Fa per alzarsi).
Nun te spaventà!
Che brutto suonno!
Che t''e' sunnato?
Mamma mia! Io nun ce voglio sta cchiù
cca dinto! Io me mette paura!
E pecchè te miette paura? Duorme, duorme
me. 'A cca a n' ato ppoco ascimmo. Duorme.
(Peppeniello si assopisce).
Pe chillo santo ca tenite 'n Paraviso, facitemillo vedè. Tengo 'e guagliune a' casa
ca m'aspettano. Pe pietà, p"e muorte vuoste,
facitemmillo vedè! Totonno!... Totonno!...
Andate, andate via! (Si sente il pianto di
Carmela).
Carmela! Carmela! (A Salvatore) È mu-
glierema! Chill'assassine m' 'a fanno murì.
È malata 'e core! (Scuote la porta) Apriteme! Apriteme!
Totò, songo io!...
Andate via! Andate via!
(Con sdegno) Assassino! Ommo senza core!
(Piange a singulti).
Chella c'avite fatto vuie è cosa 'e niente.
'A gente 'e core ce stanno ancora. Crediteme:
ll'uommene non so' accussì malamente comme se dice!
LI' uommene? Ma nun già 'e giudece!
Ave ragione: chi cundanna nun è n'ommo. Pecche nisciun' ommo tene 'o deritto 'e cundannà a n'ato! Chi ce 'o dà stu deritto,
pe sapè?
Siente, siè, che filusufia!
Che d' è , nun te cummiene? 'A vocca
pecchesta è fatta : pe parlà.
Se capisce: pe parlà e pe...
E pe ghiastemmà!
È giusto... Ha parlato 'o galantommo, ca
vene 'a ll'isola.
(Con scatto) Tu sì' na carogna! Tu si nu
mariuolo, e pe chesto tutt' 'a gente te fuie
oomme nu cane rugnuso!
'O saccio, e me fa piacere!
Dimme: tiene ancor' 'a mamma toia, tu?
(Si turba e guarda Salvatore con ira) Mammema ? E pecchè? Che vuò dicere?
Rispunne: 'a vuò bene?
Nu l'aggia dicere a tte!
Eppure, te se legge 'n faccia 'o rimorso.
Parla: 'a vuò bene a mamma toia ?
Feniscela! T' aggio ditto: feniscela !
Ah! Nun vuó ca se ne parla? Chi sa
quanta vote l'avarraie vattuta, scellerato!
Statte zitto! Statte zitto! (Si rintana con
spavento in un angolo dal camerone).
Essa accussì te chiamma: scellerato!
Statte zitto! Statte zitto!
No. Quanno iesce a libertà, mènet' 'e piede
'e mammeta e cerchele perduono.
Zitto! zitto! ca tu m'accide!
Embè, io credo che tu, primm' 'e fa' 'o galiota, facive 'o prerecatore.
Io faceva l'ommo onesto! Tu no, pecchè
tu 'e' arrubbato sempe.
(Minaccioso) Abbara comme parle, pecchè...
Carogna! (La porta si apre ed entra 'o piantone con una guardia di P.S, in borghese).
(A Gaitanino) Che d'è, me faie 'o cammurrista?
(Cava le manette) Iammo! Damme sti mane.
(Sentendo dolore) Ah! Nu strignite.
Andiamo! (Vede Aniello) Ah! tu cca staie? E bravo! n''e' fatto n'ata?
'O ssà? è venuta mammeta e ha dimmannato 'e te.
Quanno?
Mo, poco primma.
(A Gaitanino) Iammo, galantò! (Esce con Gaitanino).
Si torna, dicitele ca venesse dimane a' Pretura. Aggiate pacienza.
Cu stu friddo? Ah, puvurella!
Bona notte! (Esce).
(A Salvatore) E vuie, restate ancora cca?
Forse a n'ato poco me purtarranno nnanze add''o rilligato.
(Sospira) E accussì, ve ne iate? Viato a vuie! (Gli prende la mano) Si ve cerco nu favore, m''o facite?
Parlate.
Quanno avite abbracciata 'a mamma vosta, pe favore, arricurdateve 'e passà p''a casa mia, e mme vasate a chelle povere criature. 'On Salvatò, vasatele, comme si fossero figlie vuoste!
V''o prumetto e 'o faccio cu tutt''o core!
Io ve ringrazio... Ma si chelle povere criature v'addimmànano 'e me, p''ammore 'e Dio! Nun le dicite niente... Ammentate na scusa, dicite ca so' ghiuto 'a parte 'e fore pe faticà... e ca torno subeto.
(A Salvatore) Salvatore Murenda! Siete voi Salvatore Murenda? Il delegato vi aspetta.
Eccome. (Indica Peppeniello) E stu povero guaglione?
(A Peppeniello, scuotendolo) Scètete! Susete!
Si po essere, si premmettete, 'o porto io d''a mamma.
'A canuscite?
M'è cummara.
Parlatene 'o Cummissario. Nun ha fatto niente. E state arrestato pe ozioso vagabondo.
(Al ragazzo) Vuò venì cu mme?
E me purtate d''a mammà?
Si, te porto addò vuò tu. Iammuncenno!
'On Salvatò, nun ve scurdate chella preghiera. Io sto 'e casa a Sant'Austino a' Zecca, vicino 'o turniero, addimannate 'e Carmela.
Addio!
Vasateme 'e criature: e nun ve scurdate 'e me...
Addio!
(A 'on Gennaro che russa) Susete, mbriachè!
Nannì, alleramente! 'Sta mmatina nun se fatica: è festa!
Susete, su'!
Addò sto?
È alleggerita 'a pella?
Embè, ce so' capitato n'ata vota! Avevo giurato 'e nun vevere cchiù.
Iammo, nun me fa' perdere tiempo.
E iammo primm''e mo (Si precipita ad uscire dalla camera).
Si' tu Antonio Pallante?
Sissignore: io propio.
Seguitemi. (Fa per mettergli le manotte).
Comme, pure a me?
Pe forza. Non posso trasgredire gli ordini. Il regolamento parla chiaro.
A piacere vuosto!
(Con sorriso sardonico) Ve fanno male?
Iammo, si avimma i'! (Totonno si avvia; la guardia lo segue. 'O Piantone chiude pesantemente la porta, che chiude a chiave).
(Dopo un lungo silenzio, guarda attorno; s'alza e va all'inferriata per vedere se vede sua madre. Ritorna a sedere sul tavolato) Nisciuno!...
Anielle, anielle!
A uno a uno tirete 'e capille!
Ietta lacreme 'e sanghe 'int''e cancelle!
Arena, arena!
Cerca perduono a mammeta luntana, e strafochete po' cu 'sta catena!...
(A questo punto, Aniello è preso dal pianto. Forti singhiozzi gli squarciano il petto. Grida con disperazione): Mammà! Mamma mia!... Perdoneme 'o schiaffe ca te dette!.....
(Cade in ginocchio piangendo dirottamente).
(Ricomincia più malinconico e va a perdersi in lontananza, a poco a poco)
Arena, arena!
Cerca perduono a mammeta luntana ...
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Napoli, 18 agosto 1894.
A
Salvatore Di Giacomo
Aniello
'onn Amalia
Cuncetta
Peppeniello
Rusella
Taniello
Carmeniello
Nunziatina
Furturella
Assunta
Gnesella
Vito
Tore
Biase
Mimì
Due Guardie di P. S.
Popolani (comparse)
A Cariati, al crocevia, su i quartieri di Toledo, fra i tortuosi vicoli della vecchia Napoli, in una paurosa notte di pioggia, s'erge, di fronte al vicolo cieco « Caricatolo » un sontuoso calvario, innanzi al quale i fedeli del rione, liberati dal colera del 1884, accendono ogni sera una lampada votiva davanti il quadro dell'Addolorata che sta ai piedi del Gesú. La fiammella agonizza, rossiccia. Dietro la croce, discende a precipizio, la via « Croce Cariati ». A quando a quando, fuggevolmente si vede balenare, in fondo, alla via, il Vesuvio in eruzione, e tutto il caseggiato che discende fino alla città sottostante.
Alla destra del calvario, vedesi un basso, al quale si ascende per una scaletta di pietra, parapettata di tufo gialliccio, lumacata; sul parapetto fiorisce, in un vaso di creta, una pianta di garofani in fiore.
Tutto è avvolto nella fitta oscurità della notte. Piove e lampeggia.
Sulla sinistra, dietro la porta socchiusa del basso di donna Amalia, brilla un fioco riverbero di luce di candela che si riflette sul lastrico bagnato e sulla paglia sparsa dinanzi alla casa. Non ostante l'ora tarda, e la notte piovosa, qualche finestra è ancora socchiusa, qualche volto femmineo si protende, guardando
verso la casa della morte.
La via è deserta. Passano rari popolani che si segnano davanti al calvario e si soffermano per poco dinnanzi al basso di donna Amalia, dove si veglia l'agonia di un giovane che muore per amore.
Io mo moro!... Mo moro!...
No, core 'e mamma, no; nun o di'!.. (Passa una popolana).
Ma', chiammateme nu prevete (Tossisce) Io mo moro!... Me voglio fa' l'ora 'e Dio.
Figlio mio!... Mo t''o manno a chiammà.. E comme, madó!... Nun te vuò smovere no?
(Si ode un pianto dirotto. Due donne si segnano e si soffermano davanti il basso, in ascolto).
Ma', nun chiagnere... Io moro, perdono a tutte quante. (Un forte colpo di tosse).
(Due guardie di P.S., con l'impermeabile, attraversano la via, dalla sinistra alla destra, con passo cadenzato, uguale. Poco dopo, dal basso di Aniello esce di corsa Peppeniello. 'on'Amalia immediatamente appare sulla soglia del basso e lo chiama).
Aspè, Peppeniè!... Piglieto 'o mbrello, ca sta chiuvenno.
Che ghiate penzanno! Io vaco e vengo!... (Fa per correre).
E siente!... Doppo ca è chiammato 'o santissemo a' parrocchia, accattè doie connelotte 'a don Andrea. (Si asciuga una lagrima). Te': 'e quatto sorde.
E non sarriano bone 'e doie cannele d''a Cannelora, ca stanno appese 'o lietto?...
Va! e viene ambresso.
Duie minute e sto cca!...
(Esce dal basso e si avvicina a 'onn'Amalia, che piange appoggiata con le braccia allo stipite della porta). 'Onn'Ama', Aniello ve vò.
'O vedite cca!.... (Si asciuga gli occhi). È Dio, siè Cuncetta mia, ca accussì vò!... N'aggio fatto priarie, n'aggio mannate messe all'aneme pezzentelle.... Niente! Niente!.....
Vuluntà 'e Dio!... Segno ca accussì era destinato, 'Onn'Amà!.....
Parlate bello, parlate!... Mm'è figlio!..
E chi ve dà tuorto. Aniello, pe essere troppo nu buone giovene, s'è arredutto accussì. Avite visto che smanie ca tene 'sta sera?
Siè Cuncè, io so' mamma, e nun mme 'nganno. Chi sa si figliemo 'a tira anfino a dimane!... Me l'hanno acciso, me l'hanno!..
Veditene 'a fine, 'onn'Amalia mia. L'hanno 'a chiagnere a lagrime 'e sanghe chello c'hanno fatto a chillo guaglione!
(Singhiozza) Ah! Nun me ne scurdarraggio maie e po' maie 'e chillo figlio!... Che core, siè Cuncè, che core!... Ha perdunato a tutte chille che l'hanno fatto male. L'avite sentuto?
E vuie pure, avite 'a perdunà.
(Con scatto) Io no!... Maie, maie!... Me n'aggia vevere 'o sanghe 'e chella scellerata, me n'aggia vevere!...
'Onn'Amà, dich'io, pecchè va pigliate tanto cu chella povera scunzulata?
'A difennite?...
No, ca nun 'a difenno; ma l'avisseve 'a vedè comme è arredotta... Chiagne matina e sera, e propio ogge m'ha ditto ca vuleva venì ccca pe se menà 'e piede d'Aniello.
Ma, io, ce l'aggio scunzigliato.
Avite fatto buono!... Nun saccio comme le sarria venuta.
Aiutateme!... Mo moro!... Oi' ma'!... (Le due donne si precipitano nel basso).
(Arriva di tutta corsa e grida) Siè Cuncè! (Concetta esce dal basso) Sta venenno 'o Santissimo!... Vene 'o sottaparroco.
Peppeniè, fallo trasì p''o palazzo. (Fa per rientrare nel basso).
'E vulite 'e cannelotte?...
Appiccele tu stesso nnanze a Gesù Cristo. (Indica il Calvario)
Tenite nu fiammifero?...
Aspè!.. (Entra nel basso, mentre Peppeniello aggiusta i ceri innanzi al Calvario. Quindi riesce e dice al ragazzo) Peppeniè te'.
Va bene accussì?... È schiuòppeto.
(Con le mani giunte in atto di preghiera). Ah! Gesù Cri, fance 'a grazia!... (Rientra nel basso. Il viatico, non visto, è entrato in casa di Aniello. Si ode il tintinnio del campanello; una luce viva di candele e di frasche accese risplende nella via. Assunta appare sulla loggetta alla destra del calvario con un lume acceso, che depone sul parapetto; poi si inginocchia e prega. Nunziatina, Furturella e Gnesella escono dalla destra, si fermano e s'inginocchiano dinanzi al basso di Aniello... Così pure Vito, Tore, Biagio e Mimì, i quali con devozione si curvano e si tolgono il berretto. La pioggia è cessata. Si sente il pianto di 'Onn'Amalio e il campanello del Viático che si allontana nella notte oscura. Il basso di Aniello resta nella oscurità. Le donne si alzano, gli uomini si rimettono il berretto. Assunta toglie il lume e rientra).
(All'amico) S'ha fatto pure 'e sacramente, 'e' visto?... Povero Aniello!
Era nu bravo amico.
Ch'aggia di'?... É stata corpa mia? Che ne putevo sapè!...
Corpa toia?... E pecchè?... Segno ch'aveva succedere accussì.
Chi 'o ssape? Forse sarrìa stato meglio si nun ll'avesse ditto 'a verità.
(Alle donne che la circondono) Cca nun se ne capisce niente, pecchè chi 'a conta cotta e chi 'a conta cruda.
'O certo è ca Aniello, a comme se dice, ha pigliato 'sta scippa centrella pe mezzo d''a 'nnammurata...
(A Carmeniello) Che stanno dicenno?...
Parlano d'Aniello.. So' femmene, se sape..
E che diceno?
Ch'hanno 'a dicere?.., Nun se sape? 'E ssolite chiacchiere.
Tutte contro 'e me, 'o saccio. Aggio tuorto; si nun avesse parlato sarria stato meglio.
Chesto po' no; anzi sarria stato peggio, siente a me... Aniello t'era amico...
Ma io 'o voglio vedè pe l'urdema vota... lle voglio parlà pe chiarì tutte cose pe rimorso 'e coscienza.
Si' pazzo?... Chillo sta 'e chella manera!
Io ll'aggia parlà!...
Taniè, ma tu si' pazzo?!
Io nun me pozzo dà pace... Ma comme, era na bella cosa si lle faceva sposà chella femmena... ca io? E l'amicizia, allora?... e l'onestà?
Ma, dico io: tu nun ce 'o putive avvertì primma?...
Primma?... Ma isso me n'ha fatto sempe nu mistero d''o bene ca vuleva a Rusella.
E Rusella?...
Pure 'o stesso. É femmena... E quanno cchiù 'e na vota ce l'aggio addimannato, se l'ha anniato sempe...
Che busciarda, assassina!...
(Uscendo sulla loggetta dice, al gruppo che parla in fondo sottovoce) Guè, state facenno suggità?... Chi veco! Furturella, Gnesella, e pure vuie, 'on Vito?... Bravo! Simmo tutte d''e nostre!
Me so' truvato a passà 'a cca, e me so fermato pe vedè addò ieva 'o Santissimo!
(Ad Assunta) Assù, 'è visto?...
È nu sparpetuo, Furturella mia!... Io sola saccio chello ca passa ogne notte chella povera 'onn'Amalia, ca p''a malatia d''o figlio s'ha levato anfino 'e chiuove d''a casa. (Scende nella via).
Povera femmena!... E isso, povero giovane che ha appezzato 'a pelle!...
'On Vì, vuie 'o canusciveve?...
Si 'o cunuscevo?.. Comme! Eramo amice.
Mannaggia 'e femmene e chi 'e ccrede!...
Se ne pozza perdere 'a semmenta!...
Schiavo oscellenza! Vuie ate uommene pure site na bella mercanzia...
Aspè! Si vulimmo, àve ragione Tore: nun è sempe pe causa vosta ca succedono tanta guaie?...
Se capisce!
'A verità, Aniello ne puteva fa' a meno 'e ne piglià na malatia... Nun ce steveno cchiù femmene a Napule?...
E già! 'O ragiunamento d''o ciuccio!...
Pecchè?...
Pecchè è bello chello ca 'o core piace..
Comme no!... L'avisseve avuto 'a vedè quanno Aniello sapette ca Rusella era stata disgraziata.....
E chi nce 'o dicette?...
Chillo stesso c'aveva fatto 'o guaio.
Che mfamità!... Nun disprezzanno, Rusella è na bella figliola overo...
E c'arta fa?
'A capera.
Arta liggiera!...
'E ssiente quante ne stanno dicenno?..
Lassa 'e di', che te ne 'mporta!... A stu paese, e 'a penzà na cosa, accussi s'ausa... 'O cetrangolo spremmuto ce se dà nu caucio 'a coppa...
(Trattenuto da Carmeniello). Ma io...
Che 'e perzo 'a capa?... Lassa 'e di'!... (Taniello parla concitato con l'amico).
(Ad Assunta) E vulite fernì 'e ce cuntà 'o fatto?...
Sempe pe ditto, sora mia, ca po' 'a verità 'a sape Dio!...
E dicite, dicite chello che sapite.
È sempe 'a stessa storia! Nu giovane chiammato Taniello, tanto tiempo fa, faceva 'ammore cu Rusella e, comma succede spisso e vulentiere, 'sta povera figliola cadette.. Vuie mme capite... Po' fuie abbandunata.
L'uommene fanno tutte accussì!
Faccio buono io, ca 'e faccio spantecà!...
Rusella, però, nun se perdette 'e curaggio, e doppo poco tiempo se truvaie Aniello, ca se n'annammuraie comme a nu pazzo.
Mo accumencio a capì, 'o bi'!...
Sempe comme m'hanno cuntato, diceno ca stu Taniello, quanno appuraie ca l'amico suio, Aniello, s'era miso cu Rusella e sa vuleva spusà, se dichiaraie su dui' piede, e sbelette tutto 'o fatto. Avite capito?... Ora mo, nun se sape si 'o facette pe gelusia, o pe nun tradì l'amicizia.
O l'uno o l'ato, facette na mala azione!..
(A Taniello) Taniè, jammuncenne...
(A 'on Vito) E pecchè, si è lecito, facette na mala azione?...
(A 'on Vito) E pecchè, si è lecito, facette na mala azione?...
(Sorpreso guarda Taniello) Sentite: io nun saccio... s'avev''a sta zitto.
A lengua vosta, venea di' ca l'aveva fa' messere?...
Giuvinò, scusate, ma vuie chi site?...
Song'uno ca sape tutte 'e particulare 'e 'sta storia sfortunata!...
(Sottovoce) Statte zitto, Taniè... Ma che vuò fa'?
E allora cuntatincella vuie.
(Risoluto) Si, ca va conto, e ve dico ca Taniello se cumpurtaie onestamente, quanno a tiempo arapette ll'uocchie a ll'amico suio cchiù caro e affezionato.
(Tira l'amico per un braccio) 'A vuò fernì o no?
Lassate 'o parlà, giuvinò!
Ammeno se chiariscono 'e ccose.
Na vota ca ce truvammo...
Aniello, giovane aonesto e faticatore, nun se puteva spusà Rusella, e 'st'amico, ca 'o vuleva bene assaie, sarria stato nu 'nfame se nun ce l'avesse avvertito...
Ma Aniello nun 'o credette... Pecchè?
Pecchè a stu munno scellarato sempe accussì succede... Aniello, p''o troppo bene ca vuleva a Rusella, credette ca ll'avevano cacciata na calunnia: e po', essa s'anniaie, e giuraie e scongiuraie ca nun era overo...
Puverella!...
Ve vulite fa' nu nemico? Dicite 'a verità.
Si, accussì è...
E Rusella?... Pur essa puverella, c'aveva 'a fa'? Puteva di' a ll'ommo ca vuleva bene: « Io t'aggio 'ngannato »?... È na parola!
Forse sarria stato meglio... Certo, mo, (indica il basso di 'onn'Amalia) nun avriano visto stu sparpetuo.
N'ha pigliato 'a mala salute..... Povero Aniello!
Comme s'è arredutto!.. Che simmo nuie!...
'Sta sera starrà peggio assaie. Te', vide cca, hanno menato pure 'a paglia pe terra, pe nun fa' sentì 'o rummore d''e ccarrette.
(Appare sulla soglia del basso). Bona ge'!... che v'avite fatto afferrà?... 'O ssapite ca ce sta nu malato, ca s'ha fatto pure 'e sacramente?
Si, si, avite ragione... Gnesè, io ve saluto...
Bonasera e salute, Assù... Neh, bonasera a tutte!...
Bonanotte! Bonanotte!...
(A Concetta) Comme sta?
Chiù 'a llà, che 'a cca.
Cuncè, se ve serve quaccosa... senza cerimonie... chiammateme.
Ve ringrazio, Assù!
Dateme 'o permesso... (Rientra in casa).
Stateve bona... (Tutti, a poco a poco, escono; meno Taniello e Carmeniello).
(Si avvicina a Cuncetta). Cuncè!
Uh, Taniè! Vuie?...
Io... Pecchè?
Aniello s'ha fatto 'e sacramente...
'O ssaccio... Cuncè, crediteme, pe quanto è certo Dio, io so' nnucente!...
Taniè, iate, cuntatelo a n'ata...
Pure vuie?!...
Vuie l'avite acciso, a chillo povero giovene, vuie, vuie!...
So' stato io?... E che v'aggia dicere!... Eppure, sentite, 'a tutte quante me putevo aspettà na calunnia, ma 'a vuie no!... Basta: 'o Signore v''o perdona. Si ve cerco nu favore, m''o facite?..
Che vulite?... Parlate.
Vurria vedè Aniello pe l'urdema vota.
Ve faccio pazzo?!
(All'amico). Che vaie penzanno?... Iammuncenne...
No, io 'a cca nun mme movo... I' tengo 'a cuscienza netta...
(A Cuncetta) Iammo, ca si vulite 'o potite cuntentà. Che ce sta 'e male?... Lassate nu mumento 'a porta aperta, chillo, Taniello 'o vede 'a cca fora....
'A cca, si, 'a cca!... Io me cuntento.
(Incerta). Ma nun po essere... E si se n'addona 'a mamma?...
Ma io nun mme faccio vedè.
Meh, iammo, facitelo cuntento.
Vuie che bulite, che bulite 'a me?... Si fosse pe Aniello, chillo già v'ha perdunato..
(Con gioia) M'ha perdunato?!
Si... È 'onn'Amalia ca sta ustinata cu vuie e cu Rusella... Ce pazziate, a perdere nu figlio giovane giovane?
E chi po dicere 'o cuntrario...
Iammo, Cuncè, facitelo cuntento.
Vuie me cumprumettite...
Nun avite paura.. È custione 'e nu mumento...
(Risoluta) Embè, allora, subeto subeto; mo lasso 'a porta aperta e vuie 'o vedite.. V'arraccumanno però... (Entra e lascia la porta aperta).
(Va a guardare e indietreggia). Madonna mia!....
'E' visto mo? e iammuncenne
'O voglio vasà!...
(Lo trattiene). Pe l'accidere cchiù ampresso?
(Torna a guardare). Se sta muvenno. Dio, comme s'è cagnato!
Iammuncenne. Se po truvà ascì 'onn'Amalia...
(Con l'ansia di chi vuole avere il perdono.) Aspè, n'ato mumento!...
Che vuò fa'?... (Lo allontana dal basso. In questo, Cuncetta chiude la porta).
Ah! Che barbara sorte!... (Sospirando, si volta per guardare Aniello, ma la porta s'è chiusa). Hanno nchiuso!...
Facimmece duie passe...
(Avvolta in uno sciallo nero, s'incontra con Taniello vicino al calvario. Riconoscendolo, gli dice:) Tu cca?!...
(Con dolore) Si.. so' venuto pe vedè Aniello pe l'urdema vota...
(Con spavento) Muorto?!...
Nun ancora... Ma nun tene manco nat'ora vita....
Nat'ora?!... Dio, io l'aggio acciso!... Ma tu cchiù 'e me!... Ah!... Nun truvarraie maie requie pe chello ca m''e' fatto!
Tu aie ragione; ma io nun te voglio male, no. E si so' stato sincero cu Aniello...
È stato.. pecchè 'o vulive bene, 'o ssaccio... e p''o troppo bene l''e' acciso!... Io nun te dico niente... Dio t''o perdona 'o male ca m''e' fatto.
Aggio tuorto... È ghiusto! (Tirato dall'amico s'incammina per andar via).
Addio, e sperammo 'e nun ce ncuntrà maie cchiù...
(A Carmeniello) Tutte nemice, tutte! (Escono).
(Si getta ai piedi del Crocefisso) Gesù Crì! Tu ch''e' sufferto tanto 'n croce, pe nuie, perdona a 'sta peccatrice ca nun è degna manco 'e t'annummenà!... (Dal basso di ' onn'Amalia si sente tossire Aniello. Rusella solleva il capo, si alza e risoluta corre a battere alla porta di Aniello).
(Appare sulla soglia del basso, pallida, severa). Te stevo aspettanno.
(Con voce di pianto) Aniello?... Pe carità, diciteme comme sta!
E tiene 'o curaggio 'e m'addimannà?
Diciteme tutto chello ca vulite, ma rispunniteme: comme sta?
Vattenne! Vattenne! ca nun me te fido manco 'e te guardà!
Ma c'aggio fatto?... C'aggio fatto ca me disprezzate 'e 'sta manera?
Chello ca fanno 'e femmene perdute!.... M''e' ngannato nu figlio, m''e' ngannato!...
Ngannato, è overo! Che v'aggia risponnere? Vuie site 'a mamma, e io, pe quanto me potesse disculpà so' sempe na scellerata 'nfame a ll'uocchie vuoste... Ma, 'sta scellerata, ll'ha voluto bene assaie 'o figlio vuosto: e prova ca mo mentre isso sta morenno se trova nnante 'a porta d''a casa soia.
Pe le venì a dà l'uoglio santo!...
Io?!.... E cu che core 'o putite di', 'onna Amà? È peccato murtale! Surtanto chillo Giesù Cristo beneditto, ca p''e peccate nuoste hanno miso 'n croce, po di' chello ca ce sta cca dinto... (Si tocca il lato del cuore).
Nun 'o iastemmà!... Statte zitta!...
'O iastemmo?... E già! Dicte buono pecchè io so' stata ca l'aggia miso 'n croce... Giesù Crì! so' stata io ca t'aggio 'nchiuvato?. Si, si, so' stata io, e m''o mmereto d'essere trattata accussì!... C'aggia fa'? È 'o destino 'nfame ca me perseguita!...
(Ironica) Povera 'nnucente!
'Nnucente, si! Fuie n'ommo ca me lusingaie e me 'ngannaie. E io 'o credette, pecchè, senza mamma e senza pate. Si primma 'e 'ncuntrà stu scellerato, avesse 'ncuntrato a chill'angelo d''o figlio vuosto, tutto chesto nun sarrìa succiesso!...
Ma tu avive 'a parlà: tu avive 'a cunfessà tutte a figliemo!
E 'o potevo, io?:.. Quanno po' sapette ca Taniello sapeva tutto, me vedette perduta e.....
Ll'aie 'a chiagnere a lagrime 'e sanghe!..
Cchiù 'e chello c'aggio chiagnuto?... No, nun 'o ccredo, no!...
E te lagne?... Tu si' stata 'a distruzione d''a casa mia sana sana!...
Io sto cca: facitene 'e me chello ca vuie vulite; ma nun m'anniate 'o bene d''o figlio vuosto, c'aggio amato cchiù e ll'uocchie mie!.. Io l'aggio 'ngannato, è overo; ma è stato pe nun 'o perdere...
T'avive 'a zuffunà sotto terra p''o scuorno, e nun t'avive 'a fa' vedè cchiù!:..
Io speravo.... Io aggio sempe sperato, 'onn'Amà!....
E tu 'o vulive bene?... Tu?
L'aggio amato comme se po amà 'a Madonna!... E l'ammore d'Aniello m'aveva fatto addeventà n'ata vota comm'era primma... V''o ghiuro!
Nun ghiastemmà!... Statte zitta!... Vattenne!
Site sempe 'a stessa femmena vuie; ma io c'aggio fa', c'aggia di' pe ve smovere?... Me vulite fa' ascì pazza?... (Con preghiera) 'Onn'Amà, facitelo pe chi tenite mparaviso: perdunateme: so' na povera sfortunata!
Ma nun te n'adduone ca io sto tremmanno sana sana?... Ah, ca te vulesse sceppà 'o core 'a pietto, te vulesse!...
Site senza core!
Senza core, si... Ma vattene 'a nnanze a me, ca si te vedesse morta 'n terra te sputarria ciento vote 'n faccia!
Dicite, dicite chello ca vulite vuie... Se ne sentette tante chillo Cristo beneditto.. (Indica il Calvario).
Vattene, auciello 'e mala nova, 'annanze 'a casa mia!... Vattenne!...
Me ne vaco; ma primma aggio 'a vedè Aniello... I' so' venuta cca p'essere perdunata... E vuie me l'avite 'a fa' vedè...
(Va incontro a Rusella in atto di minaccia) Vattenne, si nun vuó na botta 'e curtiello sott''o core! (Rusella indietreggia) 'Nfame 'Nfame!
(Risoluta). Acciditeme, si tenite o' curaggio. Si, acciditeme nnanz''a porta d''o figlio vuosto...
(Minacciosa) Rusè, nun me tentà... (Afferra Rusella, e con la mano armata d'un coltello). T'accido!!...}}
Ma'!... Oi' ma'!... (Si ode tossire Aniello)
(Ha ribrezzo di quello che stava per commettere). È isso ca t'ha salvata!... 'O siente?... Tiene 'o coraggio d'aizà ll'uocchie sulamente
(Abbassa lo sguardo) Dio ve risponne pe me!... (Ricomincia a piovere, tuona e lampeggia in lontananza).
Ma'! Ma'!.. (Rusella si slancia per correre nel basso di Aniello. 'Onn'Amalia la ferma).
'O vuò fernì e distruggere?...
(Dà un grido) Aniè!... Core mio!...
Rusè!... Rusè!.. (La voce si spegne).
(Con scatto) Acciditeme, ma l'aggia vedè pe l'urdema vota!...
Ma'!... Oi ma'!...
(Si sofferma ed escalama:) Ah! Giesù Crì, Giesù Cristo mio! (Corre al Calvario e cade in ginocchio. 'Onn'Amalia si precipita nella casa e ne chiude la porta. Rusella prega).
Figlio! Figlio! mio bello!...
(Si alza, si precipita alla porta del basso e picchia ripetutamente) Arapite! Arapite!.. 'Onn'Amà!.... Aniè! Aniè!... (Qui è fioca e le forze le vengono meno. Rusella con le braccia protese scivola sulla porta, si piega su sè stessa, e resta accosciata, singhiozzando:) Aniè!... Aniè!... (Tace. Il temporale imperversa orribilmente. Le due guardie di P. S. di ronda attraversano la scena).
Napoli, 9-10 Settembre 1895.
A
Camillo Antona-Traversi
Arturo.
Assuntina
'Onna Teresa, 'a foggiana
On Biagino, cafettiere.
Pascariello, guaglione 'e cafè
Nu venditore 'e giurnale.
Don Ciccio, maestro elementare.
Reporter.
Brigadiere di P. S. in borghese.
Guardia di P. S. in borghese.
Luca, conduttore di tramvays.
Mimì, scugnizzo.
Checchina, cerinaia.
Emiliella, cerinaia.
Voce d'un carrettiere.
Na cumpagnia 'e giuvinotte cu chitarre e manduline.
L'antica piazzetta a Portanova, nella notte inoltrata. A destra, sulla terza quinta, la vecchia chiesa con la sua facciata biancheggiata, e coi gradini in pietra vulcanica.
Sul davanti, alla prima quinta, il «Caffè dei buoni amici», caratteristico ritrovo notturno, con tondini di marmo e sediolini disposti in ordine, sul marciapiede, dinanzi la porta. A sinistra: una casa di tolleranza, così detta: « 'A Foggiana » dalla facciata giallastra, con persiane verdi, allumacate, dalle griglie marcite, cadenti per l'incuria e per il tempo.
Di fronte alla chiesa, si eleva un Calvario con Gesù in croce, cinto da una ringiera di ferro. Dinanzi al Cristo agonizza una lampada votiva.
In fondo, la via del Pendino, che forma arteria dell'intricato laberinto dei vicoli e dei chiassuoli.
La scena offre delle curiose e strane visioni, che solo Napoli sa dare nelle tiepide notti, coi suoi caffè popolari che non si chiudono mai, e con le sue strane riunioni di gente poverissima, di figure losche, di fantasmi umani, senza un passato, e senza avvenire.
Mimi, un ragazzo, di poco più che 12 anni, dorme raggomitolato su gli scalini della Chiesa; una bambina, Checchina, gli s'è addormentata accanto, stringendo tra le piccole mani la cassetta di legno con le poche scatole di cerini.
Pascariello, il garzone, dorme a gimitello sul tondo di marmo, dinnanzi al « Caffè dei Buoni Amici».
(Sollevando il capo) Neh! 'e' visto niente?
Ch'è stato?
Nun 'e' visto a uno ca fuieva?
No, nun l'aggio visto.
Io si.
(Piagnucolosa) Iammuncenn''a casa...
Ma tu si' pazza?... Vance tu.
Accumpàgneme tu... Io sola me metto paura. (Si vede un'ombra disegnarsi in vicinanza: è la piccola Emiliella. Un gallo canta il suo «Chicchirichì».
(Chiama l'amica) Miliè!...
(Con voce piagnucolosa) Vuie state lloco? Che stiveve facenno?...
Miliè, 'e' fatte 'e cinche sorde pe te ne
No. Ne tengo uno sulo....
Di' 'a verità: Te si' mettuta a chiagnere?
Sì... Comme faccio a turnà a' casa?... Mammà me vatte, e papà me ne caccia d''a casa!
Papà?! Tu qua' papà me vaie cuntanno? Chillo nun t'è pate.
Mammà accussì vò c''o chiammo (Ricanta il gallo).
S'è fatto iuorno.
E mammà mia nun fa 'o stesso cu nuie?...
Si mo ce sentessero!...
E i' comme faccio?...
Va buò: nun piccià. Duie sorde t''e dongo io, ca n'aggio fatte sette.
E ll'ati duie chi mm''e dà?.. Tengo famme...
(Porgendole del pane). Iammo, cca sta 'o pane... Ne teneva nu bello piezzao dint''a sacca.
(Addenta voracemente il pane) Comm'è sapurito!... Me pare pane 'e Spagne!...
E dimme: soreta nun c'è turnata cchiù a' casa?
Chi t''a dà! Chi l'ha vista!... Mammà, dopp''o fatto...
'E Vicenzino?
Già...
Chillo llà è malamente... Mo è passato pure cammurrista. E soreta, Assuntina, nun saie manco addò sta?...
Addò sta?
(Indica la casa di tolleranza) Llà!... Pecchè, nun 'o ssaie?
No, apparola! Ll'aggio vista stammatina. E che bella veste ca purtava!...
È ghiuta nchino?
Vicenzino, 'o cammurrista, s''a magna viva viva... Io 'o saccio. Aggio ntiso io stammatina ca Arturo 'o tintore, chillo giovene ca faceva 'ammore cu soreta, lle diceva: « Lass''o i' a chillo! Vienetenne a' casa mia »
Ma Assuntina ha risposto 'e no, pe paura 'e Vicenzino. Chillo è na mala spina!...
Allora, nun è cuntenta?
'I quant'è scema chesta!
Ha avuta na mala sciorta. Si lle fosse asciuto nu signore, allora sì...
Ascesse pure a nuie signore!...
'I che scema! Vuie site piccerelle...
Neh, pecchè? Nuie nun 'o putimmo servì?
Ma io mo che v'aggi''a dicere, a vuie? Chelle femmene so' servute cu 'e guante. M'avite capito? Addeventano, comme se dice?... Addeventano 'e... cocotte!
Ma che vò dicere sti cocotte?
'E nnammurate...
(Con ingenuità) Mo aggio capito: se sposano ...
(Maliziosamente) Già, se sposano... comme s'è spusata Assuntina... Ma chelle tèneno 'e llire, 'e brillante, 'a carrozza, tutt''o bene 'e Dio...
'A verità... Io nun te capisco...
Mo me spieco cchiù meglio. Aie 'a sapè... (Il silenzio profondo viene lacerato da un acutissimo fischio). Zitte!... So' mariuole...
Io mme metto appaura!...
(Prende per mano Emiliella). Fuimmencenne. (Rimbomba un colpo di rivoltella).
(Si leva, spaventato) Ll'hanno fatta!.. Fuimmencenne... (Fuggono, alle spalle della chiesa. Il garzone del caffè si sveglia di soprassalto, e guarda attorno, spaurito)..
Arresta! Arresta!
Ferma! Ferma!
(Appare sulla soglia del caffè e con ironia dice:) Comme te pare? T''a faie a suonno?
Chillo, 'o suonno... Sto allerta tutta 'a santa iurnata...
Va fa' 'o cafè... Nun 'o vide, ca sta schiaranno iuorno?
Vuie nun avite sentuto niente?
Che cosa?
'A botta 'e rivultella?
Quacche mariuolo assecutato d''ambulanza.
(A Pascariello) Na piccola.
Pronti!
(Rientra nella bottega) Avite fatto matino?
Songo 'e servizio a' Turretta.
Che brutta vita è 'a vosta!
V''o giuro ca si, nun fosse p''e figlie, me ne iarrìa ogne iuorno a' Villa 'o Popolo, a scarfarme 'a panza 'o sole, comme nu ricco pruprietario...
'E figlie so' belle...
'O ccredo, ma costano caro!
Vuie me date 'o premmesso?... (Entra in bottega).
(Guarda verso il Calvario, e si scopre) Giesù Crì!... Me metto sott''a prutezziona toia. Sàrvame d''e disgrazzie!
(Da lontano giunge il canto d'un carrettiere, interrotto, tratto tratto, dagli « Ah! » per avviare la bestia. S'ode anche il cupo rumore delle fuote, e il tintinnìo dei sonagli).
Bellezza, che bellezza vuie teníte!
'E stelle stanno 'n cielo e vuie durmite;
(Ah!... Ah!... Colpo di frusta)
Scetateve c''ammore abbampa e coce!
Passa nu carrettiere e dà sta voce...
(Ah!... Ah!... Colpo di frusta)
(Reca in un piccolo vassoio una tazza di caffè ed un bicchiere d'acqua) 'A capa tazza 'e cafè!...
(Sorseggia il caffè) 'I comme scotta!...
Cafè Moka.
'E cicoria e favucce!...
Pe nu sordo!
Ma nun t''e' 'a scurdà ca mo 'o cafè va pe niente...
(Si avvicina al Caffè, e siede al tavolino, salutando Luca). Come si va?
Comme vò Dio...
Prufessò, c''o solito senzo?...
Ma se lo sai, santo Iddio!... Pecchè me rompe 'e scatole?
I' v'aggio spiato pecchè...
Perchè sei un asino! (Pascariello entra nel caffè, sorridendo).
Prufessò, comme se porta 'o guaglione mio?
Comme s'ha dda purtà?... Nun è buono a niente. Pecchè, tu nun 'o ssaie?
E io ve ringrazio!...
Già!... tu, come padre... avresti voluto che ti avessi detto ca era nu scenziato... Siente a me, mànnalo a ll'arte. Farai na santa cosa. Tanto, la penna, non ha dato mai nulla...
Vuie overamente dicite?
Parlo con la verità tra le mani. Che cosa guadagno, io? Si sapisseve 'e guaie mie...
(Reca un vassoio identico a quello recato a Luca). È servito 'o prufessore. (Nel silenzio, si ode l'abbaiare d'un cane).
Maledetto cane!... Nun me fa repusà tutta 'a notte!
È 'o cane d''o canteniere.
(A Luca) È l'inferno, stu quartiere! Cani, gatti, grida, colpi di rivoltella, donnacce...
Prufessò, pure vuie?...
Statte 'o posto tuo! Chi te dà tanta confidenza?
(Rattiene a stento le risa) Ma io....
Insolente, non ridere!... Imbecille!
Prufesso. Napole è nu paese ca pure quanno dorme parla nzuonno, canta, se move. E nu mbriaco c'allucca... Nu guaglione verrezzuso...
(Salutando) A sti signore... (a Pascariello) Pascariè, na presa d'XXXXX. (Pascariello entra nel caffè).
Vanno 'e giurnale?... Che novità?
Nisciuna. Stanotte, manco nu muorto, manco nu ferimento!.., sperammo 'a Dio...
Che cosa?
Ca succedesse quacch'aggrisso! Che ssaccio, na botta 'e curtiello...
E bravo!... Ecco la civiltà!
E nuie comme campammo?... 'O giurnale tanno se venne, quanno porta nu fatto 'e sanghe... 'O riesto so' chiacchiere.
Anice! (Il giornalaio lo tracanna d'un fiato. Il cane abbaia di tempo in tempo).
(Viene correndo dallo svolto della via, come chi è inseguito: va presso Pascariello, agitato, supplichevole). Salvàteme! Pe carità salvàteme! Ll'aggio fatta!...
Ch'è fatto?
Vicenzino... Llà adderetto 'a Vecaria!...
Vi siete rovinao!.. Che cosa avete fatto?
'E gguardie 'o sucutavano... Io l'aggio avuto 'e faccia... e fermannose, m'ha alluccato: «Va vide 'a nnammurata toia... Ll'aggio accisa io... » M'è ghiuto 'o sanghe a ll'uocchie... e ll'aggio dato na botta 'e curtiello sott''o core...
Vuie, avite acciso a Vicenzino?
M'è parzo... É caduto pe terra. Nun aveva accisa Assuntina?... Fu isso ca le levaie 'a stima, e 'a ittaie 'int''a mala vita... 'Nfame!.. S''a vennette a' Fuggiana...
Fuitevenne!... Fuitevenne!
No, voglio parlà primma cu 'a Fuggiana! (Va a picchiare alla porta di 'onna Teresa). Arapite, 'onna Terè! Arapite!
Chi è?
'Onna Terè, songo io...
Chi site? Che bulite?
Songh'io, Arturo... Assuntina sta lloco?
No. Pecchè?
E arapite! Nun vedite? Sto ncopp''e spine.
Sto venenno!...
(Ad Arturo) Ma, voi finirete col confessare il vostro delitto... E se Vicenzino v'ha detto una bugia?...
No, no, nun è na buscia.
(Esce dal portoncino; ha uno scialletto su le spalle) Ch'è stato?...
Assuntina?...
Nun ce sta. Se n'è fuiuta stanotte. Ma io 'a faccio piglià...
Ll'ha accisa!... Ll'ha accisa!...
Vuie che dicite? Chi è stato?...
Vicenzino! Vicenzino!
Giesù, Giuseppe, Sant'Anna e Maria! Io ce l'aveva ditto 'a tanto tiempo. Nun m'ha vuluto sèntere! Puverella! Che bona guagliona ca era!...
(Guarda attorno. Va verso il fondo, si interna in un vicoletto. Poco dopo s'ode la sua voce disperata) Assassino! assassino!
(Accorre. Poco dopo riappaiono Luca e Arturo, trascinando il corpo di Assuntina). Morta?...
Accussì pare...
(Scuotendo il cadavere dolcemente) Assunta!.. Assuntina mia!
È morta. Nun 'o vedite 'o sanghe ncopp''a camicetta? (Raccolta il coltello). Teh, teh!... cca sta pure 'o curtiello...
(Tastando una mano della morta) Madonna, e comm'è fredda!
Nu cerino!... Facite ampressa!
(Trae di tasca la scatola dei cerini ne accende uno, e lo pone dinanzi alla bocca della giovane). È morta!...
(Con gran dolore) E' morta, è morta, è morta! (Abbraccia il cadavere, e lo bacia disperatamente). Assunta! Assunta!
Che cosa succede qui?
Una disgraziata uccisa dal suo amante.
(Si avvicina al gruppo) Largo, largo al brigadiere!
Morta?
Morta.
In che modo?
Cu na botta 'e curtiello.
Chist'è 'o curtiello a fronna 'auliva.
Dev'essere morta sul colpo.
Nun avarrà avuto manc''o tiempo 'e dicere: « Mamma, scànzeme! »
(Indicando Arturo). Chi è stu giovane?... L'amante?
(Solleva la testa) N'amico.
(Dopo aver parlato a bassa voce col brigadiere). Non vi pare?
(Anche a voce bassa). Non lo perdere di vista... Credo pur io... (Si volge a 'on Biagio e gli parla da solo a solo). E voi non ne sapete niente?...
Ncuscienzia...
Sapevo la risposta. E questo giovane 'o canoscite? (Indica Arturo).
Sì, è nu giovene d''o quartiere...
Che arte fa?
'Arefice d''o ffino.
Cca parlammo parlammo, e nun se piglia nisciuna dicesione 'onna Terè.
E che ce pozzo fa' io puverella? M''a pozzo carrià ncoppa? Sarria nu sacrileggio.
Il cadavere non si può rimuovere. Bisogna lasciarlo qua, fino a che non arriva il Pretore.
È la legge.
(Facendo allontanare tutti) Largo! Largo! Scostatevi! (A 'onna Teresa) Tenite na coperta? Nu lenzuolo?
Ve servo subeto. (Rientra in casa, e ne esce poco dopo recando una coperta che getta alla meglio sul cadavere).
Quanno è destinato!... Giesù! Giesù!
Almeno, è succiesso quaccosa... Nu micidio, nu muorto... e na storia d'ammore!...
(Lo guarda) Ma te staie zitto!...
(Al Giornalaio) Ch'è stato?
Hanno accisa na femmena...
Presto, presto, ca 'o giornale va in macchina. Tu saie niente?
'A verità, niente... Ma lloco ce sta 'o bricatiere.
(Rivolgendosi al Brigadiere) Scusate...
Abbiamo da fare, sapete. Pe mo non è possibile.
Ma io sono del Mattino...
Ah! dite... Volete,naturalmente, qualche notizia...
Così... Almeno qualche accenno del fatto... Il nome... la causale... (Cava un taccuino sul quale segna gli appunti fornitigli dal Brigadiere).
Un assassinio.
Un morto?
Una morta.
E la stessa cosa... Dunque?...
Io ne so meno di voi.
Come? Comme se chiammava?
Mo ve serv'io. Assuntina 'a Casertana.
Era di Caserta? Ma il cognome?
Di Domenico.
Zitella?
Nonzignore...
Ah! Capisco. (Segnando nel taccuino) Donna libera. Chi l'ha uccisa?
Non si sa ancora.
(Scattando) È stato Vicenzino, 'o nnammurato suio.
(Ad Arturo) E voi che cosa ne sapete?
(Si confonde) Io?
Ora ne so abbastanza... Il cronista farà il resto. Signori! (Saluta il brigadiere e via di corsa).
(Ad Arturo) Favorite con me... Voi ci potete illuminare.
(Turbandosi) Io?
Si, voi... Non avete detto che la vittima l'ha uccisa Vicenzino? Dunque, ne sapete qualche cosa?
(Confondendosi) Sapeva a Vicenzino, ca cchiù 'e na vota ll'aveva ammenacciata... Allora essa veneva addo me...
Ah, capisco. (Fissa Arturo insistentemente) Ah! veniva da voi?...
Sì.
E voi, le eravate... parente?
(A Luca) Mo se tradisce.
Nonzignore. Amico.
Allora, amico pure di quel tale Vicenzino?
Io!? Me n'avesse vippeto 'o sanghe!
Ci tenevate un odio? E perchè mo non ce lo tenete più?
(A 'on Ciccio) Ah! S'è perzo!
(A 'onna Teresa) Conoscete questo giovane?
Sissignore, 'o conosco (La guarda va a collocarsi alle spalle di Arturo).
(A 'onna Teresa) Dite la verità, se no, peggio per voi: vi chiudo subito il locale...
'A verità sto dicenno.
E parlate subito.
Chisto giovene, pe ve fa' capace a buie, è nu giovene...
Lo vedo.
Ca teneva nu penziere pe Assuntina...
Era l'amante?
Nonzignore. L'amante, comme dicite vuie, era chill'ato, stu tale Vicenzino.
Lo so.
'O bbedite, mariscià, io ve stongo dicenno 'a verità... Propetamente, stu giovene cca, 'a paricchio, faceva 'o ruciello attuorno Assuntina, p''a luvà 'a dint''a malavita.... Ma Vicenzino, spisso spisso, l'ammenacciava, p''o fatto ca... Ma no p''ammore... ma p''o fatto ca...
Ci campava...
(Con ira e disprezzo) Era nu carugnone!
Ho capito tutto. (Alla guardia indicando Arturo). Impossessatevi di costui. (La guardia lo tien fermo per le spalle).
Lassateme! Lassateme, sanghe d''a...!
Non ti ribellare... T'avimmo acchiappato. Tu sei quello che ha ucciso Vicenzino. (Arturo, atterrito, china il capo, tremando violentemente). Confessi? (S'ode il rintocco prolungato d'una campana di una chiesa vicina).
(Alza la testa, e fisa in volto tutti). Pe 'sta santa campana che sona a matutino, pe 'sta santa iurnata ca sta schiaranno, sì, è overo, ll'aggio acciso io a Vicenzino, e nun me ne pento! (I primi chiarori dell'alba si diffondono). Chillo nfame curreva, fuieva comm'a che! 'E botto, me esce 'e faccia, me ferma, e cu na resella me dice: « Va, va vide a Assuntina toia! Te ne vulive fuì cu essa? E va, va... te sta aspettanno. Sta lloco, 'n terra 'a Croce, mmiezo a Portanova! Va t''a piglie, va! » Nu velo m'è sciso nnant'a ll'uocchie... Nun ce aggio visto cchiù... E... vuie sapite 'o riesto.
Povero giovene! 'A passione leva 'e lume!
L'ammore è na brutta bestia!
Ha fatto buono!... Vuie nun 'o sapiveve a 'on Vicenzino?... Chillo era nu pripotente.
(Alla guardia). Portatelo alla Sezione. E telefonate alla Questura, per il Pretore... Il cadavere non può rimanere qui, sulla strada...
(Ad Arturo, bruscamente). Andiamo.
(Indica il cadavere di Assuntina). Pe l'urdema vota... Mme costa 'a libbertà!...
(Esitando un istante). Ma...
(Si precipita sul corpo di Assuntina, l'abbraccia, lo bacia, piangendo). Assunta! Assuntina!... Assunta mia!... (Il brigadiere allontana Arturo dalla morta, e lo consegna alla Guardia. Un suono di mandolini e chitarre giunge insieme alle voci che cantano « Or che la note è placida ... »
(S'incontra con la compagnia chiassosa, mentre viene tradotto dalla Guardia) Ce sta na povera morta!... Llá, vedite!... (I giovani della comitiva si fermano. Cesano i suoni e il canto. Tutti portano la mano al cappello in segno di saluto alla morta. Arturo passa con la guardia).
Napoli, 7-10 dic. 1895.
A
Benedetto Croce
'on Rafaele.
'on Vicienzo.
'onna Carmela.
Giulietta.
Virginia.
(Col capo sotto la coperta bucata): Ah! Ah!... papà mio!.. papà mio!.. (Mette fuori dalla coperta una manina): Ah! Ah! (Tossisce fortemente. Mette fuori dalla coperta il capo e guarda attorno la camera): Papà mio... papà... papà!... (Un colpo di tosse forte, da spezzarle il petto, la costringe a sedere in mezzo al letto). Aaah!.. Aaah!.. Aaah!.. Aaah!... (Porta il lembo del lenzuolo alla bocca): Aaah!.. aaah!... (con l'occhio illanguidito, spento dall febbre, guarda attorno): Papà!.. papà mio!... (Piange e si dispera).
(Spinge l'invetriata e guarda, dalla porta, verso Giulietta, che piange) Giuliè! Si tu ca staie chiagnenno? Che t'è succieso?
Mammella!...
Ah! fosse viva 'a bonanema 'e mamma toia!.. Ma 'a colpa è stata 'e pateto, a spusarse chella furastera!... (Poichè la bambina si sostiene il braccio sinistro con la mano destra, le domanda): Che t'ha fatto?
M'ha vattuta!
È senza core chella femmena.... Ma che ll' 'e' fatto?...
Niente!
E va buò... nun chiagnere... T'ha fatto male?
C''o bastone...
Ma chi?... Mammella?
No mammella... don Federico...
(Con l'aria di chi à tutto compreso) Aggio capito... E papà nun ce steva?
Ah, no! Si ce steva papà, nun me vatteva...
E mammella c'ha ditto?
M'ha tirate 'e capille e m'ha ditto: «Nun di' niente a pateto, si no te dongo 'o riesto...»
(Con curiosità, accarezzando la fanciulla) Ma pecchè?
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(Vergognosa, portando le mani agli occhi). No... niente...
Io saccio tutte cose; cu me può parlà.... Chella, mammella, soffre 'e stu male...
Si 'o sapesse papà!
Ma c'hanno fatto?
(Con malizia, a mezza voce) Se so' vasate...
Mbè? E che ce sta 'e male? (Sotto voce): Gesù! Gesù!
(Sotto la porta) Aggio 'aspettà cchiù?
St'anema 'e Dio chiagneva e io so' curruta a vedè ch'era succiesso... Sa', è stato don Federico ca l'ha vuttata... (strizzando l'occhio) 'E' capito?
E chesto si' bbona a fa' 'a ntrincarte d''e fatte 'e ll'ate...
Iammo ferniscele! Nu pilo 'o faie nu trave...
(Notando che la ragozza si lamenta) Pecchè se lagna?
Nun t'aggio ditto? L'hanno vattuta... (Si avvicina a Giulietta) Te fa male assaie?
(Accenna col capo di si, e mostra il braccio) Cca.
(Guardando) Che 'nfame scellerato! Ll'ha fatto na mulignana!
Miettece nu poco d'acqua... (Prende da canterano un fiaschetto di vetro pieno d'acqua) Addò sta nu poco 'e pezza?
(Girando gli occhi oattorno) E chi t''o ddà? Cca nun ce sta manca 'o ppittato!
(Cava dalla saccoccia il fazzoletto e lo bagna) Ecco fatto! (Fasciandole il braccio) Mo nun sentarraie cchiù dulore!
(A Giulietta) Nun 'o perdere 'o fazzoletto, si no se spara 'a duzzina...
Statte attienta!... Se perde stu muccaturo 'e seta!
Comme si' scemo!
(A Carmela) 'Onna Carmè.... nun avite appaura, io nun aggio maie perzo niente...
'O ssaccio... tu si' na femmenona... (Scorgendo suo marito, che pensieroso guarda la ragazza) A che pienze?
(Con un gran sospiro) Penzo ca quanno na povera figlia perde 'a mamma è na gran }} disgrazia... (S'avvicina al letto) Te siente nu poco meglio?
Si, 'on Viciè.
Mo nun 'e' 'a chiagnere cchiù... Repuòsete; e fatte nu bello suonno.
Vurria arrepusà, ma nu pozzo.,.
E pecché?
'A tosse..
Chesta è stata tutta l'acqua ch''e' pigliato... (A suo marito) 'O pate apprimma se purtava appriesso 'a mugliera, 'a rumana, p','a fa girà c''o piattiello; una chella bbona crestiana, annascuso, s'arrubbava sempe quacche soldo, p''o dà... m''è capito? (Con significato).
Aggio capito...
(Che ha ascoltato) S''e metteva dint''o mantesino...
Ce vò tanto p''a nduvinà 'a ventura...
Da chillo iuorno nun se purtaie cchiù 'a mugliera, e 'st'anema e Dio accumpagnaie 'o pate, 'e vierno, 'e state, pe girà c''o piattiello attuorno...
(A Giulietta) E mo pateto sta a ffa' 'e guarattelle?
Che ora s'è fatta?
Ce vò poco p''avummaria!
Sta 'o llario 'o Castiello...
Se retira...
Mo 'o vide 'e venì.
(Tossisce) Me fa male 'o pietto!...
(A sua moglie) Ma che tene?
(Sottovoce) Tene 'a purmunia!...
Zitto... Sciò llà!.,.. (a Giulietta) 'O miedico tha vista?...
Si, m'ha dato chella medicina p''a tosse... (Indicando la boccettina che sta sul canterano) Io nun 'a voglio... è amara...
(Accarezzandola) Tu te ll'aie 'a piglià! Si no, come staie bona?
Ne vuò nu cucchiarino? Iammo... pigliatella...
È amara...
(Prende la bottiglia e versa in un cucchiaio un po di quel liquido) Iammo... sùsete...
È amara...
(Le mostra un soldo) Iammo! Si t''a piglie, te dò nu sordo...
(Con gioia) M''a piglio!... M''a piglio...
(Dopo averle dato la medela) Bravo!... Pare na santa...
(Dandolo il soldo) E chisto è 'o sordo...
(A suo marito) E tu nun vaie a' suggità?
Che buò! M'ha fatto tanta 'mpressione sta guagliona, ca me sento 'o core niro niro... Ma me n'aggia i' pe forza... Stasera s'ha dda vutà 'o presirente...
E si te fanno presirente!
(Ridendo) Eh, me facevano presirente!
Pecchè, nun può essere?
Io me ne vaco... Addio, Giuliè (Giulietta lo saluta con la mano).
Retirate ampresso... Io resto n'ato ppoco pe lle fa' cumpagnia... ('On Vicienzo esce, chiudendo dietro di sè l'invetriata) S'è fatto scuro Vulimmo appiccià 'o lume?
Nncopp''o cumò ce sta 'a lampa... (Carmela ravviva la lampada innanzi la Madonna).
Tiene appetito?
Si...
E che vuò? Di'...
Nun pozzo tuccà niente. 'O miedico nun vò... (lungo silenzio). 'Onna Carmé, me vulite cuntà 'o cunto d''auciello grifone?
N'ata vota 'o vuò sentere?
Sì, sì,... me piace 'e sentere...
E te staie zitta?
(Ponendosi la mano al petto) A parola mia!
(Comincia a raccontare, con voce monotona, da cantilena, col ritmo eguale, col quale le vecchie sogliono narrare le fiabe) Ce steva na vota nu Re cecato. Stu Re, na notte, se sunnaie ca pe se sanà ce vuleva na penna 'e ll'auciello grifone. 'A matina chiammaie 'e figlie e dicette chello ca s'aveva sunnato, e prumettette ca chi lle purtava sta penna addeventava Re. 'E figlie subeto s'armaieno e curretteno, pe truvà 'a penna 'e l'auciello grifone, chi pe na via e chi pe n'ata. Cammina, cammina, doppo tre iuorne e tre notte, nun truvaieno a nisciuno ca sapeva di' adò steva l'auciello... (Si ferma, non ricordando la fiaba) Ah! E chi se ricorda cchiù!
(Con voce dolce riprende la narrazione) 'O cchiù piccerillo d''e frate, ca s'era spierzo 'nt'a nu bosco, 'ncuntraie a nu vicchiariello, e lle dicette: «San Giuseppiello mio, me vuò di' addò sta l'auciello grifone?» 'O vicchiarello se mettette a ridere e dicette: «Chillo che vaie truvanno sta ncopp'a chill'albero»; e dicenno chesto scumparette.
Ah, si! Aie ragione! (riprende lei la narrazione) 'O piccerillo sagliette ncopp'a ll'albero e tiraie na penna a l'auciello. Mentre se ne turnava a' casa soia, 'ncuntraie 'e frate. Chiste, pe mmidia 'e rignà, l'afferraieno, le levaieno 'a penna, l'accedettero e l'atterraieno.....
'Onna Carmè, nun abbreviate!
Arrivate che fuieno add''o Re, 'o frate cchiù grusso dicette: «Chesta è 'a penna!» Nce 'a passaieno tre vote ncopp'a ll'uocchie d''o pate, ca subeto ce vedette. Ma 'o Re, nun vedenno 'o figlio cchiù piccerillo, addimannaie addò steva, e 'e figlie rispunnettero subeto ca nun 'o ssapevano. Allora 'o pate mannaie a tanta gente; ma nisciuno 'o putette truvà. Nu vaccaro, passanno p''a via addò era stato acciso 'o figlio d''o Re, vedette n'uosso c'asceva 'a sottaterra: 'o tiraie, e l'uosso se mette a parlà accussì:
« Vaccaro mio, vaccà...
« Tieneme astrinto e nun me lassà,
« Pe na penna 'auciello grifone,
« Frateme è stato nu traditore!
(Giulietta, a poco a poco, per lo spavento, si nasconde sotto la coperta) Quanno 'o vaccaro passaie sotto 'a casa d''o Re, l'uosso accuminciaie a parlà n'ata vota. 'O Re, ca 'o vedette, vulette sentì che diceva; pigliaie l'uosso mmano, e chillo se mettette a parlà accussì: (Con voce cavernosa)
« Papà mio, papà...
« Tieneme astrinto e nun me lassà,
« Pe na penna 'auciello grifone,
« Frateme è stato nu traditore!
Giulietta è scomparsa interamnete sotto la coperta. Carmela se ne avvede, solleva la coperta e resta a guardarla lungamente) Povera figlia! S'è addurmuta! (Sotto la porta appare la matrigna di Giulietta).
(Entrando, vede Carmela) Ve saluto, sora Carmela; che fate? Spregate er tempo co 'sta sgrinfia? Me sembra 'n ghiro! Se dorme la settimana santa!
Che dicite! Sta povera figlia tene na freve 'e cavallo!
La possino acciaccà! 'Un crepa mai! L'avrebbe dovuto capì prima...
S'è addurmuta... Sta proprio brutto...
So' tutte imposture! Volete vedè come s'arza? Quatto papaveri sur grugno e zompa dar letto!
(Difendendo la ragazza). Donna Virgì... embè? Chesto ca vuie facite nun è bello! Se vede propio ca nun le site mamma!
(Risentita) Sora Carmela, impicciatevi de li fattacci vostri...
(Con calma) 'O ssaccio...
Non voio legge... La padrona de casa so' io...
E chi ve dà tuorto?... Ma, vedite, a 'sta piccerella io 'a voglio bbene... Canuscevo 'a mamma...
Embè? Che me ne mporta?
Ve pregavo... nun 'a maltrattate quanno ce sto io...
(Scoppia a ridere) Non me fate ride'!
E' meio che ve n'annate; ne so, pe li mortacci vostri...!
Sa che te dico?... Nun annummenà 'e muorte mieie, ca te faccio fa' 'o strascino pe quanta è longa 'a via!
A chi dici, a me?
Si, a te!... A te!...
(Si sveglia, siede in mezzo al letto, e come sognando dice) Nun 'o ffaccio cchiù!... Nun 'o ffaccio cchiù!
(Avvicinandosi alla ragazza) L'ha appaurata! (accarezzandola) Nun avè appaura... ce sto io cca...
Nun me lassate... Chillo... don Federico..
(Le fa cenno di tacere) Che vole?
T'ha vuttata? (Giulia guarda Virginia). Nun avè paura!... Di'... (appare sotto la porta il padre).
Papà!... papà!...
(Si ferma sotto l'arco della porta. Ha sul dorso il teatrino e nelle mani il sacco coi pupi. Guarda sua moglie e 'onna Carmela, come per chiedere cosa sia avvenuto. Depone la barracca e i pupi, e si avvicina al letto della figlia) Ch'è succieso? Tiene ll'uocchie appaurate...
Mammà...
(A sua moglie) Ma che te si' miso 'n capo d'acciderla a 'sta povera criatura?
Ti rode quarche cosa?
(Alla figlia) Di', ch'è succieso? Che t'ha fatto? (Giulietta guarda la matrigna con occhio pauroso) Guarda a me... Di', che t'ha fatto?... Nun avè paura...
(Con un fil di voce): Niente!
(A donna Carmela): 'Onna Carmè... parlate vuie... ch'è succieso?
E io che ve pozzo di'?... So' venuta pe vedé comme steva 'a piccerella, e l'aggio truvata chiagnenno, sola sola...
(A sua moglie): Sola?... E tu aie avuto 'o curaggio 'e l'abbandunà? Addò si' ghiuta? Ma tu a chi 'ntienne 'e fa' passà nu guaio?... No!... No!... 'A vi' stanema 'e Dio? Io campo sulo p'essa!... E tu ll''e' vattuta!... Tu?
(Protestando): No... nun è stata essa...
(Con premura a sua figlia): E chi é stato?.. Di'! Parla!
Che ghiate penzanno!... Chi puteva essere?
(Afferrando per il braccio sua moglie, le chiede): Isso ll'ha vattuta?! E tu, nfame, l'aie fatto trasì cca? Dint''a casa mia?! Cca... addò sta figliema? Schifosa! Di'!... parla! (si schiaffeggia per la vergogna).
'On Rafé.; che facite!
Papà!..., papà!...
Saie che te dico? Me so' seccata...
(Scattando): Iesce!... Iesce d''a casa mia! Iesce!
Si, sì, mo me ne vado... Tanto cu te che ce guadambio? M'ha fatto sempe morì de fame!
Va... va... add''o nnammurato tuio! Chillo è l'ommo ca fa pe te! (si avvicina alla figlia e le chiede): Chi è venuto cca? (Giulia lo guarda e tace). È fenuto don Federico? (Giulia afferma con la testa. A sua moglie) E staie ancora cca?... (a Giulia): E t'ha vattuta?... (Giulia afferma con la testa). Nfame! nfame! (si slancia contro la moglie)
(Con spavento): Papà... papà mio!...
(Lo trattiene) Lle vulite fa' piglià na vermenara?
(A sua moglie indicandole la porta) Iesce!.... Iesce!.. (Virginia esce guardando con disprezzo il marito). Giuliè... figlia mia! (scoppia in pianto, abbracciando la figlia, e cade sulla sedia).
Papà! papà mio!...
Meno male! Se n'è ghiuta!... 'On Rafè, ringraziatene a Dio! Chella chi sa qua' iuorne ve faceva passà nu guaio... Ma chella ha fatto pe fa' vedè.. (avvicinasi con premura) Iammo... don Rafè... 'o diavolo non è brutto comme se pitta... Se sape: so' chiacchierie ca passano...
Nun mettarrà maie cchiù 'o pede 'int''a casa mia... Maie, maie, maie cchiù! È pe st'anema 'e Dio ca me dispero... Chi l'assistarrà? Chi le lle farrà da mamma? Vuie o sapite quant'aggio 'a faticà pe m'abbuscà nu tuozzo 'e pane...
E ch'è fenuto 'o munno? Simmo o nun simmo napulitane?
Grazie; vuoie avite tenute sempe 'o buon core, e pure 'o marito vuosto...
Te siente male?
Ecco cca! (le cdà la medicina) Brava... brava Giulietta...
Don Federico è stato cca?
Si.
Nzieme cu mam... cu chella femmena?
No... mam... steva cca... Po' è venuto don Federico...
E t'ha vattuta?
Sì... c''o frustino...
(Mostrando il braccio destro). Cca... m'ha fatto male!
(A donna Carmela): 'Onna Carmè... nu minuto... vaco e vengo... (fa per prendere il cappello).
Site pazzo! Cu chi ve vulite mettere?
(Spaventata scende dal letto e gli abbraccia le gambe) No... papà... no... papà!..
(La prende sulle ginocchia): Nun te mettere appaura...
Voglio sta' nzino a te!
Nun facimmo capricce...
(A donna Carmela):: Scusate, dateme 'a cuperta! (Carmela esegue, ed avvolge le gambe della ragazza): E mo che vuò fa'?
Voglio sta cca... abbracciata cu tte... (l'abbraccia) Papà mio!..
Ma tu pigliarraie friddo...
No, vicino a te sto meglio, nun sento friddo..,
(Si asciuga una lagrima): Viato a vuie ca tenite na figlia... Io sta gioia nun l'aggio maie avuta... Dio m'ha voluto fa scuntà 'e peccate mieie.
È overo! 'E figlie so' care, ma quanno nun ce manca niente... E a me manca tutto!..
Dio vede e pruvvede.
È giusto! Na vota io ero artista 'e teatro e chello ca m'abbuscavo 'o spennevo... Nuie simmo fatte accussì... tenimmo 'e mmane spertusate... Chille erano ati tiempe... M' aviveve 'a sentere 'int''e «Due Sergenti» onna Carmè! Fuie 'o destino ca me facette 'ncuntrà cu chella femmena. Ero videvo, tenevo 'sta piccerella, e m''a spusaie. Da chillo iuorno nun avette cchiù pace... tutto iette a rotta 'e cuollo... 'A cumpagnia se sciugliette, io perdette 'a voce, cadette malato, nun putette cchiù recità... e pe vivere, mo... (indica il teatrino dei pupi) ecco chello ca me tocca a ffa'... 'o pupante!
(Gli asciuga una lagrima): Papà... pecchè chiagne?... Nun ce sto io pe tte?
Si, è overo; ma te vularria vedè allegra, cuntenta, e no' malatella accussì...
Aggia sta sempe malata?
No!... Tu t''e' a sanà!
E me purtarraie sempe appriesso a te?
Sempe!... sempe!... (la bacia).
Papà, me vuò mettere 'a veste ianca? chella ca me mettette quanno me facette 'a cummenione?... Te ricuorde?
E comme t'è venuto stu pensiero?
'A vi': sta llà, 'nt''o cumò!
Che capriccio è chisto, Giuliè?
Sì, papà; cuntenteme; te voglio tanto bene! (l'accarezza): Si me faie cuntenta, te do nu vasillo...
(A donna Carmela) 'A sentite? Me pare na vicchiaralla!
(A Giulietta, dopo essersi avvicinata al comò). Addò sta, cca?... 'Int'a stu teraturo?
No, llà, a ll'ultemo teraturo! Sta arravugliata 'inta nu panno russo.
Ma che vuò fa'?
M''a voglio mettere... E... si moro?
Nun 'o ddi'! (turandole la bocca); E me lassarisse accussì?! Sulo sulo?
E che so' sti discurse? Iammo, mo te vesto io! (la prende in braccio, la porta sul letto e la veste).
Nun tengo parole pe ve ringrazià...
(A Giulietta): Quanno po' starraie bona, te ne venarraie pe sempe cu me!
E papà?
Papà ha dda fa' 'e fatte suoie... Quanno po' vene, 'a sera, allora te starraie cu isso...
E nun 'o pozzo accumpagnà?...
No!... Tu starraie sempe cu me! Ce vuò sta? Sì? Rispunne...
E papà?
Papà nun te lassarrà cchiù... Starrà sempe vicino a te... Si' cuntenta?
(Batte le mani per la gioia): Ah! si... si!...
È fatto!
'E scarpe?
Pure 'e scarpe? Addò stanno?
'Int''o cumò... (Rafele le prende e le dà a Carmela).
Dimme na cosa, mo ca te si' vestuta vulisse ascì?
No... me l'aggio voluto mettere... che ssaccio... (Rafele guarda 'onna Carmela col gesto disperato di chi sa che il destino non ha più rimedio).
(Sottovoce a Rafele): E che so' sti lacreme? Curaggio!... Nun 'a vedite comme sta allegra?
Ogge sta peggio! Nun vedite c'uocchie tene?
'E piccerelle so' fatte accussì... Mo 'e vedite abbattute, malate... a n'ato poco zompano a ridono... (a Giulietta): È overo ca te siente meglio? (Giulietta con la testa afferma e si avvicina al padre) Avite visto? Me date 'o permesso, 'on Rafè? Vaco a priparà nu poco 'e cena a Vicienzo, e torno subeto...
Facite 'affare vuoste...
Ve ringrazio...
Ma che so' sti ringraziamente?
No, grazie... veramente... m'aggio suppuntato 'o stommaco...
Allora cchiù a tarde, quanno vene Vicienzo, trasite nu mumento... Nuie v'aspetammo!...
Si... cchiù tarde... grazie!
(Con gioia): I' pure...
Tu mo t''e' 'a cuccà...
Voglio venì pur io...
E va buono... nun piccià... (esce).
Comme te sta bella sta veste!... T''a vuò levà?
A n'ato ppoco... 'Into''o cumó ce sta pure 'a nocca celeste p''e capille... (fruga nel tiretto, prende un velo bianco e lo mostra al padre) Papà, guarda: te ricuorde? M''o purtaste quanno me facette a primma cummenione... (Il padre guarda con dolore la figlia) Mo 'o metto cca, 'nt''a sta scatola, accussì nun se sciupa... (seguita a cercare) Ah! 'A vi' cca! (mostra il nastro cilestrino e lo lega tra i capelli) Me sta buono?
Giuliè... iammo... cuccàmmece...
(Ha un forte colpo di tosse): N'ato poco...
'E' visto?
(Sostenendola) 'E' visto? Tu nun te mantiene a ll'erta... Iammo, famme cuntento...
Si... papà,... é overo... m'avota 'a cape...
Cucchete (sostenendola, la porta vicino al letto).
Ma 'a veste nun m''a levo...
Comme vuò tu. (La fa sedere sul letto, accomodandole i cuscini alle spalle). Staie bona accussì?
Papà, me vuò fa' un piacere?
Di'... che vuò?
Ma tu me dice ca si?
Eh sì... te dico ca si...
Me vuò fa' sentere l'opera d''o diavolo cu Pulicenella?
Giuliè, che vaie pensanno!
(Con voce di pianto) Si, papà... me l'aie prummiso...
Giuliè, nun me fido... Tu saie c'aggio faticato tutt''a iurnat...
Chi sa' si 'a pozzo sèntere... n'ata vota...
Te si' dispiaciuta? (Giulietta non risponde) Che mme puorte 'o musso? E te voglio fa' cuntenta! Ma sulo l'opera d''o diavolo cu Pulicenella?
Sì... sì... Bravo papà!...
Tu nun te movere 'a lloco... Miettete 'a cuperta ncopp''e ggamme... (le mette la coperta sulle gambe, poi va sciogliere il sacco, che li contiene; e, prendendo nella mano destra Pulcinella e nella sinistra Colombina, si prepara alla recita).
Papà, nun abbrevià... Fammella sentì tutta quanta...
E va buono! (entra nel teatrino e con voce nasale, chioccia, comincia la farsa «Pulcinella e il diavolo»).
(Picchia alla porta di Colombina e la chiama) Culumbì!... Culumbì!... Culumbì!... (Picchia di nuovo) Neh! tu ce siente?
(S'affaccia al balcone) Si' tu, Pulecenè?
Scinne: nun 'o vvide ca sta chiuvenno?
Zitto, ca ce sta 'o patrone!
E scinne zitto zitto...
Mo scengo... (Scende e fa segno a Pulcinella di avvicinarsi) Si' sempe nu scemone!
(Abbracciandola) Sciasciona mia, viene 'int''e braccie meie!
Tu si' tutto d''o mio?...
Chello ch'è tuo è mio e chello ch'è mio è tutto d''o mio!
Io moro e spanteco pe tte... St'uocchie tuoie m'hanno apierto na furnace 'int''o core. Io nun dormo cchiù. 'A notte me sceto, e penzo a tte! Nun arreposo, nun trovo cchiù arricietto... Me sento 'e viscere arrevutà... 'O core fa tic-tac. Io so' nu Vesuvio!.... (abbraccia Colombina e la bacia).
Brrrè... brè... brè...
(Come se suonasse il tamburo) Brè... brè... brè...
Brrr.. bravi.. bravi... Seh! Mo v'acconcio io! (rientra in casa e ne esce con un bastone).
(Intercede per Pulcinella) Signò, chisto m'è frateme; mo è venuto 'Acerra...
Bu... bu.. bu.. giarda!
Bu, bu, bu!... Ma ch'è 'o ffuoco 'o Carmene?
Insalata!... Insolente!... (Alza il bastone e cerca di picchiare Pulcinella, ma ad ogni colpo questi abbassa la testa e il colpo fallisce. Giulietta batte le mani).
Ah! ah! So' muorto!
Accussì nun 'o farraie cchiù... (Pulcinella ad un tratto si alza e afferra il bastone. Qui ha luogo una lotta per la conquista del bastone. Pulcinella riesce vincitore, e giù legnate da orbo) Aiuto! aiuto!...
(Ride e batte le mani per la gioia). Da', da'!...
Teh! teh! N'ata vota te 'mpara a ffa' 'o malandrino!
(Sotto la pioggia delle bastonate è morto. Pulcinella lo prende fra le mani e lo dondola fuori dal parapettino, come una campana).
Ndà mbò!... ndà mbò!...
(Ha un violento colpo di tosse, si porta le mani alla gola, come chi si sente strozzare, vacilla, reclina il capo) Papà!... Papà mio!...
(Esce di sotto le tende, gitta a terra i fantocci, si strappa il grembiule, si precipita verso Giulietta e la chiama con voce d'angoscia) Giuliè... Giuliè... figlia... figlia mia!... (la scuote, le solleva la testa, la guarda neglio occhi, poi si alza, si guarda attorno, si precipita sul letto e baciando la piccola morta) Morta!... Morta!... (Resta lungamente abbracciato al corpicino della ragazza. Ad un tratto si alza automaticamente, avvicina il tondo ai piedi del letto, prende la lampada votiva dal canterano e la pone sul tondo. Si avvicina alla morticina e con amorosa pietà le accarezza i capelli, le congiunge le mani, le chiude gli occhi, la bacia. Un sorriso di sfiducia gli sfiora il labbro, dondola il capo e con disprezzo guarda il teatrino, i pupi sparsi per terra, e col piede li spinge lontano. La porta si apre e appare Virginia. 'On Raffaele ha un sussulto, guarda la moglie, questa abbassa il capo; poi guarda il cadaverino, indietreggia, sparisce nella via. 'On Raffaele fruga nel tiretto del canterano, prende il velo e commeunautoma copre il corpo della figlia. Cade in ginocchio dinanzi al letto, ed erompe in pianto, abbandonando il capo sul materasso).
Napoli, 16-20 luglio 1896.
A
Gerolamo Rovetta
'Onna Sufia 'a Nirone, mercantessa.
'Onn'Amalia.
Criscienzo, cocchiere da molo marito di 'onna Sufia.
D. Eugenio, impiegato al Monte della Misericordia.
Luca, artista pittore.
Emilio, studente.
Salvatore, aperaio di Guppy.
Mariano, muratore.
D. Ferdinando, medico.
Cuncettina,
Franceschella, ragazza al servizio di 'onna Sofia.
Il basso di Donna Sofia, la mercantessa. Sulla sinistra un gran letto d'ottone lucente, con una ricca coperta di seta damascata, a colori volgarmente sgargianti. Al capezzale un'imagine dell'Addolorata con le sette spade d'argento in petto, chiusa in una cornice ovale dorata. Poco più in giù un acquasantino di argento antico, accanto al quale pendono due candele listate di carta colorata. Ai due lati del letto due comodini di mogano, massicci.
Di contro un armadio a due luci, due sciffoniere con sopra due grandi quadri; una oleografia di S. Vincenzo Ferreri, ed una stampa di S. Anna. Dinanzi alle sacre imagini stanno lampade e candelabri.
In fondo è la porta d'entrata. Alla destra una cristalliera piena di stoviglie e di argenteria. Tutto il mobilio è quasi ammucchiato, senza ordine, nè stile, in quella casa di popolana arricchita, come in un magazzino di rigattiere.
Dal soffitto pende un lampadaro di cristallo con steariche rosse. Sedie di Vienna per la casa; ai piedi del letto una dormosa; nel nel mezzo, un tondo con marmo bianco.
Sono le ore antimeridiane di un giorno di Marzo, mite e odoroso.
(Sofia è seduta su di una paltrona; è pallida, sofferente. Criscenzo le siede vicino e cerca di confortarla).
(Con un filo di voce). É fenuta pe me!... Mm''o sento!..
Nun ghiastemmà, ca finchè c'è vita, c'è speranza.
(Con tristezza) 'O ssaccio... Tu comme aie 'a di', pe mme dà curaggio? Rieste vidovo nun ce penzà, e te può spusà a 'Nnarella cu 'e denare mie.
E sempe 'a stessa canzona!
Tu 'a vuò bene a 'Nnarella... e chi sa si nun so' state 'e ghiastemme soie!...
Tu qua' Nnarella vaie cuntanno?...
N'ato poco, e t''a spuso... e c''o sanghe mio, c''o sudore d''e fatiche meie...
Sufì, penza a sta' bona! Che vai mettenno mmiezo, mo! Mmece 'e te mettere 'ngrazia 'e Dio, ca te l'ha ditto pure 'o cunfessore.
(Con terrore) 'O cunfessore?! 'O cunfessore... è overo, chesto m'ha ditto: «Sufì, figlia benedetta, miettete 'ngrazia 'e Dio, na vota pe sempe... » E ave ragione... Giesù Cristo pe chesto m'ha fatto arreducere accussì, e po' se n'è scurdato!...
Vattennne, ca Dio nun abbandona a nisciuno... e specialmente a chi se pente... Fa chello che t'ha ditto 'o cunfessore, e nun te n'incarricà.
E chesto farraggio. Aggio mannato già a chiammà pe Francischella na bona purzione 'e gente, p''e pave che tengo dispenzate, e l'aggio mannato a di' ca nun voglio manco nu cientesemo 'e 'nteresse... Me voglio ritirà sulo 'o capitale, e niente cchiù. Faccio buono Criscenzo?
Buono.
(Addita il comò) Tira 'o primmo teraturo d''o cumò: llà ce stanno sei fazzulette 'e seta, e sei scialletielle 'e lana; pigliatille e vide d''e vennere pe chello ca me costano... cinche lire l'uno e... ammeno accussì scacciammo 'a tentazione...
Va buò: po' se ne parla 'e chesto.
No: primm''e mo... Tu nun saie nuiate mercantesse che passione tenimmo pe stu mestiere... Simmo tentate ogne minuto sicondo...
(Va a chiudere il tiretto). E va be': io mo nzerro e me porto 'a chiave cu mme.
Accussì pure va buono... Ma saie ched'è? Io vuleva 'ntruità subeto subeto 'e denare mieie, pecchè, capisce?.... a prezzo 'e costo tu l'avarrisse vennute ampresso ampresso... Ma basta: nun fa niente: stanno nchiuse 'int''o cumò, e pure è 'o stesso.
Penza a Dio, ca te fa santa.
Ch'aggia fa'? Perdo chello pucurillo ca m'aveva abbuscà... Tanto pe tanto mo è ghiuta 'a varca a mare! Accussì po essere ca me levo 'o vizio. (una breve pausa, poi con rimpianto) Vizio! E già... ch'aggia dicere mo? nu vizio, ca s'abbuscano 'e dudece carri c''a pala...
Se sape: 'o ciento pe' ciento 'o mese.
E chello ca se perde nun nce 'o mmiette? Parle bello, parle... E t'aie sta' zitto pure... si no appurano 'o debole, nisciuno pava cchiù.
Sì, ma tu nun 'e' perduto maie nu sordo... Si tutte 'e banche se sapessero fa' pavà, comme te saie fa' pavà tu, t'assicuro ca nun se sentessero tante fallimente.
Povera a me! Già: tu me si' state sempe cuntrario.
Se capisce!... 'A cuscienza nnanz''a tutte cose...
E mo ca te lasso 'e denare mieie, cu che cuscienza t''e piglie?
Primma 'e tutto, chesto nun succederà maie, pecchè tu staie bona, ma si, a ffunno 'e mare pozza i', succedesse, io ne facesse sempe dicere messe a l'aneme pezzentelle.
'O ssaccio... tu si' ommo 'e cchièsia e quanno muore truove 'e porte d''o paradiso aperte... A me m'attocca l'inferno... 'O ssaccio... 'o ssaccio... (piange)
Tu chiagne? E che so' sti lacreme? 'N capo a te, ca tutte 'e pec cature vanno 'a casa 'o diavolo? Si, staie fresca... Si sapisse quante se ne sarvano pe nu minuto, nu sicondo sulo 'e pentimento sincero... E tu ll''e' avuto!
Accussì fosse overo!
Ce vò 'a fede: 'a fede sulamente.
'Onna Sufi?
Guè, Franceschè, si' stata a du tutte quante?... Ll'e' ditto ca 'e voglio assolutamente, nicessariamente?...
Gnorsì. Comme m'avite ditto vuie. Sulo a Cuncettina 'a sarta nun l'aggio truvata; 'e figlie m'hanno ditto ch'è ghiuta anfino a ncoppa 'agenzia 'e don Mariano pe fa' nu pigno...
Povera guagliona! S'è zeffunata 'a ch'è muorto 'o marito! Cinche aneme 'e Dio; e tutte 'e cinche comme songo 'e dete d''a mano!
Guè, a la fine è figliola: ce stanno tanta vie pe ghì a Roma!
Cuncettina, però, comme tu saie, è na bona figliola...
Chi campa deritto, campa afflitto! (Dolendosi). Ah! Mamma d''o Carmene! Che dulore! Cca sta 'o mmale mio, cca dinto!... (Toccandosi la pancia).
Signò, miettece 'a mana toia!
Na furnace cca dinto!... Me sento ardere 'e stentine 'n cuorpo... Ah! San Giro beneditto! Vengo scàveza a nfino a Puortice, si mme faie 'sta grazia... Criscè!... Siente... Nun te sfastirià... Me vuò fa' nu piacere?
Si putisse passà nu mumento 'a chella mariola d''a Rossa...
Pecchè?
M'ha dda dà vinte lire; e nfino a ogge ancora m'ha dda mannà nu srodo...
E parle 'e te mettere 'n grazia 'e Dio?
Allora, comme dice tu, me vuò fa' perdere pure 'o capitale?
Siente a me: aizele 'a mano...
(A poco a poco accalorandosi) Aizele 'a mano?! E già! Tu te ll''e faticato cu ll'anema 'e mammeta! Ch'aggio ditto ca voglio 'o 'nteresse? Io voglio 'o sanghe mio, 'o sanghe mio sulamente... E sì! MO lle manno pure nu cumprimento appriesso! Si avesse tenuto a n'at'ommo vicino, a ll'ora 'e mo... chi sa... Ma aggia sta' bona!... Puverella a essa.
Ma comme aggia fa'? Io m''o scordo, me scordo 'e tutte cose... (Si commuove). Sto 'n punto 'e morte, è overo, ma me vene n'arraccia, ca mme farrie passà brutto nu guaio.
Nun 'mporta: nun te piglià collera... ('onna Sufia si riversa con la testa sulla spalliera della poltrona). 'E' visto? Tu t'arragge e te faie cchiù male. Nun penzà a niente, ca 'e denare veneno cu 'e piede loro.
Si, aie ragiona: nun voglio curà niente cchiù. Sulo 'a salute mia... (alla ragazza di servizio) Francischè, 'e' avisato a tutte quante che venessero?...
Nun dubitate. M'hanno ditto ca mo veneno.
C''o commeto vuosto, 'onna Sufi. IO nun vaco truvanno chesto.
(Sottovoce alla ragazza) Nun ce penzà: 'o fazzuletto t''o dongo io dimane.
(Sospettosa) Che ll' 'e' ditto?
Che fosse iuta a chiammà 'o miedeco.
E pecchè? Io nun 'o voglio...
Chesta è n'ata fissazione...
Vattenne ca chillo è nu 'mbruglione.
Pure chesto!
Pecchè? Nun aveva ditto ca era gravidanza?!
Tutte quante ponno sbaglià.
Seh! Isso sbaglia, e io me ne vaco 'o campusanto!
(Dalla soglia) È permesso?
Guè! 'E vuie stevemo parlanno...
Forse per la bevanda, che è un poco amaretta?
Già... Dice ca è nu poco amara.
Figlia mia, a la fine è nu calmante. E poi, come si dice? amaro, tienelo caro!
No... No... Io nun voglio niente cchiù! Voglio murì!
Ma la scienza non lo permette.
'I che scienzia ca tenite vuie! M'avite pigliata pe prena, m'avite.
Sufì! Sufì!... Accumminciammo?!
Vattennne, va te fà squartà tu pure!... 'O miedeco! È meglio ca ve mettite a fa' 'o ferracavallo, mmece d'accidere 'a carna vattiata...
Ma, don Crescenzo! Questo è troppo!
Duttò, cumpatitela: è 'a malatia.
Vedete... Solo per rispetto vostro mi sto zitto. (a donna Sofia) Poi, del resto, voi siete la padrona di farvi curare da chi vi pare e piace. Pagatemi, e felice notte.
Oh, bella questa! Secondo voi, per essere pagati, dovremmo guarire tutti? Eh! E starriemo frischi!
E allora è meglio ca ve mettite a fa' 'o schiattamuorte!
(A Crescenzo) Ma la sentite!?
Sufì!...
Ma che te si' miso 'n capo, tu e isso? Ve credite ca 'e denare se ietteno?
Questo non m'importa.. Vi ho curato per più di due mesi, e quindi...
V'aggia ringrazià pure appriesso? Vuie pe nu miracolo 'e Giesù Cristo nun m'avite accisa prima d''e iuorne mieie...
Ecco quanto mi tocca di sentire per non essere stato cauto...
Duttò! Chella è femmena, e parla addò va va!
Ma la mia dignità...
Nè... don comme ve chiammate vuie, ma che ve credite ca io tengo 'e mmane attaccate? 'A dignità!... Guardate chi parla 'e dignità!
Ora, basta
Pecchè? M'avisse 'a vattere? (fa per alzarsi) Mo, me faie saglì 'o sanghe 'a parte 'a capa!...
A me?!
Si, a te!
(Si alza e si pone fra i due; avvicinandosi di più al medico, gli dice sottovoce) Don Ferdinà, tenite nu poco 'e prudenza, si no chella ve vatte.
Bene pagatemi, e finiamola.
Sufì, figlia mia benedetta, nun te sbollere! (sottovoce) Tu 'o ssaie ca 'e miedece doppo c'accideno, s'hanno a pavà 'e stesso.
E chillo tene chella bella maniera!...
Ma, scusate: vuie parlate a schiovere.
Venimmo a nuie. (al medico) Quanta visite avite fatte?
Sentite: non parliamo di visite, perchè sono più di duecento.
Ched'è? Ogne vota ca veneva era na visita?
Ve site scurdata ca venevo 'a matina, 'o mezzogiorno e 'a sera?
Va be' pavalo, e nun fa' chiacchiere...., Duttò, quanto avite 'avè?
Che debbo dire? Fate voi.
Dicite vuie, ca è meglio.
Be' fate duecento lire.
(Ha uno scatto e salta dalla sedia come spinta da una molla) Duiciento scannaturate 'n canna!.. E chi 'e tene duiciente lire!
'E denare mancano a me, non a voi... Capisco ca ve sape a duro; ma non c'è che fare.
E si nun ve voglio dà manco nu sordo?
E se vi mando una citazione?
Io nun tengo che perdere...
Questo poi lo vedremo, si tenite che perdere...
Nonzignore, chesto nun ce ha dda essere (a sua moglie) Piglie 'e denare e dammille a me, ca mo acconcio io 'o duttore...
Ma quanto vuò, 'a me puverella?
Damme cinquanta lire: iammo.
Cinquanta lire?!
Ma per fare che cosa?
Pe ve pavà...
Cinquanta lire! Mavuie forse state pazzianno?
No, io dico seriamente...
Povere denare mie!
Facimmo iusto sissanta.
Che vendiamo all'asta pubblica, forse?
Sissanta lire, meh!
Impossibile!
Ottanta.
Guè, ma che ghiammo arrubbanno? Tu a quanto vuò saglì?
Per farvi vedere quanto sono galantuomo, datemi cento lire, e finiamola.
Mio signò, vuie nuvanta lire 'e vulite? No? E allora facite chello ca vulite vuie.
(Sottovoce al medico) Duttò, pigliatevelle, ca ve dongo io l'ate diece lire.
(A Franceschella) Si' rimasta llà mpalata! Te muove o nu' te muove? Llà, int''o tiraturo d''a culunnetta, piglia 'o sacchetiello d''e denare.
È permesso?
Don Eugenio! Favorite. Favorite.
Grazie.
Francischè, piglia na seggia a 'onn'Eugenio.
Non vi pigliate fastidio: m''a piglio io stesso. (piglia una sedia e siede).
Senza ceremmonie... Io tengo 'e mmane 'mbarazzate.
(Al marito) Avimmo cuntato?
Cinche cuoppe.
Sei... sette... otto... nove... diece...
Scusate, sti solde sono pe me?
Pecchè? nun 'e vulite?
Ma io non sono venuto a riscuotere con l'asinello.
Pecchè, non so' denare?
Va bene, duttò, nun fa niente; (al medico mettendogli nella saccoccia i tondi da cinque lire). 'O vedite cca: ve ll'aggio sistemate io stesso. (poi sottovoce) Aggiate pacienza... Nun 'a cuntrariate... È malata, capite? (alla moglie) Sufì, e ll'ati quaranta lire nce 'e daie 'e carta?
Si 'e tenesse, pecchè no?
(Irritato) Ma!...
Allora nce 'e daie 'argiento?
'E bi' cca: duie cuoppe 'e vinte lire l'uno. (al medico) Avite 'avè niente cchiù?
(Intascando il danaro) Nonsignore... Ah! Povero Esculapio!... Statevi bene. Vi ringrazio... Statevi bene... (esce).
Conservatevi...
Te pozzano addeventà gravunelle, sperammo a Dio!
'Onna Sofia... In verità, io non so che cosa volete da me. Io mi trovo perfettamente in regola col pagamento....
(Con meraviglia) Dite sul serio?!
Don Eugenio mio, io sto assaie malata e me voglio mettere nu poco 'ngrazia 'e Dio.
Quanto siete buona!...Ma che ve sentite?
'O male mio sta cca dinto... (si tocca la pancia),
Povera 'onna Sufia!
Sulo Dio me po salvà! A isso, a isso sulamente tengo fede!
Non dubitate, guarirete subito... E diciteme na cosa: mo io non vi debbo più nulla?
'Onna Sofia mia, se non viene il ventisette del mese, non vi posso servire... Voi lo sapete. Il Pio Monte della Misericordia paga il ventisette. Però vi avverto che non vi porto tutto. Quanto più posso: ecco.
Facite vuie... Vuie site nu galantomo... Chi sa! Forse, quanno venite 'e vintisette, nun me truvarrate nemmeno.... Ma vuie 'e denare 'e putite consegnià a Criscienzo... Avite capito?
Non dubitate. Fino all'ultimo centesimo.
Site rimasto cuntento?
Contentisimo, vi pare! Fino a mo, pagando solo gli interessi, ho pagato già tre volte il capitale.
E che vulite di'?
Voglio dire ca... na vota ca me trovo abballanno, voglio pavà pure 'o nteresse, e da voi non voglio essere benficato nemmeno un soldo.
(Sorpresa) Ah sì!? Giesù! Va a fa' bene ncoppa a 'sta terra!
Io ve ringrazio d''o bene vuosto... Il mio desiderio è di pagarvi tutto.
Ma sapite ca site nu bello tipo?
Io non voglio niente da voi. Comm''o vulite capì?
Gué! Nun v'alderate... Facite comme vulite vuie... 'E vintisette quanto me purtate?
Cinquanta lire.
Sentite a me, io ll'ati cinquante 'e nteresse v''e perdono.
Sentite a me, io ll'ati cinquante 'e nteresse v''e perdono.
Io nun 'e voglio... Avrete tutto. Dovessi toglierlo di bocca ai miei figli!
(Un giovanotto smilzo e nervoso. Gesticola sempre). M'avite mannato a chiammà, 'onna Sufì? Ma, avite avè 'a buntà d'aspettà n'ato ppoco... Ora mi trovo assicco a denare e nun tengo nemmeno per pagarvi gl'interessi.
No: nteresse nun ne voglio cchiù; aggio aizato 'a mana a tutte quante!
(Con gesto di grande sorpresa) E comme va?
Pe fa' na bona azione.
Salute e bene!
'Onna Sufi, sèveri voste!
Turì, Marià, v'aggio mannate a chiammà pe ve dicere ca nun voglio cchiù 'o nteresse d''a pava ca tenite mmano.
(Che ha già i soldi nelle mani) Allora vene a di' ca m''astipo n'ata vota 'int''a sacca? Guè, 'onna Sufia s'ha fatto cuscienzia!
Io v'aggio dato denare, e nu' pezze vecchie. Cca 'a cuscienzia nun ce trase.
Ave ragiona 'onna Sufia. 'A cuscienzia nun ce trase.
Ched'è? Ve site pigliata collera?
Tò, fanne a meno 'e sti chiacchiere.
Ave ragione 'on Criscienzo... Certe cose non bisogna dirle.
Embè, allora stammece zitte!
(In tono lamentevole, come per dolore) Ah! Nun mme fido cchiù! Io mo moro!
Comme iammo, 'onna Sufi?
Nun 'a vedite? Se sta turcenno 'e chella manera!
E 'o miedeco ch'ha ditto?
Ch'aveva 'a di'! Chillo mariuolo!...
Si avisseve ntisa a me, a ll'ora 'e mo... chi sa!
Avite ragione! Avite ragione! Aggio tenuto 'a capa tosta.
Ma, si vuie vulisseve, starrieme ancora a tiempo.
(Con gioia) Ancora a tiempo?! 'Onn'Amà vuie dicite overamente?
Nu tentativo, a la fine, nun ve costa niente.
E 'o putimmo fa' mo?
Mo stesso.
Uh! Aneme d''o Priatorio! Fose angelo 'a vocca vosta, 'onn'Ammà!
Però, avimmo 'a restà sole sole.
Sì... sole... tutte 'e doie... Neh, bella ge', vuie ce facite 'a gentilezza 'e ve ne i'? P''e denare, v''a vedite cu maritemo. E ricurdateve ca ve l'aggio date 'argiento... Me l'avisseve 'a purtà 'e bronzo?
Stateve a penziero sicuro.
Nun ce penzate. Doppo ca nce aggia pavà 'a cagnatura...
Statevi bene. Allora, a vostro marito?
Sì... sì... a maritemo.
A rivederci.
<br/<
Stateve buone tutte quante (escono tutti).
(A 'onn'Amalia) Io pure aggio 'ascì?
'On Criscè, vuie pure.
Ma ch'avit''a fa'? Si 'o miedeco nun ce 'a pututo!
'On Criscè, me dispiace ca site vuie!..... Comme cheste fosse stata 'a primma c'aggio fatto sta' bona!.... 'Onna Sufia tene 'o diavolo 'n cuorpo... Vuie capite o no?... E a fforza 'e scungiure ce ll'aggia fa' ascì...
Ched'è? Mo è diavolo mo?...
È diavolo, gnorsì.
Ma, dich'i', pe do' ll'è trasuto?
Quanto site buono! 'O diavolo se mpizza pure...
Sarrà!
Nun ce penzate ca v''a faccio sta' bona, subeto subeto.
Giesù Cristo mio! Mo se vede!
Meh! Nun perdimme tiempo.
Io mo vengo, allora (esce).
Nun tricà, ca io me metto paura... Veco tant'ombre nere attuorno a me.
'O vedite? Io nun me sbaglio maie. 'Onna Sufi, primm''e tutto nzerrammo 'a porta.
Nzerratela c''a chiave...
Accussì stammo sicure (chiude).
Che ce vò?
'Onna Sufia mia, nun ve pigliate collera... Cca, primma 'e tutto ce vonno 'e llire.
(Trepidante) E... quanto ce vò?
Vedite... pecché site vuie... pecchè ce canuscimmo 'a tanto tiempo... me date duiciento lire.
Accussì assaie?! Mo me vene na cosa!...
P''a salute se fa chesto e ato!
(Forzatamente rassegnata). Embè, quanto vulite vuie... Ma sto bona overamente?
Ncoppa a chesto, nun ve pozzo risponnere... a colpo sicuro. Quann''o vulite sapè, vonno mille lire.
Mille lire?!
Tanto ce vò. E m'avite 'a dà primma n'anticipo...
(Accesa dalla speranza) V''o dongo...
Cincuciento lire nnanze, e nun ve credite ca v'afferro pe ccanna... Sti cose se pavano a caro prezzo. Ve ricurdate 'a Nnarella? Nun teneva 'a stessa malatia vosta?
(Dandole cento lire) Pe mo chesto.... Appriesso quanto vulite vuie.
E vulite vedè comme è overo ca tenite 'o diavolo 'n cuorpo? Diciteme na cosa: ve sentite nu fuoco n'abbruciore dint''a panza?...
Sì.
Ve vene sempe 'o desiderio 'e iastemmà, 'e fa' peccate?...
Sì...
Embè, chisto è 'o diavolo...
Madonna d''a libera!... Io mo moro d''a paura!
Ma io ve salvo, però.
'Onna Amalia mia, pe carità, levateme 'a tentazione! Io sto 'int''e mmane voste. Vuie m'avite 'a fa sta' bona. Io faccio tutto chello che vulite vuie!...
Ecco cca. Io so' pronta. Accuminciate 'a di' duie paternostre. E nun ve mettite paura si sentite quacche rummore, ca appriesso ce penz'io.
(Recita atterrita i due paternostere).
Addò ve sentite 'o dulore?
(Indica il lato destro della pancia) Cca!
(Spaventata) Cca?! A deritta?... Ah! Puverella a vuie! Si era a sinistra, era cchiù facile. Basta. Tentammo.. (S'inginocchia davanti a 'onna Sofia e le fa parecchie croci sulla pancia, mormorando parole incomprensibili). Ve sentite niente?
Nu fuoco...
Zitto, ca mo se scatena: «Spireto maligno!... Avummaria, grazia plena. Pe San Michele Arcangelo ca sotto 'a spata te tenette... Avummaria... Scràstete, sciògliete, scatènate 'a stu cuorpo 'e sta femmena! (Cava dalla tasca del grembiale una figura di San Michele e la mette sulla pancia di 'onna Sofia).
(Implorante). San Michele! San Michele beneditto!
(Tiene con ambe le mani la figura sulla pancia di 'onna Sofia ed esclama un'ultima volta) Scràstete, sciuògliete... scatènate... Avummaria ecc. (Una breve pausa). Ve sentite meglio?
Si, nu poco meglio: 'o dulore m'è passato.
Allora è fatta 'a botta!... San Michele ha scacciato 'o diavolo. Pe tutto dimane, ve susite e cammenate.
Vuie che dicite?! Io mo moro p''a cuntentezza!
Nun ce penzate: è riuscito tuttecosa.
A nomme 'e San Michele beneditto! Isso è stato ca m'ha fatto 'a grazia.
Isso primma... e po' io... e me ne so' addunata, quanno v'aggio fatto 'e croce ncoppa 'a panza... pecchè m'aggio ntiso sotto 'e mmane comme a na cosa ca s'è muvuta e s'è arravugliata... Allora aggio ditto: è fatta. E vuie stessa 'a chillo mumento avite avuto 'a sentere nu brutto dulore.
N'ato poco murevo! M'aggio ntiso ammancà 'o rispiro,.. è overo. Me sento bona e me pozzo n'ata vota chiaità 'o sanghe mio, cu sti quatte magnafranche ca conno sempe denare. Io 'o diceva ca 'o miedeco s'era sbagliato e s'ha pigliata nuvanta lire 'a me vergene vergene. Ha dda ittà nuvanta cate 'e veleno, sperammo a Dio! E chill'ato buono cristiano d''o cunfessore, che m'aveva cunsigliato d'aizà 'a mano, p''o nteresse, 'a tutte ll'accunte mieie!... Seh! Avevemo magnato a una taverna, forze, o ce ll'avevamo faticate nzieme!
'E prievete?! Manco 'e notte v''e puzzate sunnà! Vuie dimane, piacenno a Dio, ve n'ascite e ghiate arrecogliere vuie stessa.
Se capisce... 'e voglio accuncià io p''e feste. Accuminciammo 'a 'onn'Eugenio, chillo puducchiuso, ca s'è vestuto pure 'e carattele. Dimane me vesto, bello pulito, mo metto 'o crespo, 'a rusetta, 'e perne, 'anella 'e brillante; e mm''e vaco piscanno p''a mano attuorno... Seh! Me vulevano fa murì!..
È permesso? (timidamente)
(Con dispetto) Guè, si tu? Che te manca? Che, pure tu me credive morta?
No, 'onna Sufia mia, cient'anne 'e salute a chi male e bene ce vò...
'O saccio, 'o saccio!... Ma che buò? Si viene pe denare, t''o dico 'a mo ca nun tengo manco nu cientesemo. 'Sta malatia....
Ma io v'aggio pavata sempe. Io stammatina aveva 'a cunzignà otto cammise 'e musullina a na signora... So' ghiuta, e chella benedetta pozza essere, nun ce steva. Io nun vuglio assaie, che ve credite?...
E m''e' purtate 'o 'nteresse ncoppa 'e vinte lire?
Ma guardate: io vengo pe ve cercà quacche cosa, e vuie vulite 'o nteresse d''e vinte lire! Io nun ve l'aggio anniato. Dimane matina cunzegno e v''o porto.
E dimane te piglie pure 'e denare, allora. Va bene?
Tengo 'e criature ca m'aspettano a' casa. Io che lle dico?... 'Onna Sufì, io nun ve cerco assaie... Vuie me prestate doie lire e io dimane v''e porto aunite c''o 'nteresse 'e ll'ata pava.
E chi m''e ddà?...
Quanno chela nun 'e tene, ch'ha dda fa'?
Vuie vedite!
Se capisce, bella mia, vuie avite 'a levà primma 'o viecchio, e po' mettite 'o nuovo... A la fine, 'onna Sofia, nun campa 'e renneta! E si sapisseve chello ca se n'è ghiuto p''a malatia...
M'hanno spugliata viva viva.
(Con dolcezza) Ma io nun v'aggio cercato na somma. Se tratta 'e doie lire. Dimane ve ne porto tre.
E pe chi m'''e' pigliata? 'A cuscienzia nun mme l'apporta; tu 'o ssaie ca me piglio quatto sorde a lira pe na semmana; tu dimane puorteme 'o nteresse d''e vinte lire e io t''e dongo 'e doie lire.
Ma dimane nun me servono cchiù.
E allora vattenne. I' che ce pozzo fa'!
'Onna Amà, dimane me venite a truvà?....
Comme, no!...
V'aspetto?
Comme, no!...
V'aspetto?
Certamente, ve pare! Vulite niente 'a me?
Voglio ca state bona.
Manteniteve forte, e ce vedimmo dimane (esce).
Bona iurnata! Bona iurnata!... (a Cuncettina) E tu? Staie ancora lloco? Nun te ne vaie?...
(Con le lacrime agli occhi). 'Onna Sufì, facitelo pe carità tengo cinche aneme 'e Dio ca m'aspettano. Si fusseve mamma pure vuie me putarrisseve cunsiderà overamente! Vuie nun sapite chye vò di' sta parola!
Ma pecchè nun cagne arte, dich'i'? Che te può abbuscà cusenno biancaria? Mo ce stanno tanta belli mestiere, ca se fatica poco e s'abbuscano 'e cape lire.
(Con risentimento) A me m'è piaciuta sempe 'a fatica, pe revula vosta! Melgio purtá na vunnella 'e percalla, ca na veste 'e seta, 'onna Sufì! Io nun ne mangio 'e stu ppane!...
Ma tu, 'e' capito, io che voglio di'?...
E ce vò 'a zingara?... Basta: cagnammo trascurza ca è meglio pe me e pe vuie (tornando dolce). E che vulite fa'? Me vulite prestà 'e doie lire? Nun dibutate: dimane, 'a costo 'e me vennere 'n galera, ve ne porto tre.
(Seccata) 'I che zecca cavallina! Ma comme 'o vuò sentere ca nun tengo denare?
E addò vaco? A du chi vaco? Ah, Madonna mia, famme murì!... (Piange e cade su si una sedia. In questo mentre il dolore assale di nuovo 'onna Sufia, che siede contorcendosi).
Ah! Madonna!... Madonna!... Io mo moro!. Aiutateme! Io mo moro!... (Cuncettina la guarda in atto di disprezzo, e si alza quasi per fuggire). Cuncettè!... Fèrmete!... Viene 'a cca!... Siente... Nun me lassà accussì... I' mo moro!... Aiuteme!... Aiuteme!... Pe carità!...
E n''e' tenuta carità pe me, che t'aggio cercate 'o ppane p''e figlie mieie?! Tu si' n'anema dannata!
No!... No!...
Anema dannata! Comme a na cana 'e' 'a murì!
Perdoneme... perdoneme!.. Siente... Viene a cca... Chiamma a quaccheduno (si contorce sempre più). Damme na mano...
(Indietreggiando). No, tu me faie paura! (spalanca la porta) Tu si' dannata! Si' dannata!...
No... Siente... No...
No... Siente... No...
Dannata!... (Esce. Sufia, brancolando, con dolore atrocissimo, cerca di giungere alla porta ma cade bocconi sul pavimento. Si alza abbrancandosi al letto; ma ricade tirandosi addosso la coperta).
'Onna Sufi... 'o marito vuosto... (Vedendo 'onna Sofia a terra, da in un grido) Madonna mia! (Si avvicina, la chiama ripetutamente). 'Onna Sufì?... 'Onna Sufì?... (Con spavento, fugge, gridando). È morta 'onna Sufia! È morta 'onna Sufia!
È morta 'onna Sufia!... È morta 'onna Sufia!...
Napoli, febb, 9-10-11 1897.
A
Luigi Capuano
Cannetella, acquaiola.
Fortunato, cucchiere.
Totore, facchino.
'Onna Cuncetta, «'a bellella ».
'On Giuvannino, vrennaiuolo.
Nannina, capera.
Faraone,
Lucariello, sapunaro.
'O cafettiere.
'O Ferracavallo.
Nu scugnizzo.
Prima che si levi il sipario, la sala del teatro si oscura.
Durante questo breve intervallo, dall'interno squillano festosamente i sonagli, scalpitano i cavalli che partono per la festa di Montevergine, schioccano le fruste, e scoppiano con fragore assordante i petardi.
Il sipario si leva sulla via della Marina, là dove sorge l'angiporto Sbranno, volgarmente denominato «'A Sciscia».
Sotto l'arco dell'angiporto, in fondo, nell'oscurità, una porta ferrata, con chiodi alla romana, che dà nello stallazzo di Furtunato; a sinistra, un'immagine della Madonna del Carmine, dinanzi alla quale arde una lampada votiva, fiocamente. Sul davanti, che dà sulla via, a sinistra dell'arco, il basso di Cannetella, a destra un carrettino a mano.
È un'alba di estate. La via è deserta.
(Faraone è seduto sul carretto a mano, e manda piccoli sbuffi di fumo da una pipa breve. A tratti, guarda verso l'uscita dell'Angiporto, donde giungono il tintinnio dei sonagli e lo stropiccìo della brusca sulla striglia. Si odono i colpi secchi della brusca battuta sul selciato).
(A voce alta) 'On Furtunà! 'On Furtunà! E levàte mano, nu poco! Facimmo quatto chiacchiere assieme. (Cessa lo stropiccìo della brusca).
(A Cannetella, che esce dal suo « basso » e si affacenda ad addobbare, con limoni, bicchieri e frasche, il banco per la rivendita dell'acqua solfurea). — Iesce sole! iesce!... È spuntato 'o sole! 'O sole è fatto pe puverielle!
Ll'avite cu mme, neh Faraò?
Propio. Vuie site 'o sole! 'O sole d''a Marina!
(Sorridendo) Tenite 'a capa a' pazzia! Chesto è quanno corre 'a suglia!
'A suglia s'è arruzzuta, Cannetè! Cca 'a miseria c'è ncuollo! 'A cuncurrenza nce ammazza. E mo pure l'arte d''o puveriello sta in ribasso!
Uh! E comme, comme?
Na vota, se cercava 'a lemmosena 'e nu soldo. Ma, mo? Chi v''o dà! Mo, s'è perzo 'o cuntegno. So' venute 'e guastamestiere, ca se ribassano a cercà 'a lemmosena 'e nu cientesemo!
(Con comica considerazione) Giesù! Giesù! E pecchè nun facite na sucietà? Mo fanno tutte quante accussì.
E chesto ce mancarria! Na sucietà 'e pezziente! Ve vulite piglià 'o poco 'e Pusilleco, Cannetè?
Io pazzeo.
E pazziate, pe ciente anne! Già, pe chesto intanto, 'a cuncurrenza nce 'a fanno pure ll'uommente ch'hanno cumannata 'a pezza. Accussì, chillo grande artista ca recitava a San Ferdinando, ched'è, nun murette cercanno 'a carità?
(Con sincera commiserazione) Puveriello!
Tutte accussì, sti ccape gruliose! Spènneno, spànneno, zeffònnano; e nun penzano ca 'a giuventù è nu sciuscio e 'a vicchiaia è dura a passà!
Accussì è.
(Dall'interno a stesa) Alesio, Alè!
(Dirigendo le parole verso l'uscita dell'Angiporto). 'On Furtunà! E fenìtela 'e striglià stu trentacarrì! 'O state scurtecanno vivo vivo!
(Dall'interno aspramente) Vulesse striglià 'a lengua a chi dico io !
(A Cannetella, ammiccando dell'occhio). A chi va 'sta sunata, Cannetè?
(Sorride amaramente). A me no, certo. Ll'avarrà cu 'a bella mbriana soia.
(Di dentro, il fischio lungo e acuto del caffettiere ambulante).
(Lo chiama) Savè, fatte cca.
(Entrando) 'O caffettièere! (A Faraone). Cumannate?
(Dandogli il soldo) 'O sòleto cicchetto. Cannetè, state servita?
(Viene da sotto l'angiporto. Trascina un cavalletto; sul quale appoggia i finimenti del cavallo, per lucidarli. Al cafettiere). Nu poco 'e cafè.
Avite fenuto 'e strigliè?
(Barbero) Pecchè? Ve devo fastidio?
A me? E chi so' io? Iese mmiezo 'e lettere d''a santacroce. (Una pausa). Cannetella, 'a vedite? (indicandola).
(Porgendo a Fortunato la tazza colma di caffè) È servito 'on Furtunato.
(Prende la tazza colma e lancia un soldo al caffettiere, il quale la raccoglie a volo. Sorbendo il caffè, ha un movimento di disgusto). E chesto è tuosseco!
(Con ironia) 'O signore piglia 'o cafè 'o Gambrinusso!...
Vulite n'ata preta 'e zucchero?
Lassa sta'. (Gli restituisce alla tazza). Chesto nun è cafè: so' favucce.
(Borbottando) Vuie qua' favucce! Chesto è Moca! Sia fatta 'a vuluntà 'e Dio! (Esce lentamente, ripetendo la stesa): 'O Caffettièeere! (Poi fischia per ben due volte).
(Piano e confidenziale, a Furtunato). Ched'è neh?... Avite fatto sciarra?
(Un po' seccato) Faraò!
Vabbuò! Chesta è nuvola ca passa.
'I comme so' seccante 'e viecchie!
(A Cannetella, che fa per rientrare in casa) Ve ne trasite, Cannetè?
Sentite, Faraò: si nun vulite ca me ne vaco, faciteme 'a finezza 'e levà sti storie 'a miezo.
(Sarcastico) Nun ve n'adunate, Faraò, ca madama se disturba?
(Amaramente ironica) 'E mmadame 'e canuscite vuie! Chelle che portano 'a veste 'e seta e 'o scuorno 'n faccia!
E se capisce. Se io canosco a sti femmene... comme dicite vuie... ce sta chi affianca a cierti tale e quale uommene, ca vanno, bello a menà 'o rangio e a manià 'o curtiello.
(Con risentimento) Nun ve 'ngannate l'anema. Totore nun è chello ca vuie penzate.
'E ffemmene bone nun s'accazettano cu 'sta specie 'e... Mme spiego? Già: nuie ce capimmo a sische.
Totore mme prutegge, è overo; ma senza siconde fine, comm'a cierte ate. Io, 'on Furtunà, cammino p''a via deritta. 'A via storta 'a sanno 'e ffemmene ca vuie prutiggite: chelle ca se vanno a battere 'n pietto, 'o martedì, a Sant'Anna 'o Rifugio, pe prià a Sant'Anna ca nun lle facesse perdere 'o nnammurato.
(Con ira). Nun taccariate cu sta vocca! Nun mettite carne e cocere! (È per inveire contro Cannetella).
(Trattenendolo) 'On Furtunà! (A Cannetella) Iate scavanno cierte muorte, vuie!
Nun so' stata io. Quanno 'a verità dispiace, cusìmmece 'a vocca.
(A Furtuanto) Ma pecchè ve vulite fa' 'o sanghe acito?
(Respingendolo bruscamente) Lète 'a lloco! (A Cannetella). Io nun tengo nisciuna catena a 'o pede, e nun aggia dà cunto a nisciuno 'e ll'azione meie.
(Subito sottolineando le parole) Na vota, sì. Ma, mo... 'a tenite, 'a catena. E 'sta catena è cchiù pesante 'e chelle ca attaccano 'e bastimente, 'n terra 'o Muolo.
(Deciso) E a vuie che ve preme?
A me? Manco pe suonno! Spusatevella. (Quasi sogghinando). Ma.... lloco te voglio, zuoppo! Ce sta 'o tierzo... 'o marito (Si batte ripetutamente le labbra). E mannaggia, ca nun se po parlà!
E facite buono. Ntricateve d''e fatte vuoste.
(A Cannetella) Si avesse saputo ca v'appicciaveve accussì, nun avarrie smuòppeto tutto stu fuoco (Affabilmente), Meh! Mpattammo 'sta facenna... Facimmo pace...
A chi?!... Mmiez'a nuie, ce sta 'o mare, Faraò.
Avite ragione. Vuie site ll'Ioropa e io so' l'America.
E sissignore. Io torno cchiù tarde. E... levammo stu capo 'a terra (Va via, borbottando): 'A giuventù!... Fuoco 'e paglia! Una lampa, e po'... (Esce).
(Dall'interno, a stesa): Capillèee!... (Fuori sempre a stesa): Chi tene pezze vecchie 'a vè!... (A Cannetella) Tenite pezze vecchie?
No, Lucariè.
(Depone a terra il sacco e vi siede sopra, sbuffando). Bubbah! A Napule nun se iettano cchiù manco 'e pezze! L'economia fa furore, a stu paese!
Pecchè nun dice: 'a miseria?
(Borbottando) 'A miseria, seh! 'A miseria! E po' se ietta 'a pezza sana, pe ghi' a Muntevergene. (Una pausa). A preposeto, 'on Furtunà: avite affittata 'a carruzzella?
Si.
(Ironica) E nun s'è badato a spese. Se so' fatte 'e ccose alla grande! (Furtunato freme).
Cu chi iate a truvà a Mamma Schiavona?
(c. s.) Cu 'a princepessa 'o Vasto!
(A Cannetella) Embè? Io mo v'aggio pregata: ntricateve d''e fatte vuoste.
(Con un sorriso amaro) Giesù! Dicevo accussì, pe di'...
Cannetella pazzea, 'on Furtunà. Pozzo pazzià pe ciente anne! E po', so' vruòccole, Iusto iusto: quanno 'e pruvammo sti cunfiette?
So' ghiute 'acite, Lucariè!
(Sorpreso) Comme? comme?
Eccuccà. D''o meglio, se dice, ce sta 'o migliore. Amice povere, amante perdute! (Furtunato passeggia, sbuffando). Io so' na povera figliola, senza pate e senza mamma: n'anema sperza. Nun tengo anella. Nun tengo toppe 'e brillante, cullane 'e perne, veste 'e seta...
(Interrompendo). Ma tenite 'e meglie ricchezze: 'a bellezza e l'onestità.
(Sorridendo penosamente) No, ca io nun so' bella! No, ca io nun so' bona! E po', che conta tutto chesto? Ogge, corrono sulo 'e llire, Lucariè! Cca, Dio 'o ssape e 'a Madonna 'o bede che s'ha dda fa' pe cammenà deritto!
(Subito, vivamente) So' ll'uommene che so' nfame! 'A Madonna è mamma 'e misericordia.
(Nervoso, stropicciandosi le mani e agitandosi tutto). E vabbè! Mo levo io 'a frasca! (E per togliere il finimento dal cavalletto).
(Cercando di cambiar discorso). 'On Furtunà, ve truvasseve pezze vecchie?
Na vota 'e teneva. Ma, mo... Mo se marcia cu punto e virgola!
(Fissandola acutamente). Che vulite di' cu chesto?
Dico... dico ca 'a furtuna v'ha fatto aunnà... e v'ha fatto scurdà 'e tiempe triste.
'A furtuna mia se chiamma fatica, Cannetè!
E pecchè no! 'O diceno tutte quante.
'E mmale legue io nun 'e curo.
E facite buono. Lassate 'e tacarià! (A Furtunato, sempre per deviare il discorso). Ne tenite stracce?
(Stanco) No! T'aggio ditto ca no!
(Con ironia dolorosa) 'E stracce t''e dongo io, Lucariè. Io ne tengo pe tutte 'e pizze d''a vita mia! (Entra nella sua casa).
Bona figlia, Cannetella! Fa bubbà: ma po'...
Tene 'a lengua troppa longa, Lucariè!
Tutte 'e ffemmene so' fatte accussì!...
(Viene, recando un piccolo involto. A Lucariello). Teh! Sta mercanzia se trova sempe 'int''a casa d''e puverielle.
Peggio pe chi nce attoppa! (Borbotta); Quanno se sceglieno cierti prutetture!...
(Con risentimento vivissimo, per inveire). Nun parlate accussì! Si no, pe ll'anema 'e mammema...
'On Furtunà! E site vuie!...
Embè! Vulimmo pògnere e po' nun vulimmo essere pugnute? Basta: mo rompo io 'o ngiarmo. Salute, Lucariè. (Toglie il finimento dal cavalletto e rientra nella stalla).
Bona iurnata. (A Cannetella). Dateme 'o permesso, Cannetè (Solleva il sacco).
Facite ll'ora vosta.
(Si carica il sacco sulle spalle ed esce ripetendo la stesa): Capillèee! Capillèee!...
(Una popolana bruna e vivace. A Cannetella, che è per rientrare in casa). Cca sta Nannina vosta.
(Rivolgendosi a lei) Guè, Nannì, si' tu?
E accussì? Nce 'a facimmo, o no, st'asciuta a Muntevergene? Ve voglio fa' na capa proprio a llicchetto! Aggio purtato pure 'a pòvere 'argiento... (Notando la mestizia di Cannetella). Ma ched'è, neh? Nun saccio comme ve veco... I' so' asciut'a chest'ora....
(Penosamente) E ch'ha dda essere, Nannina mia! Ch'ha dda essere!
(Ammiccando dell'occhio) Custione? (Cannetella risponde con un sospiro) È nuvola che passa! Meh! dicite, a Nannina vosta. Mentre ve faccio 'a capa, cuntateme ch'è stato.
(Cannetella rientra in casa. Ne riesce, recando una sedia. Siede. Nannina toglie dai suoi capelli il pettine e comincia a ravviare i capelli di Cannetella).
Comme ve piaceno: 'a vergene o c''o tuppo aizato?
Comme vuò tu.
'O fierro p''e ricce nun è nicessario, pe vuie. Tenite e capille ca fanno mmiria a na luciana!
A che mme giova, Nannina mia: a che mme giova? (Con un singhiozzo represso). So' accussì sfurtunata!
Nun 'o dicite. Tenite tutte 'e bellizze ca Dio ha criate, e ve perdite 'e curaggio?! Uocchie e mal'uocchie, e cacciate 'o malaurio! (Pausa) Stiveve dicenno... 'O si' Furtunato v'ha lassata?
Pe quacche culumbrina 'e chesta?
Si.
'A canuscite?
Si 'a conosco!
E chi è? chi è 'sta...? (Percotendosi la bocca ripetutamente). Uh... Madò, perdoneme! (A Cannetella). Chi è, quacche amica vosta?
(Di scatto). No! Nun mm'è stata maie amica! Maie!
(Aspramente) 'Onna Cuncetta: 'a mugliera e 'on Giuvannina.
Traschete!... 'Onna Cuncetta 'a bellella? 'A chiammano accussì, 'int''o quartiere. È essa?
Essa. Essa.
Brutta scigna! E... 'o si' Furtunato?
Pss!... Nun alluccà. Furtunato sta 'int''a stalla, mettenno in ordine 'a carruzzella (sogghigna) pe ghi' a Muntevergene... cu essa, cu 'a bellella.
(Preoccupata) E 'o marìto?
Quanno maie 'o marito ha cuntato niente!
Ll'aggio vista io, cust'uocchie mieie! Ll'aggio vista io, martedì, 'int''a chiesia 'e Sant'Anna 'o Rifugio, a chiagnere, mmiez'a tanti ati femmene annemmecate, pecchè Sant'Anna nun lle facesse perdere 'o nnammurato.
Giesù, Giuseppe, Sant'Anna e Maria! Mai isso lle vò bene?
Chi sa!
(Curiosa). — Chi sa?
Fortunato non 'a vò bene!
E allora?
Ah! Mo ce simmo spiegate. Eppure, nun ll'avarria creduto, maie e po' maie. (Con evidente disgusto). 'O si' Furtunato fa 'o.:. Vuie che dicite?!
(Con angoscia). — Doppo tanta prumesse..... Doppo tanta giuramente... Capisce? Già: tutte accussì ll'uomene! Tutte accussì!
Mme ricordo, comme si fosse mo ll'anno passato. Tutte 'e duie... È ovè? (Cannetella accenna di si) Isteve a Muntevergine, assieme... È ovè?
Vinta dalla suggestione dei ricordi, con fervore) — Sì. E ncoppa 'o Spitaletto... mme ricordo... fermaiemo 'a carruzzella... e scennetteme... e ntrezzaiemo dui rame 'e ginestre pe di' ca nun ce sarriemo spartute cchiù... (Le lacrime le strozzano la parola).
E mena, mo! 'Ateve curaggio... Ve credite, 'n capo a vuie, ca durano assaie sti mpicchie? Chi sa qua' iuorno, quanno meno ve l'aspettate, isso turnarrà, e tutte 'e duie arrate a sciogliere 'e ginestre.
No! No! Io nun 'o voglio cchiù bene! Nun 'o voglio vedè manco muorto!
So' chiacchiere, cheste! 'O core dice ca no.
(Ripete cupamente: — Muorto! Muorto!
(Ha finito di pettinare. Poi, china su lei, le dice dolcemente:) — E nun ve pigliate collera... 'A collera trase... 'O bedite? avite fatto ll'uocchie russe...
(Con moto subitaneo). — Io? No!
(Giunge di tutta corsa, dalla destra; si sofferma sotto l'arco e grida:) — Si' Furtunà! Mettite in ordine! 'On Giuvannino mo vene (Fortunato esce dalla stalla e appare sott. l'arco).
(Al monello). — Dille ca nun appena so' pronto, vengo io llà.
Addò? Mm'anno ditto ca veneno lloro cca.
Va bene.
(Fa per andar via, poi ritorna a Fortunato, gli dice sommessamente:) — A preposeto: 'onna Cuncetta dice ca nun ve scurdate d'annuccà 'o cavallo.
È stato buono ca me ll''e' ditto, pecchè fettucce nun ne tengo. (Il monello fa nuovamente per partire). Aspè! Damme n'uocchio a' stalla, quanto vaco accattà sti ffettucce.
Mme dispiace, si' Fortunà; ma nun ve pozzo servì. Chi sentarria a 'onna Cuncetta! Andiamo in fretta! (Esce correndo).
Ebbiva 'o cane 'e palazzo! (Imitando la voce e il gesto del monello) Andiamo in fretta! (Pausa; poi, sbuffando). Be'! Iàmmece a mpuverià nu poco!
(A mezza voce). — Addò c'è gusto, nun c'è perdenza!
(Si volta a guardarla con dispetto. — Ce vo' pazienza!..
(Finge di parlare con Nannina. — Tenite Nanní chesta è 'a settimana d''a capa. (Conta alcune monetine nel palmo della mano di Nannina).
Grazie. (Intasca il denaro. Poi, a Cannetella, pianissimo). Io me ne vaco. Chisto è 'o mumento 'e ce parlà a quatt'uocchie.
(Pianissimo). — Che fusse pazza?!
(C. S.) — Iammo. Nun facito a' spigiosa! (Poi, a voce alta). Io vaco 'e pressa. Ce vedimmo dimane. (A Fortunato). Ve saluto, si' Fortunà. (Con civetteria). Ve lasso in buona cumpagnia...
(Guarda fugacemente le due donne, e non risponde. Poi rientra nella stalla. Poco dopo, ne esce frettolosamente, col cappello in mano, e sparisce a destra).
(Quando Fortunato è uscito, amaramente). Ah! E tuosto l'amico!
(Trattenendo la collera). — Meglio accussì!
Eppure, tengo fede ca avimmo 'assaggià sti cunfiette.
(Mormora cupamente:) — Cunfiette amare!
Vulite che vengo, dimane?
(Distratta.) — Sì. Ma nun tanto priesto. (Nannina esce).
(Appare come assorta in una meditazione lugubre. Guarda a terra, e nei suoi occhi passano fugaci lampi di ferocia. Sogghigna, come assaporando tuta la voluttà di una vendetta. Lancia uno sguardo verso la via. Avanza verso l'arco dell'Angiporto. Si sofferma, un istante. Poi, vinta dal suo proposito fermo, corre alla banca, prende il coltello che è sopra di essa, mormora con voce soffacata.) — No! Nun ce ha da i' (Sparisce sotto l'arco ed entra nella stalla. Dopo un breve silenzio si ode nell'interno un rumor sordo, seguito da un replicato scalpifio di cavallo. Cannetella riappare sotto l'arco. Getta il coltella sulla banca. È pallida, agitata, tremante).
(Nell'entrare, è colpito dall'agitazione di Cannella. D'un tono preoccupato:) — Cannetè! Nun saccio comme te veco... Che te siente?
(Dominandosi). — Niente...
(Indredulo). Niente? È troppo poco. Ti si' fatta ianca comm'a na morta. (Si accorge che ella ha una mano lievemente macchiata di sangue). Chesto è sanghe! che te si' ferita?
(Cercando di nascondere la mano) — Io? No!...
(Le prende la mano). — Comme, no? Chesto è sanghe! Addò te si' ferita?
Cca... vicino a' gamma... Ma è nu scippo: cosa 'e poco mumento.
(Ansioso). E comme? comme?
Accussì... 'nnavvertentemente... so' ntuppata vicino a 'e fierre d''o lietto.
(Viene dalla via. Reca parecchi nastri azzurri e rossi. Entra, canticchiando una nenia popolare. Si avvia verso la stalla. Attraversando la via, guarda con un lieve sorriso di scherno Cannetella e Totore). Ve saluto.
(Con alquanta freddezza). — Bongiorno. (Fortunato entra nella stalla)..
(preoccupatissima, ma contenendosi per non impressionare Totore). — Si' stato a' Dugana?
Mo vaco.
(Dall'interno, forte, come sferzando un cavallo). — Ah!... Ah!... (Cannetella allibisce).
(Osservandola). — Ma che d'è?... Tu cagne culore?)... Ch'è stato?
T'aggio ditto ca nun è niente... Nun è niente!
(Riappare sotto l'arco, agitatissimo. Borbotta): Sanghe d''a morte! E... chi è stato?
(A Furtunato) Che v'è succieso?
Mm'hanno svenato 'o cavallo!... Na botta 'int'a gamma deritta!... È nu dispietto! Sanghe d''a Marina! È nu dispietto! (A cannetella). Vuie... nun sapite niente?... nun avite visto niente?
Niente.
(Contemplandola acutamente). Nun stiveve cca vuie, quanno io so' asciuto, p'accattà 'e fettucce?
(Amaro). E... si è lecito, comme aggia parlà?
Vuie state mangianno limmuncella piccole! Pare comme si 'o dispietto ve l'avesse fatto Cannetella.
Io, pe massima vosta, nun faccio mali penziere 'e nisciuno...
E allora?
(Con simulata commiserazione). Va trova chi ve vo' male, Furtunà!
(Concitato) È nu dispietto!... È nu sfregio!... Severeddio! Me l'hanno fatto pe nun mme fa i' a' festa! Pe me fa fa' na scumparza!
E allora, addimmannatelo a chi teneva stu scopo.
(A Cannetella, pianissimo, con severità). Si' stata tu?
(Abbassa gli occhi e non risponde).
(Un uomo sulla quarantina, un po pingue e un po goffo negli abiti di festa. Entra a braccetto di sua moglie.) Salutammo.
(Una florida popolana di trentacinque anni, Veste sfarzosamente). A questi signori! (Guarda Cannetella, che volge le spalle, e sorride dispettosamente).
Salute a don Giuvannino! Ve ne iate a Muntevergine?
È pe fa' cuntenta la mia signora.
Facite buono. Ogne tanto cev''o poco 'e divertimento.
(Grave e compunto, correggendo:) — È pe devuzione, nun già pe divertimento.
Cca sta pure 'onna Cuncetta nosta! (Ammirandola). Teh! Mme parite na rigina!
(Pianissimo, d'un tono sarcastico). — Già. 'A rigina Giuvanna!
(Che è vicino a Cannetella). — Comme dite? come dite?
Dico... ca 'a iurnata è bella; ma 'o diavolo nce ha miso 'a coda, pe nun ve fa i' a Muntevergine.
(Sorpreso). — Comme? comme? E pecchè? (Fissa acutamente Cannetella). — Pecchè?
'O cavallo?... (A Fortunato). Ch'è stato, 'o cavallo?
(Con poca voce). — Cose 'e ll'ato munno! Poco fa, so' asciuto nu mumento, p'accattà 'e ffettucce p''e nocche. Quanno so' turnato, aggio truvato 'o cavallo... cu na botta 'e curtiello 'int''a gamma deritta.
Severeddio! (Corre precipitosamente nella stalla).
Uh! (Quando il marito è uscito, disperatamente:) E mo chi 'o sente? chi 'o sente, a maritemo? E chi 'o po dà tuorto? Giesù! 'O murello! 'O meglio cavallo d''a stalla!
È stata na disgrazia, o nu dispietto ca mm'hanno fatto!
Nu dispietto?! E pecchè, stu dispietto?
(A 'on Giuvannino, che rientra). — Avite visto?
(Tremante d'ira). — Aggio visto! Aggio visto! Sa' che te dico? Pigliete 'a bacchetta; e vattenne!
Ma che colpa nce aggio io, princepà?
Niente! Nun sento ragione! (Una pausa) A Muntevergine nun ce se va. Nu patrone 'e cetatine, comme a me, nun po ghi' a' festa cu nu cavallo 'e scarto (A 'onna Cuncetta). Mme dispiace pe te.
Abbasta ca nun te piglie collera, nun fa niente. Ce iammo dimane, c''o baio... Tanto pe tanto, è buono ca ce stammo a' essa, ogge. Tenimmo 'e piccerillo malato.
Aie ragione. (A Furtunato, con livore). Ma tu, tu, fore d''a casa mia!
Ma ragiunammo: si è stata na disgrazia...
E che sto parlanno francese? Si te dico ca nun voglio ragiunà!
(A 'on Giuvannino, teneva e circospetta) E mena, mo! Quanno maie 'e' fatto male a quaccuno, tu? Furtunato è nu buono giovene, è nu buono cucchiere. E nun t'ha fatto maie lagnà...
(Ha un sorriso fremente di rabbia). Così è!
E po', è na cosa 'e poco mumento! 'O cavallo se guarisce. Ll'aggio fatto pure 'a mmedecatura.
Te ne vaie, o no? Ma che mm'avisse pigliato pe pastore? 'O cavallo mme resta zuoppo! E so' cchiù 'e mille lire iettate a mare! Capisce? Cchiù 'e mille lire! (A 'onna Cuncetta) Già, io t''o dicevo: chiste so' cucchiere ch'anno 'a manià cavalle d''o Ponte!
(Alquanto risentito, ma contenendosi). 'On Giuvannì!...
(Subito, interrompendo). Iammo, mo: nun esagerammo... Chesta è 'a collera ca te fa parlà accussì...
(A 'onna Cuncetta). E prutieggelo, tu! Prutieggelo! Tu piglie 'e difese 'e stu bello mobele; e a me chisto mme tocca 'a nervatura!
Ma, Giesummaria! Io me ll'aggio cresciuto 'int''e ccarte, a chill'animale! Ll'aggio tenuto comm'a nu brillante! Mannaggia chi nce ave colpa!
Iammo, 'on Giuvannì! Vuie site nu brav'ommo...
(Pigliando a braccetto il marito). Iammo... Iammuncenne a' casa... A Muntevergene nce iammo dimane, si Di' vo'... (A furtunato con finta severità). E tu resta... E penza a curà 'o cavallo. Capisce, o no? Va chiamma 'o ferracavallo...
Pe mo, ll'aggio fatto 'e bagnature 'e ll'aggio nfasciato. Vedite ca 'o cavallo, 'int'a duie o tre ghiuorne, si rimette. Mo vaco a chiammà 'o ferracavallo, areto 'a chiazza. Chillo è 'a penna!
(Alquanto rabbonito). Statte lloco, tu e guardeme 'aimale. Mo, passanno, nce 'o dico io ca venesse. E miette 'a capa a fa' bene! Penza ca mo te canosco piro.
Stàteve sicuro, princepà.
E bona giurnata. Tengo nu penziero pe chell'anema 'e Dio!
Ma che tene 'o piccerillo vuosto, 'onna Cuncè?
Soffre 'e cummerzione. Povera criatura!
È na iettatura, chesta! Mettitele 'o curniciello p''e mal'uocchie.
Quanta sciucchezze! Chiammate 'o miedeco...
Io, pe me, miedece e medecine luntane 'a casa mia! 'A mmedecina io nun ce credo. Quanno ha da venì na disgrazia, è Dio ca nce 'a manna.
(Scandalizzata). Uh, Sant'Anna mia! Giuvannì, tu che dice?!
Dico ca è tarde, e nuie stammo ancora cca. Iàmmece a spuglià. (Con gesto largo). Salute a tutte!
Ve saluto, 'on Giuvannì. ('On Giuvannino esce solo. Cuncetta si accosta a Furtunato: entrambi parlano sottovoce, animatamente).
(A Cannetella) Io vaco a' Dugana. Arrivo tarde, ma nun fa niente.
E, si è tarde, che ce vaie a fa'?
Nce aggio 'a i' a forza. Ogge è sàpeto, e corre 'a paga.
(Accennando con l'occhio a 'onna Cuncetta e a Furtunato). Tutte comm'a tte avarriano 'a essere ll'uommene, Totò! Ma che! manco 'e scarpune, ll'ate! Manco 'e scarpune!
(Spallucciando). Cannetè!
Tu si' nu faticatore. Tu si' nu galantomo. Tu 'e calle 'e ttiene ncoppa 'e mmane, no ncopp''o core. Tu nun si' comm'a ll'ate.... nun si' cumm'a ll'ate, ca vanno ascianno 'a fatica leggia....
(Pianissimo, a Furtunato). Che ll'ave cu vuie chella zandraglia?
'Assate 'a sfucà! È 'e mmiria! (Ripiglia il discorso interrotto, con ardore). Dunque? Venite
(Quasi a fior di labbra). No.... nun po essere, Giuvannino...
E meh! Cca nun ce passano manco 'e sierpe, a chest'ora. (Supplichevole) Meh!
E va buono! Facio tutto 'o pussibile. Sperammo ca 'o piccerillo passasse meglio.
Io v'aspetto...
(Che finora avrà parlato sottovoce con Cannetella, ora un pò severo). Mme so' spiegato? Penza a tte, e nun te mettere mmiezo a sti rotola scarze. Io torno cchiù notte. (A 'onna Concetta e a Furtunato). Bongiorno e salute!
Ve saluto, Totò.
Salutammo.
Salutammo. (Esce).
(Lentamente, va a sedere dietro il banco).
'A cca a n'a' poco, vene 'o masto e ve faccio sapè 'o cavallo comme passa. Anze cchiù tarde, venite vuie cca.
Si pozzo lassà nu mumento 'a criatura.... Chi 'o vo' sentì a Giuvannino, si 'o cavallo lle resta zuoppo!
Stàteve a penziero cuieto. Chillo 'o masto o fa guarì a ll'istante.
(A Cannetella, con un sorriso sforzato). Ve saluto Cannetè.
(Ironica). Schiavuttella vosta! E cunzervatece l'amicizia!
(Non appena 'onna Cuncetta è uscita, vivissimamente). 'A semmenta s'avarria 'a seccà, 'e sti spine!
(Dispettosamente)- So' spine doce! Schioppano lire!
'O sanghe d''a povera gente! (Una pausa) Eppure.... chi sa?... tutto nzieme, vuie ve site cagnato... Mo iate 'n tuosto (Fa l'atto di chi conta monete). Mme spiego? Nun ireve accussì, l'anno passato.
(La guarda, come volendo indagarne il pensiero).
E pecchè mme guardate? Che mme vulisseve canoscere?
(Calmo, ponderando le parole). Abbuonicunte, vuie mo... nun sapite... chi ha ferito 'o cavallo?
(Senza turbarsi). Io? E che fosse 'o muzzo 'e stalia vuosto, io? E po', vuie pecché ve pigliate tanta collera? 'A signora ve prutegge... Nun avite visto comme appapagnava 'o marito?
E turnate 'a ceppo! Mettite sempe campanelle 'n canna 'a gatta, vuie!
Ve sbagliate. Comme se dice? Chello ca nun se fa, nun se sa. Stateve accorto, però...
(Subito). A vuie che ve ne preme?
(Sarcastica). Mme preme 'e vuie, ca site nu buono giovene... ca mangiate pane e fatica, mo nce vo'!
(Senza scomporsi). Na vota mme putevo mpurtà 'e vuie. Ma, mo! Acqua passata...
Vuie tenite 'a malignità 'n cuorpo! E site capace 'e chesto e ato.
Overo?
Sì, vuie sarrisseve bona pure 'e mme fa fa' 'a pelle, pe ve levà 'a preta 'a 'int''a scarpa.... Già, site napulitana....
(Subito, con alterigia). E pe chesto nun saccio fa' male a nisciuno! (Recisamente), Vuie, pe me, site n'ommo muorto.
E, allora, pecchè ce perdite 'o tiempo 'e mme dà tuosseco?
A vuie?! Io penzo a vuie quanto penzo a' gatta ca tengo a' casa. (Una pausa. Poi con un subitaneo senso di malinconia). Però si pe nuie quacche cosa nun è morta ancora, ha da murì!... Vuie iate a Muntevergine, dimane?... Mme facite nu piacere, si v''o cerco?
Nu piacere?
(Contenendo la sua commozione). Ncoppa 'o Spitaletto... l'anno passato... ve ricurdate?... attaccaiemo duie mazzette 'e ginestre... Ve ricurdate?...
(Accenna di si). Sì. Mme ricordo.
Ah, ve ricurdate!.. Embè, sentite... Dimane, quanno arrivate llà.... ricurdateve 'e chilli ginestre attaccate... e sciuglitele (Sorridente, ma tutta vibrante di tenerezza pietosa). Io v''o dicevo.... v''o dicevo: che l'attaccammo a fa', si nce avimmo 'a spartare? E vuie dicisteve ca no.... Invece!...
(Confuso, stanco e un po' rude). Ma che so' stato io?...
(Subito, impossessandosi di tutto il suo orgoglio, come pentita della sua breve, involontaria dedizione, esclama recisamente:) No... No... Avite ragione.... So' stata io... E forse... (Riassumendo il tono sarcastico abituale). E, forse, è stato meglio accussì... Nun se sape maie chello ca po succedere... (Una pausa).
È giusto. Meglio nu dispiacere mumentaneo. A la fine, vuie site figliola e... (Come a liberarsi da un incubo, va sotto l'arco e chiama, a stesa): Mastu griò! Mastu Griò!
(Con un sordo ruggito di disprezzo:) Nfame! (Ritorna al banco e si abbatte sulla sedia).
Eccoce cca, a nuie. (Reca gli strumenti del suo mestiere).
E tanto ce vuleva, p'avè l'onore!
Levàte sti ffrase! Aggio avuto 'a ferrà 'e premura 'o cavallo 'e 'on Peppe 'e San Giuvanne. E so' tricato nu poco. Addò sta 'o cavallo?
Dinto. (Indica verso la stalla).
E purtatelo cca fore! È meglio ca l'osservammo a 'o llustro.
E chillo nun se po sosere. Sta iettato 'n terra 'a lettèra.
Na botta 'e sanghe?
Vuie qua' botta 'e sanghe! È stata na botta 'e curtiello. Nu dispietto. Trasite.
Iammo a vedè! (Furtunato e il maniscalco entrano nella stalla)
(Si alza e si avvicina, con circospezione alla porta della stalla, spiando).
(Di dentro, forte). Ah!.... Ah!.... Ah!....
(Di dentro). Tenitele ferma 'a gamma.... Accusssì... Aizate 'a lanterna.... Addò sta 'o sicchio?...
(Di dentro). Vicino a' mangiatora....
(Sorprendendo Cannetella a spiare, le chiede in tono di rimprovero:) Che staie facenno lloco?
(Impacciata) Guardavo....
Che guardave? Tu staie facenno 'a spia... Pecchè ll'e' ferito 'o cavallo?
(Esitante). Io?..
Tu, sì! Nun annià. Si' stata tu! Ll'''e' fatto pe dispietto a Furtunato, è ovè? Pe dispietto? E comme, comme tu nun te vuò scurdà 'e chill'ommo? Tu nun te vuò capacità ca chillo mio signore nun è marito pe te? Chillo è n'anema perza.
Nun ce penzo cchiù, Totò. Nun ce penzo cchiù! (Sta qualche momento come assorta. Poi, con un sorriso). Vaie a mangià?
No. Si vuò venì a mangià cu mmico? Chella vicchiarella 'e mammema mm'ha priparato nu poco 'e capretto 'o furno. Viene. Te voglio fa' alleccà 'e ddeta.
Nun pozzo venì. Mme dispiace... ma nun pozzo venì.
Pecchè?
Nun è pe te, Totò. Tu 'o ssaie. Ma 'o munno è malamente.
Tutte sanno ca io so' stato nu pate, pe te.
Ma 'e mmale lengue so' troppe.
(Rassegnato). E allora, 'amme 'o permesso. E te raccumanno: nun penzà cchiù a chillo galantomo (Esce).
(Dopo una breve meditazione, rientra nella sua casa. Sotto l'arco, compariscono Furtunato e il maniscalco).
(A Furtunato). Lassate 'o sta' accussì, pe mo. Dimane lle facimmo 'a mmedecatura.
(Preoccupato). Ma se guarisce, o perde 'a gamma, masto Griò?
Chesto nun se po di' ancora, pecchè 'a gamma sta gunfiata (Grave). Cheste so' malatie 'e surpresa, pecchè, capite?, l'animale nun tene 'a lengua, comme 'o cristiano.... Be'. Ce vedimmo dimane...
Tenitece 'o pensiero, se' ma'.
L'arte fa chello che po. 'O Pataterno fa 'o riesto (Esce furtunato rientra nella stalla).
('Onna Cuncetta entra guardigna, sospettosa. Avanza un po', lentamente; poi raggiunge, con passo rapido, il portone della stalla. Bassa, a brevi, replicati colpetti. D'improvviso, Cannetella appare sulla soglia della sua casa; vede 'onna Cuncetta; si ritrae dietro l'arco, in osservazine. La porta si apre; Furtunato è tra i battenti. Cannetella ha un impeto di ribellione, subito represso. 'Onna Cuncetta e Furtunato entrano nella stalla. La porta si chiude).
(Cannetella riappare. È agitata, sconvolata, tutta scossa da brividi. Si sofferma, pensosa. Pure invasa da un'idea di morte. Muove qualche passo. Si sofferma nuovamente. Raggiunge, a passi cauti, lo stallazzo. Rimane un po' in ascolto, quasi in agguato. Poi, vinta da un'impeto irresistibile di vendetta, corre al banco, impugna il coltello, ritorna alla porta. I suoi occhi lampeggiano di ferocia. È per bussare; ma udendo i passi di 'on Giuvannino, che sopraggiunge, retrocede con terrore).
'O marito?! (Il coltello le cade di mano).
(Colpito dall'esclamazione di Cannetella, ripete, sbalordito:) 'O marito?!... (Balbettante:) E che d'è.... 'o marito? (Come vinto da un terribile sospetto, si batte violentemente la fronte, e manda un urlo soffocato). Muglierema sta llà? (Indica il portone della stalla). Llà?! (Vede il coltello, lo raccoglie, si precipita verso la porta della stalla).
(Il dialogo seguente deve esser detto a voce bassissima).
(Atterrita, cerca di trattenerlo). No!... No!... Ve site sbagliate....
(Ritornando). Mme sbaglio? (Sogghignando). E tu?... Che facive tu, nnanze a chella porta?
(Confusa, balbetta). Io?.... Io?....
(Svincolandosi e respingendola, bruscamente). Lète 'a lloco!
(Barcolla; ma riafferra il braccio di 'on Giuvannino, soffocando). No!... Nun voglio! Nun voglio!...
(Lottando). Lassa!... Mannaggia!...
(Resistendo). No!... Io allucco!.... Io chiammo gente!....
(Impaurito e feroce). Zitta! Statte zitta!
No.... Si facite nu passo, guaie a vuie!
Zitta!
No!
Mannaggia!.... (Al colmo del furore, le è addosso; l'afferra per le spalle, mentre con una mano le chiude la bocca; la trascina verso la casa, e ripete con voce soffocata:) Cca!.... Cca!.... E zitta!...
(Simultaneamente, dibattendosi, con rantolo affannoso). No!... No!... Gente!... Currite!... Gente!... ('On Giuvannino e Cannetella spariscono, lottando, nella casa. Dopo qualche momento, 'on Giuvannino riesce e chiude la porta).
(Ha gli occhi terribili, il volto acceso. Va alla stalla; vi si ferma innanzi qualche istante. Poi, si decide a picchiare. Chiama con voce addolcita:) Cuncè! Cuncè! (Con viva premura). Cuncè! Viene a' casa. 'O piccerillo passa peggio!.... Ll'è venuto nu svenimento!.... Io mm'abbìo!...
(Di dentro, con voce soffocata). Furtunà!.. Furtunà!... Nun arapì!... T'accide!
(Ma la sua voce arriva fiacca e affannosa).
(Rimane qualche istante a origliare dietro la porta della stalla, sogghignando. Quando si accorge che la porta è per aprirsi, si allontana e va ad appiattarsi dietro l'arco).
(Comparisce sotto l'uscio. Ha il volto arrossato, il petto in ansia. Nei suoi capelli ha alcuni fili di paglia. Guarda impaurita intorno. È per uscire dall'angiporto. Il marito le piomba alle spalle e l'afferra).
(Manda un grido di terrore). Madonna mia!... (Fa un breve giro su sè stessa; e cerca di sfuggire dalle braccia del marito).
(La trascina sotto l'arco, colpendola). Mala femmena!...
(Con un rantolo). Ah!...
(Getta il coltello; esce atterrito dall'angiporto e fugge, silenzioso).
(Di dentro, con voce soffocata). Nun arapì!... Furtunà!... Nun arapì!... (Batte replicatamente alla porta).
(Si trascina carponi, morente, fino alla stalla. Leva la mano a picchiare. Invoca col rantolo dell'agonia:) Furtunà!... Aiuteme!.... Mm'ha accisa!.... (Picchia nuovamente. Nessuno risponde. Ella cade, sfinita, imprecando negli spasimi della morte immediatamente:) Nfame!... Mm'ha lassata... Nfame!... (Si abbatte contro il suolo, morta).
(Continuano le grida rauche di Cannetella, Giungono dalla via, lo scalpitìo dei cavalli e il tintinnio dei sonagli.
Napoli, Sett. 15-19-1898.